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Qui e ora, avere ed essere

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Qui e ora, avere ed essere

L'articolo "Qui e ora, avere ed essere" é tratto dalla rubrica Spazio Psicoanalisi.

Nell'articolo si parla di:

  • Considerazioni sul qui e ora, la modalita' dell'avere e la modalita' dell'essere
  • Nota conclusiva sulla dialettica tra individuazione ed interazione analitica
  • Bibliografia
Psico-Pratika:
Numero 27 Anno 2007

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Articolo: 'Qui e ora, avere ed essere' (Pag 3)

A cura di: Romano Biancoli

Leggi la seconda parte dell'Articolo: Il processo di individuazione nella relazione analitica II

Considerazioni sul qui e ora, la modalita' dell'avere e la modalita' dell'essere
"...the central feature defining the interpersonal tradition, in contrast to mainstream Freudian psychoanalysis, became an emphasis on the here-and-now rather than the there-and-then" (Mitchell, 1997, p.84).

Nel lavoro clinico, Fromm compara un punto di vista psicogenetico con un punto di vista funzionale.
Entrambi, secondo lui, devono operare, alternandosi (1968b).
Il primo considera la storia dell'analizzando e la psicogenesi dei suoi aspetti attuali.
Il secondo e' trasversale e guarda alla totalita' funzionante dell'analizzando, alla sua complessita' in atto in un dato momento.
Conoscere la psicogenesi e' utile, come e' utile ogni informazione, ma e' col punto di vista funzionale che ogni aspetto della personalita' emerge in relazione a tutti gli altri aspetti, e' colto nella sua funzione attiva, "center-to-center".

Il punto di vista funzionale valorizza il qui e ora nella relazione analista-analizzando.
Fromm contribui' grandemente a introdurre nella psicoanalisi interpersonale il tema del qui e ora, che oggi ne costituisce uno dei temi piu' salienti (Ehremberg, 1992; Mitchell, 1997).

Anche se il suo libro "To Have or to Be?" fu pubblicato solo nel 1976, cioe' a coronamento di una vita dedicata alla psicoanalisi, i concetti di "modalita' dell'avere" e "modalita' dell'essere", pur non ancora espressi in termini definitivi, gia' operavano nel pensiero clinico di Fromm.
Secondo me (Biancoli, 1995), nel qui e ora della seduta si puo' sperimentare la modalita' dell'essere nel lavoro analitico.

A me sembra che se ci chiediamo quanto e' ampio il "qui" e quanto e' lungo l'"ora", cioe' se prendiamo in considerazione l'estensione del qui e ora, si apra un campo fertile di riflessioni.
Questa situazione in questo momento puo' essere pensata e sentita in molti modi.
L'estensione del qui e ora e' una produzione soggettiva che puo' essere inconscia e che puo' variare di momento in momento.
Si puo' pensare che faccia parte del dialogo analitico anche il reciproco adattarsi di analista e analizzando sulla percezione del qui e ora e che dilatarne l'ambito esperito sia una sottile difesa da una immediata situazione a due nell'attimo presente.
Un qui e ora esteso, non importa quanto, anche poco, anche solo il qui della stanza dell'analista e l'ora di questa seduta, puo' essere analizzato.
Cioe' l'estensione del qui e ora consente la sua analisi, proprio in senso etimologico (dal greco "analysis", da "analyo", io sciolgo), cioe' la scomposizione di un tutto nelle sue parti.
In tutti i campi della conoscenza umana analizzare comporta l'operazione di scomporre cio' che si sta analizzando, di decomporlo nelle sue parti (Lalande, 1926).
Si procede di scomposizione in scomposizione, fino a risolvere ogni complessita' nei suoi componenti elementari non ulteriormente scomponibili.
Se pero' l'estensione del qui si ritrae fino a renderlo puntiforme e la lunghezza dell'ora si riduce all'attimo, il qui e ora diventa un punto limite dello spazio e del tempo, vi rientra e vi si sottrae, in particolare si sottrae al governo del tempo (Fromm, 1976, p. 361), e puo' essere sperimentato solo nella modalita' dell'essere.
Secondo me, un modo di vedere il rapporto tra psicoanalisi e mistica puo' essere proprio questo, basato sull'idea che il qui e ora sia piu' o meno esteso nel vissuto delle persone coinvolte.
La situazione presente ha una sua vastita', anche se rientra in questo luogo qui e non si trova in quel luogo la', lontano nello spazio.
Il presente e' un tempo storico distinto dal passato, e' misurabile con il calendario, o con l'orologio se e' il tempo di oggi, di questa seduta, ore e minuti e secondi.
Anche se non consideriamo solo il tempo cronologico, il tempo obiettivo, anche se ci riferiamo al tempo vissuto, al tempo come durata interiore (Bergson, 1902), al tempo soggettivo, il presente, appunto, dura, si estende.
Piu' il qui e ora si estende piu' e' analizzabile, piu' si raccoglie e contrae nella situazione dell'attimo presente piu' si presta all'esperienza intuitiva, non analitica, mistica.
Cioe' un'esperienza di unita' che non esclude nessuna facolta' intellettuale, ma subordina l'analisi alla visione di sintesi, la logica formale alla logica paradossale.
Tauber (1979) descrive efficacemente l'esperienza mistica.

Mystical experience consists in experiencing the "here and now" in its immediacy where rational, objective, discursive elements are subordinated to intuitive, nondiscursive, nonanalytic elements.
Mysticism, however, does not repudiate the unconscious cognitive components in the total perceptive encounter with reality.
It is opposed to the process whereby one simply uses reason to the exclusion of the other qualities in man's total self which participate in understanding what goes on around him.
Mysticism attempts to avoid duality.
It seeks the experience of oneness (p. 207-8).

Nella modalita' dell'avere l'accento affettivo dell'esperienza e' posto sulle cose che si hanno, il proprio aspetto, la propria intelligenza, le proprie abilita', la propria casa, ecc.
L'identita' della persona tende a ritrovarsi in un deposito di cose.
Il passato diventa una serie di fatti, un inventario di eventi e possessi.
Cio' che si possiede si puo' perdere, ogni cosa e' a rischio.
Esiste un'ansia specifica ed inevitabile di perdere cio' che si ha.
E' un'ansia socialmente posta, dato che e' la societa' a favorire strutture di carattere a cui e' piu' consona la modalita' dell'avere.
Questo punto di vista potrebbe ispirare ricerche empiriche di antropologia culturale, per verificare i rapporti tra diversi assetti sociali e modalita' dell'avere e modalita' dell'essere.
Per quanto riguarda le societa' occidentali, dobbiamo riflettere su come la caratterologia si radica nella storia.
Dalla fine del medioevo al secolo XIX si e' svolto il processo sia dell'"accumulazione originaria" del capitale (Marx, 1861) sia della formazione successiva di grandi patrimoni che fornivano le basi di investimento nello sviluppo industriale (Sweezy, 1942; Dobb, 1945; Romeo, 1959; Dal Pane, 1962).
Per tali gigantesche concentrazioni di ricchezze, oltre alle violenze materiali su scala mondiale e al risparmio forzato cui venivano costrette le classi povere, erano necessarie componenti psicologiche orientate alla modalita' dell'avere, che favorissero il risparmio volontario e limitassero i consumi delle classi meno povere e agiate.
Il denaro accumulato veniva poi drenato per via bancaria verso gli investimenti industriali.
I tratti anali (Freud, 1908) o "accumulanti" (Fromm, 1947) del carattere erano estremamente funzionali e venivano favoriti nelle famiglie e negli individui.
Poi sopravvenne lo spaesamento individuale e collettivo, quando le economie opulente del '900 spinsero la domanda ad anticipare l'offerta e il mercato a sopravanzare la produzione.
Venne promosso un crescente consumo di beni.

Allora divennero funzionali i tratti orali-ricettivi del carattere e quelli mercantili.
Si trattava e si tratta della modalita' dell'avere improntata al mercato.
Il bene concreto, con le sue qualita' intrinseche, la sua utilita' come idoneita' a soddisfare bisogni, ottiene sul mercato un prezzo che prescinde da quel suo valore d'uso e corrisponde a un valore di scambio determinato dall'incontro fra domanda e offerta.
Tale qualita' di merce, in modi diretti e in modi traslati e simbolici, spetta anche alle persone sui piu' vari mercati del lavoro, dove il valore di scambio che esse si vedono riconosciuto e' tanto piu' alto quanto piu' sono richieste.
L'orientamento di carattere mercantile si forma quando la persona non da' importanza alle sue qualita' interiori, alla sua onesta', alla sua integrita', alla sua tenerezza, alle sue abilita', ai suoi interessi umani, e si porge agli altri in modo da piacere il piu' possibile, ottenere il massimo successo personale, professionale ed economico.

Le societa' occidentali contemporanee sono caratterizzate, oltre che dalla generalizzazione di alienanti rapporti di mercato tra le persone, dallo sviluppo imponente delle tecnologie, particolarmente di quelle informatiche, tanto che si e' sviluppata una inconscia "cybernetic religion" (Fromm, 1976).
"Cybernetic man" pensa ma non sente.
"Perhaps the most striking trait in him is the split between thought-affect-will" (Fromm, 1973, p. 319).
Questo tipo umano adotta la modalita' dell'avere dissociando l'intelletto dai sentimenti e dalle emozioni.
Crede di sentire e invece pensa a un sentimento, crede di emozionarsi e invece pensa ad una emozione.

Le esigenze di funzionamento della societa' modulano l'ansia di separazione nell'individuo, per ottenere una sua dipendenza ottimale.
Si da' un arresto, socialmente favorito, del processo di individuazione, il quale renderebbe le persone piu' autonome, meno condizionabili, piu' capaci di esercitare il loro spirito critico e di esprimersi liberamente.
Pare che le societa' storicamente date tendano ad un livello di autonomia dell'individuo che sia adeguato alle loro esigenze di funzionamento.
Tale livello e' piu' alto nei regimi democratici che nei regimi dittatoriali ed e' un risultato della storia di un dato paese, oltre che delle esigenze di funzionamento dell'assetto socio-economico attuale.
Possiamo osservare infatti che le societa' che hanno assimilato nelle loro culture i tratti piu' caratterizzanti del Rinascimento e dell'Illuminismo sanno darsi ordinamenti politici non solo piu' tolleranti ma anche piu' favorevoli allo sviluppo di una mentalita' aperta, dello spirito critico e dell'amore per la liberta' e la giustizia nei cittadini.
Se pero' l'autodeterminazione degli individui si spinge troppo oltre per come e' configurato un dato assetto sociale, essa diventa rivoluzionaria, cioe' non compatibile con la conservazione di quell'ordinamento.
Gia' ben prima che una simile evenienza riguardi larghi strati di popolazione, entreranno in azione meccanismi difensivi anche manifesti, ma sopratutto assai sottili e magari inconsci per coloro stessi che li promuovono su larga scala.
Un'arma affilata di governo e' quella di suscitare ansia nei cittadini che si orientano alla ribellione, il che' puo' avvenire deliberatamente in forme ciniche e scaltre, ma anche inconsciamente.
La manipolazione inconscia a me sembra anche peggiore di quella decisa lucidamente, perche' richiede un piu' radicale e distorcente apparato ideologico, cioe' un corpo organico di razionalizzazioni e proiezioni, che disorienta non solo chi e' sottoposto al potere ma anche chi lo esercita.
Cosi' la societa' e' resa acefala.
L'ansia puo' essere sostenuta da elaborazioni ideologiche che si diffondono capillarmente nel tessuto civile e risuonano nell'inconscio sociale (Fromm, 1962).
Se la famiglia viene vista come agenzia psicologica della societa' (Fromm, 1932), si comprende l'efficacia frenante di suggestioni sociali mosse dalla paura del cambiamento.
Il sentire diffuso e le comunicazioni mediatiche permeano non solo il sistema educativo scolastico e familiare ma anche e inevitabilmente i piu' fini e delicati aspetti del rapporto madre-bambino.
Fattori inconsci ambientali possono spingere l'ansia materna a cercare placamento nell'attaccamento simbiotico o nel distacco affettivo, anziche' in un senso di fiducia nelle potenzialita' di crescita del bambino, con la gioia che ne consegue.
Posto che l'ansia di separazione sia l'ansia di base che contrasta il processo di individuazione, le politiche culturali di un dato paese che si pongano come manovre ansiogene producono l'effetto tendenziale di favorire le "fughe dalla liberta'".
Si consideri che l'ansia di separazione si presenta molto spesso come timore di non essere approvati dagli altri.
Si spiega cosi' il conformismo, che deve molto all'incapacita' emotiva di reggere la disapprovazione dell'ambiente sociale.
Al contrario, l'individuazione fa sentire il valore dell'originalita' e della differenza psicologica e spirituale tra le persone e apre alla modalita' dell'essere.

La modalita' dell'essere non si presta molto a venire descritta a parole, sia perche' le lingue storicamente date non le hanno assegnato molte parole, sia perche' non consta di solo intelletto e di pensiero verbalizzabile.
Il movimento di esperienza che le e' proprio non si lascia catturare da una concettualizzazione logico-formale.
I contenuti intellettuali non sono certo esclusi dalla modalita' dell'essere, ma non bastano a rappresentarla, concorrendovi in unita' ragione ed emozione, parola e silenzio.
Questa esperienza spirituale non e' fuori del tempo, ma non ne e' governata (1976, p.361).
La modalita' dell'avere invece rientra nel tempo cronologico e vede il presente come un prolungamento del passato, sentito come magazzino di ricordi.
Si hanno ricordi cosi' come si hanno cose.
Il qui e ora della seduta puo' resuscitare il passato, renderlo attuale e immediato, vivo in questo momento.
Anche il futuro puo' essere anticipato in un qui e ora gestativo.
Si tratta di confronti diretti tra analista e analizzando, di esperienze vitali del proprio essere individui, durante le quali sentire che l'altro sente e sentirsi svelati puo' dare gioia o conforto o spesso ansia che induce alla fuga dalla comunicazione.
L'ascolto dell'analista non e' solo ascolto di parole, ma un modo di essere presente.
Per Fromm, non basta l'atteggiamento di "evenly hovering attention" raccomandato da Freud (1912).
Oltre a questo, occorre un'attitudine vitalizzante da parte dell'analista, che crei un clima di interesse.
"Fromm expects a total, concentrated 'thereness' of the therapist to the patient" (Horney Eckardt, 1983, p. 397).

Fromm distingue tra "Ego" e "I" (1968a).
L'Ego, e' illusorio, poiche' esiste solo dal punto di vista della modalita' dell'avere.
L'Ego, come reificazione socialmente connotata della nostra identita', appartiene alla modalita' dell'avere, e' una cosa, un possesso, "the mask we each wear", "a dead image".
In quanto cosa, l'Ego e' descrivibile a parole, mentre non completamente descrivibile e' l'Io, non soggetto a piena rappresentazione intellettuale (1976).
L'Io emerge nella modalita' dell'essere come totale ed immediata esperienza di essere un attivo centro funzionante, vissuto tendenzialmente nella sua interezza che include relazione col mondo e anche percezione del corpo come esperienza e non come mero pensiero di esso.
L'emersione dell'Io viene impedita dalla paura della solitudine che si sente nello sperimentarsi individui unici.
Nell'Io culmina il processo di individuazione come cammino dall'unita' col grembo materno alla esperienza della propria unicita'.

Troviamo indubbi accenti mistici nelle convinzioni di Fromm, il quale ha sempre difeso insieme il razionalismo e il misticismo.
Egli (1950, p. 279) supporto' le sue posizioni citando una frase di Albert Schweitzer: "Rational thinking which is free from assumptions ends in mysticism".

Credo di poter accennare qui all'influenza di Groddeck su Fromm.
Vedo nel pensiero di Fromm una delle vie attraverso cui il contributo di Groddeck sui simboli e sul corpo puo' riaffluire nella psicoanalisi.
Fromm (1968b) afferma che bisogna sperimentare cio' che il paziente sta sperimentando, porsi al centro di lui, cosi' da vederne la totalita' funzionante qui in questo momento, il movimento interno che esprime le manifestazioni esterne.
La totalita' include il corpo, e nella relazione qui e ora ci sono l'analista e l'analizzando con i loro corpi.
Groddeck ci insegna che l'unita' del corpo e della psiche si riproduce continuamente ad opera dei simboli, attraverso i quali gli accadimenti del corpo diventano psichici e gli accadimenti della psiche diventano fisici (Groddeck, 1923; Biancoli, 1997).
Penso che l'empatia dell'analista porti a sentire gli affetti del paziente quando si lamenta del suo corpo e a porre attenzione al suo corpo quando si lamenta del suo dolore morale.

Fromm non dimentica mai il corpo quando elabora il suo pensiero psicoanalitico.
Nella sua teoria caratterologica tutti gli orientamenti del carattere vengono presentati anche nei loro aspetti fisici.
La seguente sua affermazione (1959, p. 5) e' molto importante sul piano clinico:

"Together with other people I believe that any thought which is not dissociated already is not only a thought of our brain, but a thought of our body.
We think with our muscles; we think with everything in our body, and if we think not with our body, if our body is not participating in a thought, then it is already a dissociated thought".

Groddeck non e' citato ma noi lo possiamo sentire nelle parole di Fromm, che insistono sull'integrata esperienza di se' propria dell'Io.

Secondo questa prospettiva, l'Ego dell'analista puo' permettersi un approccio tecnico tradizionale, con le regole classiche della neutralita', della anonimita' e della astinenza, ma difficilmente puo' permettersi una fine, sottile interazione interpersonale.
Ne consegue che e' l'esperienza che Fromm chiama "Io" quella che consente la relazione qui e ora.
Certamente, tutto questo puo' essere espresso in altri modi e secondo diverse concettualizzazioni; io qui sto proponendo una mia lettura di Fromm sulle tracce del cammino richiesto dal processo di individuazione.
La situazione analitica qui e ora e' la situazione che richiama al presente due persone a confronto.
Se le fughe nel la' e allora vengono riportate nel qui e ora, la maschera dell'Ego finisce con l'incrinarsi e lascia tralucere l'Io.
Ma e' proprio l'Io l'esperienza d'approdo del processo di individuazione.

Fromm (1968b) pone un suggestivo parallelo tra la disposizione dell'analista e quella del romanziere che vede i suoi personaggi muoversi secondo la loro logica interna.
Egli dunque vuole evitare il "romanzo a tesi", attraverso il quale il romanziere cerca di dimostrare una sua teoria imponendo ai suoi personaggi modi di essere e comportamenti decisi aprioristicamente, a scapito del risultato artistico.
Credo sia proprio questo il motivo principale per cui non ha scritto un libro di tecnica psicoanalitica: ogni individuo e' unico, ogni rapporto analitico e' unico e questa unicita' e' un valore che puo' essere leso da applicazioni standardizzate di regole rigide (Lesser, 1992; Akeret, 1995).
Perseguire l'unicita' di ogni lavoro psicoanalitico significa far avanzare il processo di individuazione in entrambe le persone della coppia analitica, poiche' unicita' e individuazione sono connotati dello stesso movimento di emersione dell'esperienza dell'Io.
Ogni qui e ora e' sempre unico.
La tutela di questo principio sventa il rischio che la psicoanalisi, che ha il compito di combattere l'alienazione, si alieni essa stessa nella sua tecnica.

Nota conclusiva sulla dialettica tra individuazione ed interazione analitica

Nella prospettiva qui presentata non viene proposta una "psicoanalisi umanistica" (Fromm, 1992b, p. 64).
La psicoanalisi resta psicoanalisi senza aggettivi.
Alla psicoanalisi come fenomeno storico-culturale complesso, che ha un secolo di vita, si rivolge l'umanesimo, che da millenni si muove nella storia.
L'umanesimo interpella la psicoanalisi, entra in rapporto con essa e la sollecita ad esprimersi e a svilupparsi su temi umanistici.
La psicoanalisi reagisce chiarendo aspetti di se' e proponendo all'umanesimo le sue metodiche e le sue conoscenze sull'essere umano.

Il lavoro psicoanalitico ispirato all'umanesimo radicale si propone il mutamento del paziente da un orientamento alla passivita' interiore e al possedere ad un orientamento all'attivita', avviando il cammino dalla modalita' dell'avere alla modalita' dell'essere, che e' anche il cammino dell'individuazione.

L'analisi e' un dialogo tra analista e analizzando, volto a chiarire chi e' quest'ultimo e perche' e' cosi', cioe' a muovere il suo processo di individuazione.
Il dialogo si basa su risposte e reazioni emotive comunicate reciprocamente e a cio' che comunica l'analizzando l'analista reagisce emotivamente e comunica la propria reazione (Fromm, 1968b).
Pertanto si attiva anche il processo di individuazione proprio dell'analista, che viene a conoscere sempre meglio se stesso attraverso la relazione analitica (Groddeck, 1926; Searles, 1972; Casement, 1985; Dupont, 1988; Aron, 1991, 1992; Blechner, 1992).
Entrambe le identita' sono in gioco.

La particolare competenza dell'analista e' quella di essere il paziente mentre e' se stesso (Fromm, 1960, 1968b), un paradosso dell'arte psicoanalitica.
E' possibile all'analista di sentire in se' quel che il paziente sente ma non e' ancora consapevole di sentire.

L'analista puo' sentire in se', puo' fare esperienza diretta del transfert dell'analizzando immedesimandosi in lui o lei e sentendo quello che sente lui o lei.
Anche la reazione dell'analista al transfert dell'analizzando, al sentirsi suo idolo, fa parte della loro relazione, come battuta del dialogo.
Se tale reazione non e' controtransferale, cioe' idolatrica anch'essa, ma umanistica, volta a evidenziare la distorsione, a renderla conscia all'analizzando al fine di analizzare il transfert, l'analista mantiene aperta la via di entrambi al processo di individuazione.

L'analista non sente solo il paziente, ma anche se stesso, nell'esercizio di scoprire la propria umanita' nell'altro, di sperimentare l'universale umano in se' e nell'altro.
Visioni distorte e visioni obiettive da ambo le parti si alternano e si incrociano.
Vi e' un fluire di intrecci tra i due aspetti e il cammino dell'individuazione e' il percorso stesso dell'obiettivita' che si apre la strada attraverso le distorsioni tanto del transfert quanto del controtransfert.
Si instaura cosi' una dialettica tra processo di individuazione e fuga da esso in un gioco a due, due che rispondono qui e ora all'interrogativo dicotomico esistenziale in se' stessi e nell'altro.

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