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Covid-19 e funzioni cognitive: le conseguenze neurologiche della malattia Italia. Il 60,5% degli ex pazienti guariti dal coronavirus mostra conseguenze neurologiche collegate alla malattia
L'articolo " Covid-19 e funzioni cognitive: le conseguenze neurologiche della malattia" parla di:
- Coronavirus e Sistema Nervoso Centrale
- Test neuropsicologici sui pazienti guariti
- Deficit e alterazioni emerse dalla ricerca
A cura di: Redazione - Pubblicato il 01 Marzo 2021 Covid-19 e funzioni cognitive: le conseguenze neurologiche della malattia Italia. Il 60,5% degli ex pazienti guariti dal coronavirus mostra conseguenze neurologiche collegate alla malattia
Milano. A distanza di mesi dalla guarigione, il 60,5% degli ex pazienti Covid-19 soffrirebbe di anomalie cognitive come rallentamento
mentale, ottundimento e difficoltà di memoria. Queste problematiche non sarebbero correlate ad eventuali stati depressivi, bensì
alla gravità dell'insufficienza respiratoria patita durante la fase acuta della malattia.
A evidenziarlo uno studio pubblicato lo scorso 13 febbraio 2021 sulla rivista Brain Sciences e coordinato dalla Dott.ssa Roberta
Ferrucci*, al quale
hanno collaborato il Centro "Aldo
Ravelli"*,
l' ASST* Santi Paolo e Carlo e l'IRCCS Istituto Auxologico di
Milano*.
Premesse.
Come spiegato dagli autori nell'introduzione, l'infezione da SARS-CoV-2 ha mostrato col tempo di essere in grado di colpire non solo l'apparato
respiratorio, ma anche altre zone e funzioni del corpo, in modo particolare il Sistema Nervoso Centrale, alterandone anche la struttura e provocando
sintomi neurologici. Tra quelli riscontrati nei pazienti affetti da Covid-19 rientrano soprattutto mal di testa, mialgia (dolore che colpisce uno
o più muscoli), anosmia (la perdita totale dell'olfatto), vertigini, ageusia (la perdita del senso del gusto), ma sono state registrate anche
lesioni muscolo-scheletriche ed encefalopatia.
Dal momento che molti meccanismi colpiti dal virus sono in grado di provocare alterazioni cerebrali e studi recenti hanno dimostrato come vi sia un
maggior rischio di declino cognitivo tra coloro che sono guariti dall'infezione da SARS-CoV-2, il team di ricercatori italiani ha deciso di concentrare
i propri studi sulle anomalie cognitive riscontrabili nei mesi successivi alla dimissione ospedaliera.
Sviluppo della ricerca.
Per l'indagine sono stati reclutati 38 pazienti (di cui 27 uomini) di età compresa tra 27 e 34 anni, ricoverati per le complicazioni da
infezione da SARS-CoV-2 presso le unità Covid non intensive degli ospedali Santi Paolo e Carlo di Milano tra Febbraio e Aprile 2020.
I partecipanti sono stati sottoposti a test neuropsicologici dopo 5 mesi dalle dimissioni.
Durante la ricerca si è tenuto conto di variabili come la durata del ricovero, l'ossigenoterapia somministrata, il "tempo di clearance
virale" (ossia il tempo intercorso tra il primo tampone risultato positivo e l'ultimo risultato negativo), eventuali comorbilità e deficit
cognitivi soggettivi dei pazienti.
Sono state raccolte anche informazioni relative alla pressione dell'ossigeno durante la degenza ospedaliera e sui livelli di ossigenazione
periferica all'arrivo in ospedale, nonché sulla gravità della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS).
Prima della valutazione neuropsicologica, i partecipanti sono stati sottoposti al MoCA (Montreal cognitive Assessment), un test di screening
che guarda al funzionamento cognitivo globale per valutare l'eventuale presenza di deficit.
Il funzionamento cognitivo dei soggetti è stato poi analizzato servendosi del Brief Repeteable Battery of Neuropsychological Tests
(BRB-NT), nello specifico attraverso i suoi 5 Test:
- Selective Reminding Test (SRT), che guarda alla capacità di memorizzare informazioni verbali a breve e lungo termine;
- Spatial Recall Test (SPART), che si occupa, invece, della memoria visuo-spaziale;
- Symbol Digit Modalities Test (SDMT), che valuta attenzione e velocità di elaborazione;
- Paced Auditory Serial Addition Test (PASAT), che analizza velocità di elaborazione, memoria di lavoro ed attenzione sostenuta;
- Word List Generation Test (WLG), che indaga la fluenza verbale.
Ai partecipanti è stato somministrato anche il Beck's Depression Inventory-II (BDI-II), per valutare i sintomi depressivi e
capire se avessero avuto un impatto negativo sulle loro prestazioni cognitive.
Risultati.
Dall'indagine è emerso come a distanza di mesi dalla dimissione ospedaliera, il 60,5% dei pazienti colpiti dal Covid-19 presenta anomalie
cognitive.
Nello specifico, il 42,1% mostra deficit nella velocità di elaborazione cognitiva, il 26,3% nelle funzioni di richiamo verbale ed il 21%
sia nella velocità di elaborazione che nella memoria verbale e spaziale a lungo termine.
Tali problematiche non sarebbero associate ad eventuali stati depressivi dei soggetti analizzati, bensì a ciò che queste persone
hanno sofferto durante la fase acuta della malattia, soprattutto alla gravità dell'insufficienza respiratoria patita.
Sono infatti emerse correlazioni positive tra:
- livelli di ossigeno nel sangue (PaO2, pressione parziale arteriosa di ossigeno nel sangue) e rapporto con quello inspirato dal paziente (Fi02,
frazione di ossigeno inspirata) durante il ricovero ospedaliero e la capacità di consolidamento della memoria verbale;
- livelli di saturazione di ossigeno nel sangue (SpO2) riscontrati all'arrivo in ospedale e le prestazioni di richiamo verbale.
La Sindrome da Distress Respiratorio Acuto (ARDS) durante il ricovero è risultata collegata a deficit nella memoria verbale.
Le analisi di neuroimaging hanno mostrato anomalie cerebrali indicanti problematiche legate al Codiv-19 in circa 1/3 dei pazienti acuti e
subacuti.
Le alterazioni riscontrate riguardano non solo i soggetti più anziani, ma anche i pazienti più giovani.
Conclusioni. Lo studio condotto dal team della Dott.ssa Ferrucci dimostra come le persone guarite dal Covid-19 possano soffrire anche dopo
mesi di deficit cognitivi vari, in modo particolare di maggiore stanchezza mentale, difficoltà di concentrazione e memoria, rallentamento
generale dei processi cognitivi.
Tali problematiche - affermano i ricercatori - possono interferire non solo con le attività quotidiane, ma anche con la capacità di
tornare a lavoro di questi pazienti. Quest'ultimo aspetto è importante soprattutto se si pensa agli operatori sanitari, nello specifico a
quanti devono prendere ogni giorno decisioni rapide e di un certo peso, come medici, chirurghi, infermieri.
Le prime valutazioni neuropsicologiche, quindi, possono portare benefici, permettendo di valutare sia il grado di compromissione dopo il ricovero
per Covid-19, sia l'impatto che la malattia potrebbe avere sulla loro capacità di riprendere l'attività lavorativa.
Sarebbe quindi importante - continuano gli autori - pensare ad interventi di riabilitazione cognitiva utili per migliorare la velocità di
elaborazione e la memoria dei pazienti.
Gli studi futuri dovranno poi concentrarsi attentamente sia sull'evolversi dei disturbi cognitivi nei soggetti guariti, sia sull'efficacia degli
interventi riabilitativi applicati.
Fonte
- Roberta Ferrucci et al., "Long-Lasting Cognitive Abnormalities after COVID-19", pubblicato su Brain Sciences, 13 Febbraio 2021
https://www.mdpi.com/2076-3425/11/2/235
Altre letture su HT
- Redazione, "Coronavirus,
Lockdown e salute mentale degli italiani", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 166, 2020
- Redazione, "Covid-19 e minori: indagate le conseguenze del
lockdown", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 168, 2020
- Redazione, "Covid: 4 italiani su 10
riluttanti ai comportamenti protettivi", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 169, 2020
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