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Terrorismo: Aspetti psicologici

scritto da:
Dott. Angelo De Micheli

psicologo psicoterapeuta

articolo tratto da psico-pratika - Numero 13 Anno 2005

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Articolo: 'Terrorismo: Aspetti psicologici'


TERRORISMO - ASPETTI PSICOLOGICI


Le passioni caratterizzano l'essere umano: invidia, gelosia, odio sono quelle meno desiderabili ma ben presenti nel mondo. Come nascono? Perche' riescono a condizionare il nostro modo di agire e di essere? E dare una risposta a queste domande ci potra' aiutare a capire, ovviamente da un punto di vista esclusivamente "psicologico", come si possa arrivare ad estremi come quello di uccidere centinaia di donne e bambini indifesi come e' accaduto a Beslan o succede quotidianamente in Iraq.

Sembra strano che per parlare dell'odio si debba partire dall'amore ma, come ben sanno gli psicanalisti, l'amore troppo spesso si trasforma in odio. Quando l'oggetto amato sfugge al nostro controllo, al nostro desiderio di possesso, alla nostra aspettativa di predominio, l'amore si trasforma facilmente in rivendicazione, di cio' che ci e' stato portato via o che abbiamo tanto bramato e non ci e' stato concesso, e poi in odio.

Amore e odio hanno le radici in comune: se l'amore puo' finire, l'amante puo' tradire ecco che l'oggetto della passione si trasforma in oggetto di odio. E' l'angoscia della perdita o della possibilita' di perdita a pilotare questi processi di riconversione dall'amore all'odio. Jung soleva dire che l'odio non e' il contrario dell'amore ma e' l'altra faccia della stessa medaglia.

Intere razze umane per piu' generazioni sono state oggetto di torti, di vessazioni, di ingiustizie e, questo ha rappresentato la culla dove l'odio puo' maturare, prolificare e diffondersi per esprimersi poi in comportamenti che agli occhi di molti appaiono incredibili, impossibili, disumani.

Passioni come l'odio e la vendetta hanno come punto di riferimento l'altro, il bersaglio verso il quale sono indirizzate. Due emozioni che da sempre hanno richiamato l'attenzione prima dei filosofi e poi degli psicologi. Ne hanno scritto Sant'Agostino, San Tommaso e, in tempi piu' recenti Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, Melanie Klein, studiando il comportamento dei bambini e illustri psicologi come Winnicot e come lo psicoterapeuta francese Lacan.

Freud, come ricorda il dottor Massimo Recalcati nel suo recentissimo libro "Sull'odio" (edizioni Bruno Mondadori) "insegna che cio' che si odia nell'altro e' quella parte di noi stessi che ci risulta insopportabile" quella parte che e' in contrasto con la rappresentazione ideale che ci siamo fatti di noi. In pratica quando la nostra immagine ci delude, la sola possibilita' e' "proiettarla" sull'altro, su un nemico, su qualcuno che viene considerato pericoloso, straniero, diverso, per esempio perche' extracomunitario o diverso per orientamenti sessuali, i gay, e quindi penalizzarlo, escluderlo. Gli omosessuali dall'Antico Testamento a tempi ancora recenti sono stati ingiustamente bersaglio di pregiudizi e di emarginazione sociale proprio da parte di chi temeva di scontrarsi o doveva negare e celare le proprie componenti omosessuali. Lo psicoanalista Lacan ha una sua teoria per spiegare il processo di formazione dell'odio. Lo attribuisce alla prima infanzia, quando il bambino esplora il mondo e, prima di tutto, vede se stesso nello specchio. Lo specchio gli offre la possibilita' di vedersi e, nello specchio, il bambino ritrova un'immagine perfetta, ideale che sente pero' diversa dall'immagine che ha di se, quella che consoce e che usa nella vita quotidiana. Lacan dice "l'immagine dello specchio contiene una perfezione ideale che manca all'essere del bambino. Dunque l'immagine di se' amata e' anche l'immagine di se' odiata, detestata, rifiutata".

Per lo psicoanalista francese questa ambivalenza nei confronti della propria immagine puo' essere la sorgente di comportamenti aggressivi, al punto da essere patologici, ne deriva che il comportamento aggressivo verso l'altro e', di fatto, una aggressivita' scatenata verso chi rappresenta e in modo parziale o totale una parte di noi stessi, quella parte che non ci piace. "Non a caso – precisa la dottoressa Enrica Beringheli, psicoanalista - Jung parla di ombra personale e di ombra collettiva, nella quale vengono relegati gli aspetti piu' oscuri della personalita' che pur appartenendoci rifiutiamo perche' ritenuto inaccettabile, sia a livello individuale che di gruppo".

«L'odio - scrive Recalcati - e' una passione cieca. Cio' che si odia nell'altro e' cio' che non si tollera o non si vuole vedere di se stessi". Ne nasce un conflitto che degenera: "l'odio esige la distruzione continua del suo avversario", scrive Joseph Contrad nel suo romanzo: "I duellanti". Ovviamente c'e' il rischio che alla fine non ci siano ne vincitori ne vinti.

E' quello che succede con i terroristi kamikaze: uccidono e si uccidono. Dall'odio nasce il terrorismo. Anche il terrorismo puo' infatti essere "spiegato" in termini psicoanalitici o meglio "anche" in termini psicanalitici, visto che e' evidente che ha molte radici: da quelle storiche - sociali a quelle economiche, da quelle politiche a quelle religiose.

Dal "non voler vedere" (in se stessi) caratteristica dell'odio deriva la tipica cecita' di questo sentimento che, portato ai suoi limiti estremi, puo' andare a colpire indifferentemente donne e bambini, malati e anziani. "Accecati" dall'odio - ci dicono le cronache - si puo' arrivare a colpire non solo quel singolo che si ritiene essere il nemico, ma tutta la sua famiglia, i suoi amici.

Piu' ancora, si possono colpire tutti quelli che, a torto o a ragione, vengono in qualche modo considerati riconducibili all'avversario. Ed ecco che, in termini psicoanalitici, diventano "comprensibili" anche massacri come quelli cui abbiamo assistito in questi giorni.

"Piu' che comprensibili direi leggibili, interpretabili in quanto riconducibili all'ambivalenza di fondo dell'essere umano. Soprattutto se com-prensione significa prendere con se'"– ricorda la dottoressa Beringheli.

Con una macabra cadenza di immagini giornali e televisione ci fanno vedere le stragi messe in atto da attentatori suicidi contro migliaia di persone innocenti: dalle torri gemelle di New York, alla scuola dell'Unione Sovietica, dalla Cecenia alla Turchia e alla Spagna.

«Uccidere in nome del bene, in nome di Dio - scrive Recalcati - significa non porre piu' limiti al male" e questa agghiacciante logica apre le porte a tutte quelle drammatiche situazioni di cui la stampa ci informa quotidianamente. I fondamentalisti "identificano un ideale di purezza che porta all'odio dell'altro, vissuto come impuro, corrotto".

Come puo' un uomo, una donna o addirittura un bambino immolarsi in nome di un Dio, tanto crudele da volere la morte dei suoi stessi fedeli? Dove nei testi sacri dell'Islam si esalta il suicidio? prova rispondere a questi interrogativi Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo musulmano all'universita' di Trieste nel suo recentissimo libro "Lettera a un kamikaze, edizioni Rizzoli, cercando di indagare sui complessi rapporti tra Islam e Occidente. Le sue conclusioni fanno chiarezza sugli insegnamenti della religione islamica, dove si evidenza la condanna verso chi versa sangue innocente ed invita riflettere sull'opportunita' del perdono, "un perdono che deve saper guardare oltre le ferite di una storia che spesso opera una distinzione troppo netta tra vittime e carnefici".

La seduta psicoanalitica diventa il momento in cui il paziente paga lo psicoanalista per poter sopravvivere all'amore spietato o all'odio spietato; il terapeuta diventa in modo alternativo il soggetto d'amore che Freud chiama transfert positivo, e il soggetto dell'odio, da lui chiamato transfer negativo, dove l'unico dono che il terapeuta puo' fare, un dono difficile, complesso ma risanatore, e' quello di sopravvivere all'odio del paziente.

«La psicanalisi - ricorda Recalcati - percorre una via opposta e contraria a quella del fondamentalismo. Mentre il fondamentalista attribuisce il male all'altro e si propone di fare il bene dell'altro attraverso il male", il lavoro dello psicoanalista, come ha piu' volte detto Freud consiste nel "togliere la rimozione", in pratica nel poter vedere che il male, il cattivo abita in realta' dentro noi stessi».

"Se, come dovrebbe, il percorso analitico e' ricostruzione della storia (individuale e collettiva) che integra il "non detto" e il "non visto", rendendo visibile e raccontabile il male dentro, e' possibile allora lavorare alla riparazione di se' e della storia- chiarisce la dottoressa Beringheli e conclude - e ancora, "vedere, vedersi" (andare oltre l'odio che acceca), permette di sentirsi un po' piu' simili agli altri da un lato e rispettosi dell'alterita' dall'altro per entrare, come diceva lo psicoanalista Alfred Adler, in una dimensione di compartecipazione emotiva che e' il vero stimolo al sentimento sociale".

Angelo De Micheli

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