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Regressione e transfert; Infanzia e sessualita'; Interpretazione dei sogni

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Regressione e transfert; Infanzia e sessualita'; Interpretazione dei sogni

L'articolo "Regressione e transfert; Infanzia e sessualita'; Interpretazione dei sogni" é tratto dalla rubrica Spazio Psicoanalisi.

Nell'articolo si parla di:

  • L'"hic et nunc" nella seduta. Regressione e transfert nell'incontro tra due persone reali
  • Infanzia ed eventi successivi. La sessualità
  • L'interpretazione dei sogni
  • L'attivazione psicoterapeutica
  • Note
Psico-Pratika:
Numero 30 Anno 2007

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L'approccio psicoterapeutico di Erich Fromm: Regressione e transfert; Infanzia e sessualita'; Interpretazione dei sogni (Pag 3)

A cura di: Romano Biancoli

Leggi la seconda parte dell'Articolo: L'approccio psicoterapeutico di Erich Fromm

L'"hic et nunc" nella seduta. Regressione e transfert nell'incontro tra due persone reali

L'interesse per la psicodinamica attuale del paziente rende la seduta volta al chi è lui e non al cosa ha, secondo la modalità dell'essere, che non è fuori del tempo, ma non ne è governata, essendo atemporale.
Se il passato viene sentito come magazzino di ricordi, che si hanno così come si hanno cose, patrimoni, accumuli di fatti,il tempo è sperimentato nella modalità dell'avere, si impone nel prolungarsi dal passato al futuro, collegati dal presente.
In questa dimensione anche il futuro indica qualcosa che si avrà.
Non ci può essere creatività quando il tempo è subito in scansioni che recano il trascinamento del passato che aumenta quantitativamente man mano che incamera vicende su cui rimuginare.
L'atto creativo trascende il tempo.
Nell'"hic et nunc" però il passato può essere fatto rivivere nella sua immediatezza, "resuscitato" come attuale; così pure il futuro può essere soggettivamente anticipato in un "qui ed ora" gestativo (54).
Il riportare all'"hic et nunc" della seduta quel che il paziente racconta consente di vederne i nessi col rapporto esistente tra lui ed il terapeuta.

Nella seduta si verifica che il paziente tende a regredire a situazioni infantili e ad esprimere i desideri e le ansie di allora, successivamente rimossi o repressi.
Questo è sicuramente vantaggioso al processo psicoterapeutico, ma si pone il problema di quanto la regressione debba essere favorita, se il setting psicoanalitico classico, col lettino e l'analista, seduto in modo che il paziente non lo veda, non accentui la dipendenza di questo tanto da non consentirgli, o consentirgli troppo poco, l'oscillazione tra stati di esistenza infantile e stati di esistenza adulta, oscillazione che rende efficace l'analisi, la quale abbisogna anche delle capacità di discernimento e di consapevolezza adulta del paziente.
Fromm è contrario agli accorgimenti che aumentano la dipendenza del paziente dall'analista e all'incremento del transfert che si verifica quando l'analista si limita a fungere da "specchio".
La scoperta di Freud fu grande: l'analizzando nel corso dell'analisi si lega affettivamente, con amore, ammirazione, e/o con odio, aggressività, all'analista, trasferendo su di lui i sentimenti fortissimi che provava verso la madre e il padre o altre persone importanti della sua infanzia.
Questo transfert, che si può manifestare anche come innamoramento, gelosia violenta, e può diventare esso stesso una resistenza all'analisi, trova nell'atteggiamento dell'analista ortodosso le condizioni per il suo massimo sviluppo.
Fromm nota che il fenomeno transferale non ha luogo solo nel rapporto psicoanalitico, ma è diffusissimo nelle circostanze quotidiane della vita, basti pensare all'ammirazione tributata a capi politici o a divi dello spettacolo, talvolta così intensa da riscontrarsi sul volto dei seguaci o dei "fans" in occasione di manifestazioni pubbliche.
Tutti i rapporti interpersonali soffrono di tali distorsioni.
In fondo, anche l'adulto, di fronte all'imponenza, complessità, pericolosità del mondo, si trova inerme come il bambino e come lui bisognoso di sicurezza, di conforto e di amore.
Inoltre, "il transfert è fattore che causa la malattia professionale degli analisti, vale a dire la conferma del loro narcisismo, frutto dell'affezione ammirata dei loro analizzandi" (55).

"Anche l'analista può avere una quantità di atteggiamenti irrazionali verso il paziente.
Può averne timore; può voler essere ammirato da lui; può desiderare il suo amore.
Le cose stanno purtroppo così, e specialmente nel caso di quegli analisti che non sono mai arrivati a capire bene se stessi attraverso la loro analisi personale" (56).

Secondo Fromm il controtransfert è una contrattitudine dell'analista che implica note nevrotiche ed è relativo al suo narcisismo: va sempre analizzato nella consapevolezza che è legato più alle esigenze dell'analista stesso che non alla relazione analitica (57).
Questa però non si esaurisce nelle forze deformanti del transfert e del controtransfert, essendovi presenti due persone reali che comunicano fra loro, attraverso ma anche al di là delle distorsioni.
Il paziente coglie sempre qualcosa della realtà dell'analista, anche se questi limita al minimo i punti di scopertura.
Si possono così distinguere due piani del confronto: uno transferale e uno reale.
L'analista dovrà offrirsi su entrambi i piani, disponendosi a ricevere l'investimento del transfert e ad analizzarlo ed anche porgendosi come persona reale alla persona reale del paziente.
Questi due livelli di intervento vanno accuratamente dosati.

"Alcuni pazienti sono quasi psicotici: in questi si può sviluppare un attaccamento per l'analista così intenso che lo chiamerei una simbiosi...
I legami con la persona ospite debbono essere spezzati prima di poter parlare di successo terapeutico.
Molti pazienti schizofrenici o pre-schizofrenici sono in rapporto simbiotico con la figura paterna,o materna.
Messi di fronte alla necessita di stare in piedi da soli, possono avere una ricaduta psicotica" (58).

Se in questi pazienti la dipendenza è necessaria, in altri lo è meno o molto meno, e ogni volta che sia possibile va coltivato il loro senso di responsabilità di fronte ai problemi che stanno vivendo.
Responsabilità nel senso di essere in grado di rispondere del proprio comportamento, senza fuggire in razionalizzazioni comode come quella di ritenere gli altri in tutto e per tutto colpevoli del corso della propria vita e della situazione attuale.
Finché sussiste lo stallo della dipendenza, il paziente non mobilita le sue energie di realizzazione e difficilmente si impegna ad agire conseguentemente alle prese di coscienza e consolidando mutamenti caratteriali.

L'appello di Fromm alla persona reale del paziente implica rimandi teorici assai consistenti e principalmente il tema, ancora una volta, del peso relativo dei fattori genetici e di quelli acquisiti.
Ogni indagine sull'essere umano incontra questo problema e non può che tematizzarlo se vuole proseguire.
Tematizzato, rimane più aperto che mai, epperò, proprio dalla sua non conclusività scientifica emergono incessantemente spunti che sollecitano sviluppi di pensiero e suggeriscono mete operative ardue ma promettenti.
La persona reale del paziente risulta dalla combinazione dinamica e interreazione dei dati genetico-temperamentali e di quelli acquisiti dall'influenza dell'ambiente; se ne configura una personalità complessiva che sotto una corteccia comportamentale si struttura in carattere modellando, secondo le istanze sociali, le dotazioni originarie, che restano un fondo di potenzialità mai completamente e per intero attivato.
Questo fondo potenziale, geneticamente dato, è il volto psichico della persona al momento della nascita, prima che l'ambiente, la madre innanzitutto, lo impronti e lo plasmi.
Secondo Fromm è possibile il rinvenire in analisi di quel volto naturale originario (59), base dell'identità della persona subitaneamente connotata nella famiglia in modi che più o meno la favoriscono o la reprimono.
Il processo psicoanalitico può condurre il paziente a riconoscere gli elementi della sua identità e a distinguerli da quelli di pseudoidentità penetrati inconsciamente nella sua personalità totale e conflittuali in vario grado coi primi.
Il mutamento nei tratti di carattere sta nella diversa risposta alle contraddizioni esistenziali consentita dalla riconosciuta predisposizione genetica originaria, fatta di potenzialità che, liberate dai fattori familiari e sociali rimoventi, possono essere attivate e agite.

Infanzia ed eventi successivi. La sessualita'

Pur essendosi tanto occupato della società e della sua influenza sull'individuo, Fromm accentua, rispetto a Freud, l'importanza del dato costituzionale (60), e ciò si riflette sulla pratica psicoterapeutica.
Il postulare un ambito genetico più allargato consente a Fromm di meglio fondare teoricamente la possibilità di trasformazioni caratteriali.
Il carattere, aggredito da esperienze umane profonde sul suo versante sociale, cioè sulla linea di incontro e interreazione con la relatività delle istanze di un ambiente, può fare perno sul lato naturale delle potenzialità e assumere un orientamento diverso, relativo a un altro ambiente o anche, come dovrebbe accadere con una esperienza psicoanalitica, più autonomo da ogni ambiente, se la produttività che è propria della natura umana si libera e si esprime.
Sicuramente l'infanzia è determinante nello strutturare un carattere, sicuramente è facile "spezzare un bambino", cioè soffocargli le forze innate e storpiargli l'esistenza, ma bisogna riconoscere che i bambini nascono con una loro vitalità i cui tratti sono tali da rendere unici gli individui nel reagire alle potenti forze familiari e ambientali che formano i loro caratteri, i cui tratti non sono definitivi, almeno potenzialmente, finchè non si è spenta quella vitalità predisponente ognuno in modo unico a rispondere ai quesiti fondamentali dell'esistenza.
La maggior parte delle persone mantiene immutato nel corso della vita il carattere che si è formato attraverso le esperienze infantili, anche perché rimane sempre nello stesso ambiente cogli stessi valori.
Ma ad altre persone capita di vivere eventi tali da orientare diversamente rispetto a prima i propri tratti di carattere.

"In casi inequivocabili di cambiamento di carattere si può persino parlare di vere e proprie conversioni, le quali comportano un totale mutamento di valori, prospettive e atteggiamenti, poichè è successo qualcosa di assolutamente nuovo nella vita dell'individuo "convertito".
Ma tali trasformazioni non sarebbero possibili se la persona non avesse già in sè la potenzialità che si è manifestata appunto nella 'conversioni'" (61).

Fromm è molto critico quindi nei riguardi del concetto freudiano secondo cui la persona è coatta a ripetere gli stessi comportamenti derivanti da una struttura caratteriale formatasi in modo più o meno definitivo all'età di cinque sei anni.

"Io credo che nella vita nulla si ripeta: la ripetizione è propria della macchine" (62).

Fromm rivede anche la teoria freudiana della sessualità, che ha avuto il merito di sfidare la mentalità vittoriana della sua epoca e la genialità di intuire una sessualità infantile e di prendere per la prima volta "sul serio il bambino e ciò che gli accadeva".
Il fatto che esista una sessualità infantile non comporta che l'attaccamento del bambino alla madre sia di natura essenzialmente sessuale: il bambino è completamente indifeso e bisognoso di tutto e la dipendenza dalla figura materna esprime il desiderio di protezione e sicurezza, l'aspirazione ad una situazione paradisiaca di soddisfacimento e amore.
Per quanto riguarda l'organizzazione sessuale infantile, essa non dipende dalla libido investita nelle diverse zone erogene, ma deriva dall'atteggiamento della madre, o della famiglia, che valorizza questa o quella parte del corpo.
Fromm scompone il complesso edipico freudiano in due parti: l'attaccamento del figlio alla madre e il conflitto tra padre e figlio.
Il figlio desidera la madre, ma in termini non essenzialmente sessuali, bensì per i suoi bisogni di sicurezza, protezione, affetto.
Quanto al conflitto tra padre e figlio, esso è dovuto alla società competitiva patricentrica, è un dato culturale.
La fusione di queste due componenti e la teoria della sessualità infantile hanno consentito a Freud di dar loro struttura unitaria.
Fromm prende respiro da un riesame di Sofocle e accoglie le teorie mitologiche di Bachofen per proporre un mito di Edipo diverso da quello che ispirò Freud.
Una lettura di Sofocle che si limiti all'"Edipo Re" avvalora la tesi freudiana, ma se questa tragedia la connettiamo con le altre due della trilogia sofoclea, l'"Edipo a Colono" e l'"Antigone", i contenuti che complessivamente emergono non sono quelli indicati da Freud.
L'ipotesi di Fromm è che il mito di Edipo non rappresenti la ribellione del figlio al padre per l'amore incestuoso che porta alla madre, ma la lotta tra due mondi, quello più recente e vittorioso del patriarcato e quello più antico e ormai sconfitto del matriarcato.
In "Edipo Re" non risulta che Edipo si innamori di Giocasta; che ne diventi il marito sembra essere un elemento secondario.
Il solo contenuto di "Edipo Re" che trovi conferma e sviluppo nelle altre due tragedie è quello del conflitto tra padre e figlio.
Un simile conflitto è inconcepibile in un assetto sociale e in un corrispondente sentimento religioso dove l'autorità sia materna e si esplichi attraverso una legislazione egualitaria fondata sui legami di terra e di sangue, dove tutti sono figli, figli di madri e della Madre Terra che accoglie, accetta, nutre, senza distinzioni di merito.
Questo è il mondo che nelle tragedie di Sofocle va scomparendo, nell'estrema lotta contro l'emergente patriarcato, portatore di valori contrapposti: prevalenza del pensiero razionale, volontà di modificare la natura, legislazione paterna che comporta l'obbedienza del figlio come virtù, il disconoscimento del principio di uguaglianza per sostituirlo con quello di gerarchia e col privilegio del figlio preferito (63).
Fromm, peraltro, è sempre assertore della disobbedienza come inizio di libertà (64).

L'interpretazione dei sogni

La psicoterapia frommiana si avvale molto dell'interpretazione dei sogni come della interpretazione di ogni altra produzione simbolica del paziente.
Il simbolo, inteso come "qualcosa che sta al posto di qualcos'altro", può presentarsi comunemente comprensibile quando è di tipo convenzionale e relativo a una data comunità, quale quello linguistico o quello segnaletico.
In questo caso non vi è alcun rapporto intrinseco tra simbolo e oggetto simbolizzato, essendo stato il rapporto stesso posto da una convenzione.
All'opposto un simbolo può essere accidentale se vale per una sola persona, la quale lo abbia associato a una data cosa o esperienza pur non essendo intrinseco ad esse, come ad esempio associare uno stato d'animo a una data città.

"Al contrario del simbolo convenzionale, il simbolo accidentale non può essere condiviso da nessun altro, a meno che non si espongano gli eventi connessi con il simbolo stesso.
Per questa ragione i simboli accidentali hanno un impiego limitato nei miti, nelle favole,o nelle opere d'arte... nei sogni i simboli accidentali sono frequenti" (65).

Se vi è relazione intrinseca tra cosa simbolizzata e simbolo, questo è universale poichè, essendo fondato sull'"affinità esistente fra un'emozione o un pensiero da una parte e un'esperienza sensoriale dall'altra", è comune a tutti gli uomini.
Il corpo si presta con molta versatilità a simbolizzare contenuti mentali: le emozioni più forti sono riconoscibili dall'espressione corporea.
Anche il tono del corpo rivela umori tristi o gioiosi, e così la mimica e gli altri atteggiamenti fisici.
Il gesto può essere così preciso e appropriato che gli altri lo intendono meglio di una spiegazione a parole.
Anche nelle malattie psicosomatiche il corpo parla un linguaggio simbolico e rivela conflitti psichici.

Mentre la parte conscia, sociale e convenzionale del paziente ricorre al linguaggio verbale, quella inconscia della sua appartenenza al genere umano nel senso radicale di essere parte della natura e insieme trascenderla, in una perenne conflittualità che senza posa genera interrogativi e fonda il sentimento del tragico, si esprime in linguaggi simbolici, attraverso il corpo e attraverso il sogno.
Nel sogno, i contenuti rimossi irrompono nell'area conscia e ne eludono la vigilanza travestendosi in vari modi di qualche tratto socialmente accettato e riconoscibile che non toglie alla loro manifestazione il senso dell'enigmatico e del non coerente allo stato di veglia.
A livello logico il linguaggio onirico è spesso inesplicabile, non senso.
Il senso lo si trova nella sua universalità che lo rende sostanzialmente comune a tutte le epoche e tutte le culture, proprio perché lo stato di sonno consente il distacco dal contingente, dalla relatività ambientale, e può lasciare esprimere attività psichiche che nella veglia tacciono e perciò restano inconsce.
Freud considerava il sogno la via maestra per raggiungere l'inconscio, e in effetti l'integrità di ogni uomo comporta che egli riconosca come sue le produzioni oniriche della notte e le faccia dialogare coi pensieri diurni, essendo un sogno non interpretato, dice il Talmud, come "una lettera non aperta".

L'interpretazione dei sogni, secondo Fromm, è un'arte.
Egli la propone più esercitata a leggere accortamente i simboli che non volta a ricavare il contenuto latente attraverso le associazioni del sognatore, come invece insegnava Freud, il quale riteneva il chiarimento dei simboli una via sussidiaria.

Il sogno non necessariamente esprime l'adempimento di un desiderio, come pure capita, ma può dare rappresentazione a una paura o a un'ansia.
Spesso il sogno rivela una visione acuta di forze interiori o di circostanze o avvenimenti esterni; in esso si esprimono istinti e desideri che nella veglia non si vogliono riconoscere, ma anche parla una saggezza propria di stati mentali di esistenza che emergono nel sonno, quando si chiudono le comunicazioni col mondo esterno, il quale impone una realtà convenuta e rispondente al senso comune e richiede un correlativo stato di coscienza, da cui sono banditi altri stati di coscienza che, resi così inconsci, profittano del sogno per manifestarsi.
Talora l'avvedutezza del sogno mette in discussione la realtà ufficiale e comunemente credibile, per esempio facendo apparire una data persona, ritenuta onesta e cortese, in atteggiamenti poco raccomandabili o con tratti animaleschi che suggeriscono qualità assai diverse da quelle percepite durante la veglia, avvertendo così il sognatore degli aspetti meno manifesti di quella persona.

Dall'interpretazione dei sogni si possono riconoscere le qualità di una ricchissima gamma di desideri, paure, angoscie, sensi di colpa, fantasie, facoltà inconsce del paziente.
Quel che dal singolo sogno non si può comprendere è il peso, la quantità degli elementi scoperti (66).
Il dato quantitativo può essere valutato considerando la ripetizione di un tema in più sogni, il materiale associato, il comportamento del paziente nella vita reale in riferimento ad aspetti rapportabili a quel tema, o la resistenza alla sua analisi.

Però, ai fini della psicoanalisi, non basta individuare un elemento onirico nella sua qualità e nel suo peso; bisogna anche comprendere la funzione che esso svolge nella personalità totale del paziente, quali forze lo contrastino o lo rafforzino.
Se si tratta di un desiderio irrazionale del paziente, come quello per esempio di non diventare adulto, di restare dipendente, di trovare qualcuno che decida per lui, vanno valutate le forze che lo contrastano: queste forze possono derivare dalla paura di essere punito se si comporta troppo infantilmente, o dalla paura di essere abbandonato se non assume comportamenti più maturi; ovvero possono essere costruttive e nello spingere il paziente alla crescita si pongono in conflitto col suo desiderio di evitare responsabilità e impegni.
Bisogna comprendere "se gli elementi istintivi sono frenati e rimossi dal timore e contemporaneamente, oppure soltanto, dalla presenza di più potenti forze di amore e tenerezza" (67).

Per interpretare i sogni, secondo Fromm, giovano più l'interesse, la fantasia, la pazienza del sapere teorico.
Questo può essere utile per familiarizzarsi con i procedimenti dell'arte interpretativa, come anche ci si può servire della regola freudiana di scomporre il sogno in frasi da "interrogare".
L'interpretazione dei sogni avvantaggia enormemente la psicoterapia, ma la si può applicare metodicamente anche nell'autoanalisi, quando si sia acquisita la sensibilità necessaria per leggere i simboli e cogliere scioltamente la rispondenza e la consonanza di un significato.
Con la pratica, non ci si lascia ingannare dalla marginalità di un dettaglio onirico o dalla sua scomodità in quanto assurdo, anzi il fastidio che ne può derivare consciamente nel prenderlo in considerazione diventa indizio della sua importanza.
Per una buona analisi dei sogni, questi vanno trascritti al più presto, conservandone il testo in modo da poterli comparare nel corso di lunghi periodi.
Nell'interpretare un sogno bisogna per lo più collegarlo con qualche avvenimento del giorno prima, al quale ha reagito.
Specialmente lo stato d'animo in sogno o all'immediato risveglio è sovente riconducibile a un'esperienza del giorno precedente, anche se tale esperienza sul piano conscio ha avuto scarso rilievo o è addirittura passata inosservata (68).

Fromm era un abile lettore di simboli, che accoglieva, pur criticamente, non solo la lezione freudiana, ma anche quella estremamente creativa di Bachofen e quella di Groddeck, grande ammirato analista e terapeuta.
Le analogie con Jung sono talora rilevanti, basti pensare a quella tra simboli universali frommiani e archetipi junghiani (69), ma le differenze sono molto profonde e conducono a esiti inconciliabili.
C'è un punto assai qualificante che divide in modo nettissimo i due autori: essi concordano sul fatto che i sogni possono esprimere una lucidità, una saggezza, un senso morale di gran lunga superiori a quelli forniti dalle facoltà introspettive coscienti; ma la voce che così altamente parla trascende l'uomo, non è del sognatore, sostiene Jung, al contrario di Fromm, per il quale è dell'uomo ogni prodotto umano, anche onirico, non c'è fonte di rivelazione che parli nell'uomo mentre sogna, i contenuti superiori provengono da un fondo umano rimosso dalle condizioni della vita di veglia.
L'umanesimo di Fromm penetra coerentemente in ogni aspetto e in ogni regola dell'arte psicoterapeutica (70).

L'attivazione psicoterapeutica
"Quello che faccio ha analogia con l'interpretazione dei sogni come la faceva Freud: io applico la stessa tecnica anche ad altre cose.
Freud era capace di interpretare il sogno più innocuo nel senso di un desiderio di uccidere il terapeuta, dicendolo apertamente al paziente.
Analogamente io dico al paziente ciò che vedo, poi analizzo le sue resistenze nei confronti di quello che ho detto" (71).

Fromm ritiene che il terapeuta debba essere molto concentrato e pronto a lavorare sul materiale offerto dal paziente, in modo che ogni seduta rechi qualcosa di nuovo.
Ascolto e intervento si alternano nel terapeuta, che propone il suo modo di lavorare con molta schiettezza e ne richiede altrettanta al paziente.

"Io ascolto il paziente e poi gli dico: 'Senta, lei deve fare così: deve dirmi tutto quello che le viene alla mente.
Può darsi che non sia sempre una cosa facile; ci saranno delle cose che lei non vorrà dirmi.
Tutto ciò che le chiedo è avvertirmi quando preferisce non dirmi una cosa.
Non voglio fare nessuna pressione morale su di lei perché me lo dica: probabilmente le avranno già comandato chissà quante volte di fare qualche cosa.
Ma le sarò grato se mi dirà che ha omesso qualcosa dal suo discorso' (incidentalmente, questo capita raramente).
Poi dico: 'Ora l'ascolterò; deve sapere che mentre l'ascolto io reagisco come potrebbe reagire uno strumento molto sensibile.
La formazione che ho ricevuto mi ha preparato a questo scopo, di modo che quello che lei mi racconterà mi farà percepire certe cose.
Queste cose io gliele dirò.
Saranno spesso molto diverse da quelle che lei mi avrà detto, o anche da quelle che lei aveva intenzione di dirmi.
Poi lei mi dirà quel che pensa di queste mie interpretazioni.
Sarà in questo modo che comunicheremo: io reagisco a quello che lei mi dice, e lei reagisce alle mie reazioni.
Ci muoveremo liberamente su questa traccia.
Non pretendo che le cose che percepirò siano necessariamente giuste; ma vale la pena che lei vi presti attenzione, perché sono le reazioni provocate in me dalle sue stesse parole'.
Dopo di che bado a mantenere attivamente queste istruzioni" (72).

Le interpretazioni vanno abbozzate con prudenza e avanzate con tatto e con la disponibilità a riconoscere un errore, ma non bisogna attendere troppo, specialmente quando si è instaurato un rapporto efficace e i sintomi non sono gravi: Più l'ansia è esplicitata a livello somatico più l'approccio è facile (73).
Non occorre attendere sempre che il paziente trovi da solo la strada, altrimenti il trattamento si allunga più del necessario.
Fromm tende ad abbreviare la psicoterapia, anche se non ritiene che la sua sia una psicoterapia breve: piuttosto (74) suggerisce che il terapeuta sia attivo e svolga lui un lavoro di strutturazione dei fantasmi, proponendoli poi al paziente nel loro aspetto sociale.
Non bisogna mai attaccare direttamente la figura materna o altre figure significative: si dirà qualcosa della madre e si osserverà come reagisce il paziente (75).

Vanno poste poche domande al paziente e molto chiare, però su di esse si può insistere, chiedendo al paziente la disponibilità ad entrare in relazione col terapeuta, anche se ciò comporta dolore.
Frieda Fromm-Reichmann diceva ai suoi pazienti: "Io non le ho promesso un giardino di rose" (76).
La delusione del paziente è parte del processo psicoterapeutico, il quale tende a far accettare la sofferenza che è inerente al vivere e che non si può eliminare, se non al prezzo di una riduzione della sensibilità che però inibisce anche la capacità di gioire.
La delusione sta sul versante del prendere coscienza, è il cammino amaro della riduzione del narcisismo per conquistare autenticità, intesa come capacità di amore e di ragione, di contro all'apparenza che illude.
L'emersione della modalità dell'essere dà un senso di forza e di gioia, ma affina anche la sensibilità che rende più appropriati gli stati d'animo e talora li volge a tristezza, come richiede una sana percezione dell'esistenza.
Sentimento questo da non fuggire (77), poichè prodotto da stimolo interiore ed espressione di vitalità, diversamente dalla noia che è incapacità di produrre stimoli da dentro, bisogno di stimoli esterni per sentire qualcosa, e che può giungere fino ai quadri estremi di depressione grave.
Il paziente gravemente depresso non sente la vita dentro di sè e richiede un approccio particolare, dove le parole giovano poco, e tanto meno i consigli, ma può avere significato tenergli la mano durante la seduta78 e può essere utile un programma di riabilitazione che includa calcolatissimi e graduali interventi fisioterapici che rispettino la passività iniziale del paziente (79).

La psicoterapia diventa difficile quando il paziente non esce dal rapporto duale colla madre o col padre (80).
La fissazione incestuosa alla madre comporta un legame ai suoi simboli, la natura, la terra, il sangue, la tomba; specialmente nei casi più gravi di necrofilia, che impedisce lo sviluppo dell'individualità del paziente.
L'assenza di calore in questo attaccamento alla madre è sintomo di maligno sviluppo caratteriale, di patologia estrema per quanto rara.
Solitamente l'incestuosità, anche profonda, è venata da affettuosità consapevole o rimossa.
Nel paziente di sesso maschile desideri sessuali verso la madre, manifestati nei sogni, prodotti nei ricordi d'infanzia, o spostati su altre donne, possono indicare una patologia non grave se dovuti agli atteggiamenti seducenti di lei.
In fondo, desiderare sessualmente una persona, sia pure la madre, è un modo per significare che non si è fusi con lei, che non si è un tutt'uno con lei (81), che si avverte in sè una individualità; a meno che "il desiderio sessuale per la madre non sia una difesa contro il ritorno all'utero in quanto tale ritorno porta alla pazzia o alla morte, mentre il desiderio sessuale è almeno conciliabile con la vita", o a meno che le fantasie di rapporti sessuali con la madre non contengano un atteggiamento passivo verso di lei, nel senso di esserne posseduti, casi questi di fissazione grave alla madre (82).
Il duplice ruolo della figura materna, come documentato dai miti, dalle ricerche antropologiche e dai contenuti di molte religioni, quello di dare la vita e di amare incondizionatamente e quello di toglierla e di odiare "senza ragione", appare anche nei sogni: figura buona, piena d'amore, o animale feroce che terrorizza, o altri svariati simboli di tale ambivalenza.

"Clinicamente ho scoperto che la paura della madre distruttiva è di gran lunga più intensa del timore del padre che punisce e castra.
Con l'obbedienza è possibile ripararsi dalle minacce provenienti dal padre, mentre non c'è difesa contro la distruttività materna; è impossibile conquistarne l'amore, perché è incondizionato; è impossibile deviarne l'odio perché è senza 'ragione'.
Il suo amore è grazia, il suo odio maledizione, e nessuno dei due è soggetto all'influenza di chi ne è il destinatario" (83).

E' arduo ma non impossibile che il paziente sviluppi in sè il principio materno positivo ed arrivi ad amarsi nella sua identità, che viene via via liberata dalla simbiosi e dalle fissazioni e prende coscienza di se stessa col senso della sua forza vitale.
Si tratta della coscienza materna produttiva che da dentro all'individuo gli suggerisce rispetto, interessamento, conoscenza, responsabilità per sè e per gli altri.

Il rapporto col padre è meno intenso, perché la sua figura non è chiamata al ruolo della protezione totale e avviluppante come continuazione del legame colla natura, ma richiede sottomissione, obbedienza e merito secondo la legge e il principio di gerarchia socialmente fondati.
L'amore del padre è condizionato e prevedibile e si può ottenere facendo ciò che lui comanda, interiorizzandolo come dovere mancando al quale si incorre nella sua punizione.
Il rapporto duale col padre può non sciogliersi nella ribellione e poi nell'autonomia del figlio, se questo, temendo fortemente di essere punito, soggiace agli imperativi e non sviluppa in proprio le componenti positive della funzione paterna: ragione, disciplina, individualismo, senso del dovere, che aiutano ad arginare la imprevedibilità e distruttività dei lati negativi della funzione materna.

La psicoterapia può condurre a una triangolazione interiore dei rapporti col padre e colla madre, dove l'autoritarismo e la fissazione incestuosa lascino il posto all'intimo dibattito tra coscienza paterna e coscienza materna della persona, che è divenuta padre e madre di se stessa.
La contraddizione rimane, ma non più fissata a vecchie controversie familiari (84), bensì come permanente tensione insita nella natura umana tra senso del dovere derivante dalla propria socialità e senso di amorevole accettazione di sè proveniente dalla vita stessa e permanente in essa anche se il dovere non venga adempiuto (85).

Il terapeuta dovrà aver acquisito dentro di sè questi risultati, attraverso una formazione psicoanalitica che prosegua la sua analisi personale in una supervisione presso un analista didatta o, come è stato il caso di Fromm dopo i suoi training analitici e di supervisione, in una autoanalisi metodica, quotidiana, che richiede molto tempo e molto impegno e che deve durare tutta la vita.

Note
  1. Fromm, E.(1962), Beyond the chains of illusion. My encounter with Marx and Freud, the Credo Series, Siman and Scuster. New York; tr. it. Marx e Freud, Il Saggiatore. Milano 1968, p. 17.
  2. Heller A. (1978). Instinkt, Aggression, Charakter. Einleitung zu einer marxistischen Sozialanthropologie; tr. it. Istinto e aggressività, Feltrinelli, Milano 1978, pp. 35 e sgg.
  3. Biancoli R.(1983), Situazione umana e libertà in Erich Fromm, in Pier Lorenzo Eletti (a cura di), Saggi sull opera di Erich Fromm, Le Lettere. Firenze 1983, pp. 13 e sgg.
  4. Cfr. specialmente: Fromm E.(1955), The sane society, Holt, Rinehart and Winston. New York; tr. it. Psicoanalisi della società contemporanea. Comunità, Milano 1971; Fromm E. (1973), The Anatomy of Human Destructiveness, by Erich Fromm; tr. it. Anatomia della distruttività umana. Mondadori, Milano 1975.
  5. Fromm E. (1975), Anatomia della distruttività umana, cit., pp. 284 e sgg.
  6. Fromm E. (1962), Marx e Freud, cit., pp. 3839. Fromm, E. (1947), Man for himself an inquiry into the psychology of ethics. Holt, Rinehart and Winston. New York; tr. it. Dalla parte dell'uomo, Ubaldini, Roma 19731, p. 28.
  7. Fromm E. (1947), Dalla parte dell'uomo, cit., pp. 40 e sgg.
  8. Fromm E. (1962), Marx e Freud, cit., p. 37.
  9. Catemario A. (1962), La società malata, Giannini, Napoli, p. 94, in nota.
  10. Fromm E. (1955), Psicoanalisi della società contemporanea, cit., pp. 6970.
  11. Fromm E. (1960), Zen Buddhism and psychoanalysis (con Suzuki D. e De Martino R. ), Harper & Row. New York; tr. it. Psicoanalisi e buddismo zen. Ubaldini, Roma 1968, pp. 186110.
  12. Fromm E. (1966), You shall be as gods. A radical interpretation of the Old Testament and its tradition, Holt, Rinehart and Winston. New York; tr. it. Voi sarete come dei, Ubaldini, Roma 1970, pp. 1718.
  13. Cusimano F. A., Luban-Plozza B. (1984), Erich Fromm, Puleio, Milano, p. 116.
  14. Fromm E. (1973), Anatomia della distruttività umana, cit., p. 288.
  15. Freud S. (1932), Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse; tr. it. in Introduzione alla psicoanalisi, Boringhieri. Torino 1969, p. 474 e p. 571.
  16. Fromm E. (1947), Dalla parte dell'uomo, cit., pp. 46 e sgg.
  17. Fromm E. (1941), Escape from freedom, Holt, Rinehart and Winston. New York; tr. it. Fuga dalla libertà. Comunità. Milano 1972, pp. 123 e sgg.
  18. Fromm E. (1966), Dialogue with Erich Fromm, Richard I. Evans, Harper & Row. New York; tr, it. Personalità, libertà, amore. Intervista con R. I. Evans. Newton Compton. Roma 1980, p. 18.
  19. Luban-Plozza B., Egle U. (1982), Einige HInweise auf die psychotherapeutische Einstellung und den Interventionsstil von Erich Fromm, Patientenbezogene Medizin: Heft 5, Gustav Fischer Verlag. Stuttgart New York 1982, p. 83.
  20. Fromm E. (1947), Dalla parte dell'uomo, cit., pp. 5455.
  21. Ibidem, p. 56.
  22. Ibidem, pp. 5758.
  23. Ibidem, pp. 5868; Fromm E. (1976), To Have or to Be?, Harper & Row. New York; tr. it. Avere o essere?, Mondadori, Milano 1977, pp. 192201.
  24. Heller A. (1978), Istinto e aggressività, cit.
  25. Fromm E. (1973), Anatomia della distruttività umana, cit., p. 239.
  26. Fromm E. (1964), The heart of man. Its genius for Good and Evil. Harper & Row. New York; tr. it. Psicoanalisi dell'amore, Newton Compton. Milano 1971, pp. 4950.
  27. Fromm E. (1973), Anatomia della distruttività umana, cit, pp.409457.
  28. Fromm E. (1968), The Revolution of Hope Toward a Humanized Technology. Harper & Row, New York; tr. it. La rivoluzione della speranza, Etas. Milano 1978, p. 16.
  29. Luban-Plozza B. (1981), Omaggio a Fromm: dalla parte dell'uomo, in Riza Psicosomatica, novembre/dicembre 1981, n. 10, p. 7.
  30. Fromm E. (1941), Fuga dalla liberà, cit., pp. 127180.
  31. Fromm E. (1960), Psicoanalisi e buddismo zen, cit., p. 119.
  32. Fromm, E., Psychoanalytic "technique" or the art of listening, inedito.
  33. Luban-Plozza B., Metodo di lavoro di Erich Fromm: appunti inediti.
  34. Fromm E. (1957), Medicine and the ethical problem of modern man; tr. it. la medicina e il problema etico dell'uomo moderno, in Dogmi, gregari, rivoluzionari, Comunità, Milano 1973, p. 189.
  35. Luban-Plozza B., Egle U. (1982), cit., p. 83.
  36. Ibidem, p. 83.
  37. Ibidem, p. 85.
  38. Ibidem, p. 81.
  39. Fromm E. (1950), Psychoanalysis and religion, Yale University Press. New Haven; tr. it. Psicoanalisi e religione, Comunità, Milano 1972, p. 72.
  40. Cusimano F.A., Luban-Plozza B. (1984), Erich Fromm, cit., pp. 17475.
  41. Fromm E. (1966), Voi sarete come dei, cit., p. 115.
  42. Fromm E. (1950), Psicoanalisi e religione, cit., pp. 8081.
  43. Fromm E. (1973), Anatomia della distruttività umana, cit., p. 247.
  44. Ibidem, p. 248.
  45. Luban-Plozza B., Egle U. (1982), cit., p. 85.
  46. Fromm E. (1976), Avere o essere?, cit., pp. 5657.
  47. Luban-Plozza B., Egle U. (1982), cit., p. 90.
  48. Fromm E. (1960), Psicoanalisi e buddismo Zen, cit., pp. 115116,
  49. Ibidem, p. 98.
  50. Ibidem, p. 117.
  51. Fromm E. (1973), Anatomia della distruttività umana, cit., p. 259.
  52. Fromm E. (1960), Psicoanalisi e buddismo zen, cit., p. 133.
  53. Fromm E. (1957), La medicina e il problema etico dell'uomo moderno, cit., pp. 204205.
  54. Fromm E. (1976), Avere o essere?, cit., pp. 168170.
  55. Fromm E. (1979), Greatness and Limitations of Freud's Psychoanalysis; tr. it. Grandezza e limiti del pansiero di Freud, Mondadori. Milano 1979, p. 61.
  56. Fromm E. (1966), Intervista con Evans, cit., p. 40.
  57. Luban-Plozza B., Appunti inediti, cit.
  58. Fromm E. (1966), Intervista con Evans, cit., p. 55.
  59. Fromm E. (1979), Grandezza e limiti del pensiero di Freud, cit., p. 96.
  60. Ibidem, pp. 9496.
  61. Ibidem, pp. 9798.
  62. Fromm E. (1966), Intervista con Evans, cit., p. 52.
  63. Fromm E. (1979), Grandezza e limiti del pensiero di Freud, cit., pp. 44 e sgg.
  64. Fromm E. (1963), Disobedience as a Psychological and Moral Problem, in A Matter of Life, Jonathan Cape. London; tr, it. in La disobbedienza e altri saggi, Mondadori, Milano 1982.
  65. Fromm E. (1951), The forgotten language, Holt. Rinehart and Winston, New York; tr. it. Il linguaggio dimenticato, Bompiani, Milano 1971, p. 19.
  66. Ibidem, p. 160.
  67. Ibidem, p. 161
  68. Luban-Plozza B, Egle U. (1982), cit., pp. 8788.
  69. Fromm E. (1966), Intervista con Evans, cit., p. 44.
  70. Fromm E. (1951), Il linguaggio dimenticato, cit., pp. 9495
  71. Fromm E. (1966), Intervista con Evans, cit., p. 49.
  72. Ibidem, p. 41.
  73. Luban-Plozza B., Appunti inediti, cit.
  74. Cusimano P. A., Luban-Plooza B. (1984), Erich Fromm, cit., p. 161.
  75. Luban-Plozza B., Appunti inediti, cit.
  76. Luban-Plozza B., Egle U. (1982), cit., p. 90.
  77. Cusimano F.A., Luban-Plozza B. (1984), Erich Fromm, cit., pp. 133134.
  78. Luban-Plozza B., Appunti inediti, cit.
  79. Luban-Plozza B., Egle U. (1982), cit., p. 92.
  80. Luban-Plozza B., Appunti inediti, cit.
  81. Fromm E.. (1973), Anatomia della distruttività umana, cit., p. 452.
  82. Fromm E. (1955), Psicoanalisi della società contemporanea, cit., p. 49.
  83. Fromm E. (1973), Anatomia della distruttività umana, cit., p. 542.
  84. Cusimano F.A., Luban-Plozza B. (1984), Erich Fromm, cit., p. 170.
  85. Fromm E. (1955), Psicoanalisi della società contemporanea, cit., pp. 5154.
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