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Lo psicoterapeuta: un mito da sfatare
scritto da:
Dott. Stefano Sirri
Direttore del Centro HT
- HT Page Stefano Sirri
articolo tratto da psico-pratika - Numero 12 Anno 2005
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Articolo: 'Lo psicoterapeuta: un mito da sfatare'
LA PSICOTERAPEUTA: UN MITO DA SFATARE
Mi piace molto parlare con i colleghi, confrontarmi con loro, e discutere della nostra professione.
Nel fare questo mi sono reso conto che esistono molti miti all'interno della psicologia, miti che sono ad uso e consumo di noi psicologi.
Uno dei piu' importanti riguarda le prospettive lavorative del proprio studio clinico.
Nella clinica non c'e' piu' lavoro: c'e' troppa concorrenza.
Ebbene si', siamo oltre 40.000 colleghi, con un tasso di crescita vorticoso.
Siamo in tanti, questo e' vero, e siamo in forte aumento, ma contrariamente a quello che si pensa non siamo (per ora) in troppi.
Allora perche' tutti i neo colleghi lamentano scarse opportunita' professionali?
Il motivo e' duplice:
1) La maggior parte dei neo-colleghi vuole lavorare come dipendente, mentre nella nostra professione la preponderanza dei posti
sono di tipo libero-professionale.
Se su 100 colleghi 90 vogliono fare i dipendenti, e se su 100 posti a disposizione solo 10 sono da dipendenti, ne consegue che 90 persone ambiscono
a soli 10 posti...
... e purtroppo si ritrovano a vivere una vera e propria odissea.
Come conseguenza, e a ragione, questi 90 si lamenteranno, queste lamentele produrranno negli studenti e nella categoria tutta, l'immagine di una
professione al collasso, perche' questi 90 sono il 90% di chi cerca lavoro oggi nella psicologia!
2) Il secondo aspetto e' che gli psicologi senior non hanno avuto bisogno di promuoversi come lo abbiamo noi oggi.
Questa sensazione di "saturazione" della psicologia non l'abbiamo solo noi giovani colleghi, ma anche i colleghi piu' maturi ...
Quelli che oggi sono i senior, in pratica sono stati i primi psicologi in italia.
Il loro ingresso nel mondo del lavoro e' stato piu' facile. Al tempo era piu' semplice per tutte le discipline, per esempio capitava spesso che appena laureato ti venissero a cercare con proposte interessanti, ma oggi questo non capita piu' a nessuno.
Quindi, proprio per il fatto di essere stati i primi hanno avuto tutto lo spazio a disposizione, ovvero non si sono mai dovuti porre una serie di problemi che oggi sono cruciali: "come faccio a lavorare?"; "perche' qualcuno dovrebbe venire proprio da me?"; "affitto uno studio e poi?"; ecc.
Il doversi arrangiare, inventarsi dei modi per farsi conoscere, ecc., sono tutte cose che loro non hanno vissuto come noi, sono estranee al loro modo di pensare, e quindi, in conclusione, sono cose che non ci hanno potuto insegnare.
Non solo, il fatto che noi abbiamo questi problemi, fanno pensare (anche a loro) che la nostra categoria sia al collasso, quando in realta' queste problematiche sono normali per qualsiasi professione, ma semplicemente sono nuove per la nostra (essendo la nostra una categoria giovane).
Al giorno d'oggi tutti i lavori hanno bisogno dell'aspetto "autopromozione", perfino il dentista, o anche il veterinario, che e' la professione intellettuale a piu' elevato tasso di occupazione.
Mettiamci nei panni del neo-psicologo che accarezza l'idea di aprire uno studio:
In che modo mi faccio conoscere? Che canali percorrere? Cosa fare esattamente?
Queste sono tutte domande che bloccano, che fanno sentire "perso", senza possibilita' di uscita, e quindi spingono le persone alla ricerca di sicurezze ("molto meglio fare l'educatore, non e' la stessa cosa, ma almeno rimango nel campo ed ho uno stipendio sicuro" un pensiero che sicuramente ha attraversato la testa di molti).
Un punto cruciale e' proprio questo: al giorno d'oggi se io mi limito ad aprire uno studio e mettere una targhetta non arriveranno abbastanza persone perche' io possa vivere di questo lavoro, eppure questo non significa nulla.
Se attivo anche delle reti relazionali, sviluppo dei canali di autopromozione, propongo dei servizi mirati, la situazione cambia notevolmente, ed anche un neo-collega con poca esperienza, puo', in tempi accettabili, sentirsi soddisfatto.
Quando dico queste cose, spesso mi si risponde dicendomi "ma noi non possiamo farci pubblicita', quindi non possiamo autopromuoverci", o parlandomi della legge della domanda e dell'offerta.
Lo psicologo puo' farsi pubblicita'
Ci sono due aspetti importanti su questo:
1) La pubblicita' sanitaria viene regolamentata, non vietata
2) La regolamentazione tratta di pubblicita' sanitaria, non di tutta la psicologia
Tra il sanitario e lo psicologico c'e' una linea di confine a volte sfumata, ma c'e'.
Se io promuovo un corso per superare le fobie, o per gestire le ansie, smettere di fumare, ecc., sono sulla linea di confine, quindi e' dubbio se sia un ambito prettamente sanitario o meno.
In questi casi faccio formazione, empowerment, autoconsapevolezza, o terapia di gruppo?, non esiste una risposta univoca, dipende da come gestisco il gruppo, da quello che concretamente faccio. Anche gli ordini regionali su questi temi non sono concordi tra loro, alcuni lasciano piu' liberta', altri sono maggiormente restrittivi.
Se io sviluppo, invece, una serie di corsi sulla comunicazione, sulle relazioni di coppia, sul rapporto genitori-figli, sull'autostima, ecc. sono indiscutibilmente fuori dall'ambito sanitario, e quindi le restrizioni sulla pubblicita' sanitaria non si applicano (ovvio che comunque devo rispettare il decoro della professione).
Nonostante questo voglio sottolineare che, anche nel caso in cui io svolgessi solo attivita' sanitaria, posso autopromuovermi e farmi "pubblicita'", solamente devo sottostare ad una regolamentazione, e quindi fare maggiore attenzione.
La psicologia dentro la legge della domanda e dell'offerta
Alcuni colleghi mi fanno notare che la clinica non e' equiparabile ad un altro settore, in cui attraverso pubblicita' mirata puoi aumentare la domanda, e quindi creare nuova occupazione.
Nell'obiezione che mi viene rivolta si presume che per creare una nuova domanda dovresti, paradossalmente, creare patologie!
Ovviamente nessuno auspica un aumento delle patologie, ma il punto importante e' un'altro.
Abbiamo parlato di domanda e offerta. Cosa c'e' subito prima della domanda?
Semplice: il bisogno che l'offerta andra' a soddisfare.
Le persone hanno una serie di bisogni da soddisfare, questi bisogni possono sfociare in altrettante domande, oppure non farlo, dipende ...
... dipende anche da noi.
Esiste una ricerca molto interessante che ha sviluppato l'Ordine della Toscana e che va a spiegarci alcune cose proprio a questo proposito.
Cito due pezzi della ricerca, perche' sono illuminanti (da pag. 76):
"Come ne esce la figura dello psicologo, da questa lettura della Cultura Locale toscana? Possiamo dare una risposta a questo interrogativo, assumendo due punti di vista diversi.
Se si guarda alla valutazione dell'attuale reputazione dello psicologo, si puo' dire che essa sia di buon livello."
...
"Se si guarda, di contro, alle potenzialita' di sviluppo della professione psicologica in Toscana, si puo' notare una profonda discrasia, una contraddizione palese tra modelli della professione praticati, in modo maggioritario, dagli psicologi ed attese presenti nella cultura della popolazione.
L'elemento centrale della contraddizione e' rappresentato dalla rappresentazione della psicoterapia: considerata quale sbocco professionale ottimale dalla gran parte degli psicologi, ed al contempo poco presente nelle attese attuali (10% circa), "
Renzo Carli, Rosa Maria Paniccia e Sergio Salvatore - "L'immagine dello psicologo in Toscana"
Ricerca condotta da SPS (Studio di Psicosociologia) per conto Ordine degli Psicologi della Toscana, Aprile 2004
Ovvero:
1) l'opinione che le persone hanno dello psicologo e' positiva
2) solo il 10% delle persone si aspetta che lo psicologo si occupi di terapia, mentre il 90% delle persone vorrebbe dallo psicologo altre cose (sempre dalla stessa ricerca:"Al tempo stesso, la ricerca mostra che la domanda rivolta alla psicologia e' potenzialmente molto forte ed avanzata. Una domanda che vorrebbe lo psicologo quale agente per lo sviluppo dei sistemi di convivenza, capace di cogliere i problemi insiti nella relazione tra persone e sistemi organizzativi della convivenza stessa."; "... lo psicoterapeuta e' oggetto di diffidenza e critica."; "[la psicoterapia] Se e' vero che gli psicologi la valorizzano, e la popolazione tende a svalutarla, si puo' capire come gli psicoterapeuti, che non sembrano accorgersi di questa discrasia nella rappresentazione della propria professione, vengano percepiti come professionisti totalmente autocentrati, interessati solo alla propria prassi ed alla corporazione d'appartenenza.").
Leggendo questa ricerca sembra proprio che la cultura in Italia sia cambiata, e noi non ce ne siamo neppure accorti.
Tornando alla nostra legge della domanda e dell'offerta: noi psicologi, lavorativamente parlando, ci rivolgiamo principalmente verso la psicoterapia, mentre il 90% delle persone non ci vede come psicoterapeuti.
Quindi se lo studio inteso in senso classico (terapeutico) non e' piu' popolato come una volta, che significa?
Che non c'e' piu' posto per gli psicologi, oppure che la nostra cultura e' cambiata, e noi dovremmo adeguarci ai nuovi bisogni delle persone?
Forse non ci siamo ancora abituati ai ritmi della vita di oggi, alla velocita' con cui cambiano le percezioni della gente ... Per esempio tutti noi ricordiamo che "solo" 10 anni fa il cellulare era un oggetto che sollevava polemiche tra chi era contro e chi era a favore, posizioni che se prese oggi ci sembrerebbero fatte da una persona probabilmente "fuori dal mondo". Nello stesso modo 5 anni fa internet era una cosa per pochi, infatti nei primi anni 2000 solo 1 famiglia su 3 disponeva di un collegamento a internet (dato ottenuto sommando i collegamenti da casa e quelli dal lavoro).
Oggi si cerca di programmare la propria vita, di capire se stessi e gli altri, c'e' voglia di crescere, di prendersi del tempo per se stessi, ci si pongono obiettivi diversi rispetto a solo 10-20 anni fa ...
E capita spesso che ci siano persone, anche relativamente giovani, che sentono la necessita' di ricominciare da zero, riprogettare la propria vita, prenderla in mano e decidere cosa fare.
Ma tutto questo e' impossibile da fare finche' una persona non si e' fatta chiarezza dentro di se'.
Detto in breve: "se non so chi sono, non riusciro' a trovare il mio spazio nel mondo"; "se non so cosa voglio, non riusciro' mai ad ottenerlo".
Ed ecco un fiorire di counselor, di corsi di "empowerment", di comunicazione, di personal coach, fino ad arrivare alle camminate sui carboni ardenti e cose simili.
Tutte queste cose, in alcuni casi sviluppate in maniera seria, in altri meno, e quasi mai tenute da noi psicologi ...
In conclusione le persone hanno un'opinione positiva di noi, sentono la necessita' della psicologia come non mai, ma in modo diverso a come siamo abituati a ragionare: meno terapia e piu' crescita personale, i bisogni si sono spostati dall'individuale ("io ho un problema"), al microgruppo (le relazioni personali).
Il punto tragico e' che noi stiamo perdendo tempo, lasciamo vuoti molti spazi che poi altri colmeranno e stanno gia' colmando.
Un abbraccio.
Stefano Sirri |
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