Psicologia del lavoro: processo di selezione e distorsioni di giudizio Errori di valutazione e possibili accorgimenti
L'articolo " Psicologia del lavoro: processo di selezione e distorsioni di giudizio" parla di:
- I "rischi" della soggettività delle valutazioni
Attenzione alle dinamiche e ai processi di selezione Strategie per il contenimento delle distorsioni valutative
Articolo: 'Psicologia del lavoro: processo di selezione e distorsioni di giudizio Errori di valutazione e possibili accorgimenti'
A cura di: Monica Salvadore
INDICE: Psicologia del lavoro: processo di selezione e distorsioni di giudizio
- Il processo di selezione
- Gli errori di valutazione: i pregiudizi
- Effetto alone
- Effetto alone in azione: l'abbaglio della seduzione
- Effetto indulgenza/severità ed effetto di tendenza centrale
- Effetto primacy ed effetto recency
- Effetto equazione personale ed effetto di contrasto
- Impostazione iniziale prevenuta
- Conclusioni
- Bibliografia
Il processo di selezione
In questo articolo sarà trattata l'area di intervento storica della Psicologia del lavoro, ossia la selezione del personale, che ha avuto
un ruolo rilevante nel definire l'immagine dello Psicologo del lavoro.
Secondo Nicola A. De Carlo, Professore Ordinario all'Università di Padova, l'efficienza e la potenzialità di un'azienda
dipendono in maniera considerevole dall'attenta selezione dei collaboratori; eventuali errori commessi in questa fase avranno, con molta probabilità,
conseguenze negative per l'impresa.
È importante che gli Psicologi che si occupano del processo di selezione siano preparati rispetto agli errori di valutazione in cui
possono incorrere, in modo da poter controllare questi errori e svolgere un processo di selezione definibile etico.
Un processo di selezione spesso risulta costoso per le aziende e alcune preferiscono non investire in questo, ma è bene ricordare che
l'investimento in una efficiente selezione del personale viene a essere ammortizzato proprio da ciò che l'impresa risparmia
successivamente in costi di assunzione di nuovo personale, di addestramento, di limitato rendimento (De Carlo, 2003).
Il processo di selezione si articola in una serie di fasi tra loro interdipendenti e si attua mediante l'utilizzo di vari strumenti, i quali
differiscono per la quantità e il tipo di informazioni che forniscono.
Normalmente prima del processo di selezione si effettua una job analysis (ossia analisi delle caratteristiche proprie del ruolo lavorativo),
in cui vengono definiti i contenuti e i requisiti della mansione.
Il processo di selezione comprende tre fasi principali:
- Reclutamento,
- Valutazione,
- Inserimento.
In questo articolo viene presa in considerazione la fase delle Valutazione.
La fase di valutazione può essere condotta facendo ricorso sia a tecniche standardizzate, obiettive e replicabili, che vengono utilizzate
per limitare le fonti di errore, sia a interviste e colloqui individuali, in cui il candidato può esprimere le competenze acquisite e
il suo stile relazionale.
Per quanto riguarda le tecniche standardizzate di solito vengono utilizzati test psicometrici, che possono essere attitudinali, di valori
e atteggiamenti, come ad esempio: il Vocational Preference Inventory (VPI) di Holland o il Questionario di interessi di
Kuder; test occupazionali come l'Inventario degli Interessi Professionali (IIP) di Polacek (adattamento italiano del Kuder
Preference Record- Vocational, Form C, KPR- V); oppure test di personalità come il 16 Personality Factor (16 PF) di Cattell,
il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) e il questionario Big Five di McCrae e Costa.
Il colloquio di selezione invece consiste in uno scambio di informazioni faccia a faccia, pertanto coinvolge il selezionatore in un
processo in cui la sua soggettività acquista un peso maggiore rispetto agli strumenti standardizzati.
È in questa seconda area che si collocano gli errori di valutazione oggetto di questo articolo.
Gli errori di valutazione: i pregiudizi
Con l'espressione "errori di valutazione" si intendono le distorsioni di giudizio nelle quali può incorrere il valutatore. Una
generica componente di distorsione è presente infatti in qualunque giudizio, perché esso è legato a un fattore percettivo
e quindi a una visione della realtà filtrata soggettivamente da chi valuta.
Chi valuta, così come ogni persona persona, è soggetto a pregiudizi, ossia atteggiamenti favorevoli o sfavorevoli verso l'oggetto
del giudizio; essi possono essere di classe, di sesso, di popolazione.
È importante che il selezionatore sia consapevole che i pregiudizi sono una componente inevitabile di ogni valutazione e che quindi
affini le sue capacità di riconoscimento dei propri pregiudizi e delle modalità in cui si manifestano.
Se il valutatore è consapevole di questi saprà, a seconda della situazione, se minimizzarli o utilizzarli come elemento informativo
su cui riflettere e da cui partire per raccogliere ulteriori informazioni sul candidato.
Altre distorsioni di giudizio che possono condizionare la valutazione sono legate:
- alla motivazione nel condurre una valutazione;
- alla sicurezza/insicurezza del valutatore;
- allo stato psico-fisico contingente, il valutatore può essere stanco, annoiato o avere pressioni esterne;
- alla sua eventuale percezione di inadeguatezza, di incapacità;
- alle condizioni ambientali, ossia al contesto organizzativo in cui si è inseriti e in cui si svolgono le valutazioni.
Di seguito verranno presentati gli errori di valutazione più frequenti in cui spesso inciampa il selezionatore.
Effetto alone
L'effetto alone è uno degli errori di valutazione più diffusi.
Questa distorsione consiste nella tendenza ad attribuire al candidato in colloquio un giudizio complessivamente positivo o negativo, poiché
una sua caratteristica specifica (abbigliamento, modo di relazionarsi, tono della voce), considerata positiva o negativa, ha influenzato
il nostro giudizio a tal punto da estendere quel particolare tratto ad altri attributi dell'individuo inficiando il giudizio complessivo.
Generalmente, quando incontriamo per la prima volta una persona, proviamo istintivamente un sentimento di simpatia o antipatia, interesse
e curiosità o indifferenza. È anche probabile che, indipendentemente dal grado di consapevolezza che abbiamo rispetto ai nostri giudizi,
la persona di fronte a noi ci apparirà di aspetto piacevole oppure sciatta.
La presenza di un tratto determina immediatamente l'associazione con un insieme di altri tratti collegati di cui non c'è verifica diretta,
per cui - se un tratto viene considerato per il selezionatore positivo - allora la persona stessa sarà giudicata positivamente.
Ad esempio spesso avvengono associazioni di questo tipo: bellezza-bontà o bellezza-intelligenza. Questo tipo di associazioni sono spiegabili
grazie agli studi condotti dallo Psicologo Solomon Asch (1946).
Asch sosteneva che i processi cognitivi svolgono un ruolo centrale nella percezione del mondo e degli altri individui. La percezione dell'altro
avviene attraverso schemi basati su associazioni tra alcuni tratti considerati centrali e altri con cui presentano dei legami, legami
che sono soggettivamente determinati.
Gli schemi ci permettono di selezionare e organizzare le informazioni che ci giungono dall'ambiente circostante e di avere dell'altro una
valutazione sufficientemente ampia, nonostante si disponga di informazioni scarse sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
Ad esempio, Solomon Asch suggerisce che la bellezza è un tratto centrale positivo, dal quale vengono dedotti altri tratti della persona
a cui viene associato un giudizio positivo.
È in parte possibile controllare l'influenza dell'effetto alone con degli ausili tecnici.
Ad esempio, è possibile costruire una griglia di valutazione, in cui vengono elencati alcuni tratti e attributi da analizzare in fase
di colloquio.
La griglia di valutazione costituirà una traccia utile in fase di colloquio per ricordarci quali aspetti della persona dobbiamo
valutare. La portata dell'effetto può quindi essere ridotta ricorrendo a una categorizzazione dei tratti da analizzare e, successivamente,
attribuendo un punteggio su ogni tratto.
Un altro modo in cui si può controllare e gestire l'influenza dell'effetto alone sulle nostre valutazioni è dedicare una parte
dell'attenzione, durante la fase di colloquio, all'osservazione del processo di selezione in atto.
In questo modo l'attenzione del selezionatore non sarà più diretta univocamente verso il candidato, ma sarà diretta
anche verso se stesso, le emozioni che prova e anche verso il tipo di relazione che si sta creando.
Se non c'è un presidio ossia un auto-monitoraggio dell'andamento della valutazione, il selezionatore potrebbe rimanere
affascinato da un tratto del candidato (ad esempio: il suo essere spigliato, il suo essere estroverso, etc.) ed estendere la qualità positiva
di questo tratto alla persona in toto.
In queste situazioni diventa importante per il professionista non dirigere la propria attenzione solo sull'oggetto, ma anche verso se stesso
e verso il processo di valutazione. Il valutatore opererà quindi quella che viene chiamata da Donald Schön: «Riflessione
nell'azione», secondo cui il professionista rifletterà su ciò che fa mentre lo fa.
«... sia la gente comune sia i professionisti spesso riflettono su ciò che fanno, a volte persino mentre lo fanno. Stimolati
dalla sorpresa, tornano a riflettere sull'azione e sul conoscere implicito nell'azione».
(Schön Donald A., "Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale", 1999)
Questo modus operandi sembra particolarmente adatto ad affrontare situazioni connotate da incertezza e instabilità. La riflessione
nella pratica è il correttivo all'eccessiva specializzazione (del valutatore) e al rischio di rigidità e di approcci ottusi.
Quindi non solo a colloquio terminato, ma già durante lo stesso, dovremmo chiederci perché stiamo giudicando un candidato positivamente
o negativamente e chiederci in che modo questa valutazione è connessa al nostro gusto personale o alla nostra storia di vita.
Quel che spesso succede nelle selezioni, soprattutto quelle condotte da operatori non professionisti, è che viene scelta la persona
che "a pelle" piace di più, indipendentemente dalle sue competenze e dal contributo che può dare all'organizzazione.
Effetto alone in azione: l'abbaglio della seduzione
Riporto un esempio tratto da un'esperienza personale avuta all'interno di un processo di selezione, che può aiutare a capire meglio
in che modo l'effetto alone può portare il selezionatore a scegliere la persona sbagliata per una particolare posizione.
Il contesto in cui si è verificato questo bias (ossia distorsione della valutazione) è un processo di selezione condotto
in un'azienda per individuare il candidato idoneo a ricoprire la posizione di capo area commerciale.
Questa figura è deputata ad affiancare i venditori del suo settore, pertanto deve essere in grado di fornire la necessaria assistenza
tecnica di supporto, facendosi interprete presso la sede centrale dei problemi o delle eventuali difficoltà rilevate dai suoi collaboratori.
Di seguito riporto le caratteristiche chiave che dovrebbe avere un capo area commerciale:
- conoscenze tecniche del suo settore (nozioni di marketing ed economia di base);
- competenze trasversali: buone capacità relazionali e attitudine al lavoro di gruppo, elevata capacità di negoziazione e gestione
del conflitto, saper orientare la forza vendita diretta di zona, avere buone capacità comunicative e di gestione del conflitto con il cliente
finale;
- buona conoscenza del territorio di riferimento e responsabilità rispetto ai risultati.
Tornando all'esempio, al termine del processo di selezione è stata scelta una persona brillante, di bell'aspetto, seducente, con un
forte narcisismo, desiderosa di primeggiare.
In questa valutazione il selezionatore si è fatto sedurre da chi aveva di fronte, senza valutare con maggiore attenzione i tratti
che dovrebbero contraddistinguere una persona che può ricoprire la posizione di capo area commerciale.
A incarico attivato la persona scelta si è poi rivelata totalmente inadeguata al ruolo, fortemente egocentrica e immatura, incapace
di condividere e riconoscere il contributo di tutto il gruppo nel raggiungimento o meno degli obiettivi, riconoscendo solo a se stessa il merito
del successo e accusando invece i singoli venditori per gli insuccessi.
Questa persona si è dimostrata sul campo non in grado di relazionarsi, se non attraverso la seduzione, e non era nemmeno in grado di
gestire il conflitto, operando frequenti squalifiche dei collaboratori.
Non era paziente, ovvero non aveva la sufficiente calma per gestire le problematiche portate dai responsabili commerciali di zona, competenza
fondamentale per gestire un gruppo di lavoro.
Succede spesso che un selezionatore scelga una persona in funzione della sua personalità. Alcuni caratteri ci piacciono e percepiamo
subito un certo feeling, con altri questo non avviene.
È importante però che chi conduce la selezione non si faccia influenzare dalla piacevolezza o meno dell'altro, a meno che la persona
selezionata non sia destinata a divenire un suo futuro diretto collaboratore.
Il rischio insito nell'effetto alone è che una caratterista del candidato - interessante per il selezionatore - infici la sua capacità
di valutazione e lo porti a scegliere quella persona non perché adatta a quel ruolo, ma perché piacevole.
L'effetto alone non riguarda solo l'estensione di tratti positivi, ma anche di quelli negativi - il cosiddetto effetto alone negativo -,
ovvero la formulazione di un giudizio negativo su un candidato potenzialmente interessante, a partire da un tratto personale dello stesso non
apprezzato dal selezionatore.
Anche questo tipo di effetto pregiudica la buona riuscita di un processo di selezione.
Effetto indulgenza/severità ed effetto di tendenza centrale
Il selezionatore può inoltre imbattersi in quello che è conosciuto come effetto indulgenza o, all'opposto, effetto severità.
Si tratta di un bias tipico dei selezionatori di manica larga o di manica stretta, che tendono a valutare in modo eccessivamente positivo
o negativo il candidato.
L'effetto indulgenza si verifica frequentemente quando l'azienda ha bisogno di inserire subito un nuovo dipendente, per un aumento
improvviso del carico di lavoro, pertanto si rischia di scegliere una persona non perfettamente in linea con il ruolo, ma subito disponibile.
L'effetto severità invece è più frequente quando si devono selezionare alti profili, in cui gli standard di selezione
sono molto elevati, in questo caso - se il profilo del candidato non è verosimilmente quasi identico al profilo ideale - il candidato
non viene scelto.
Un errore simile ai due precedentemente esposti è quello denominato effetto di tendenza centrale. Tale distorsione consiste
nell'avere la tendenza ad attribuire al candidato solo i valori medi della scala di valutazione, ossia di assegnare i valori centrali
della scala senza sbilanciarsi su valori alti o bassi.
Questo errore comporta il rischio di non valorizzare le prestazioni eccellenti e non individuare quelle scarse. È la tendenza
in cui spesso incorrono anche gli insegnanti che raramente attribuisco degli "ottimo" o dei "10" o degli "1" ai loro allievi, ma tendono generalmente
a mantenersi entro un centro range che va di solito dal "5" al "8".
All'interno di un processo di selezione, per evitare questo tipo di errore, è possibile ricorrere a una scala di valutazione senza valori
centrali, in modo da dover necessariamente posizionare il candidato in un punto non centrale.
Il selezionatore dovrà quindi sbilanciarsi verso un giudizio positivo o negativo.
Ad esempio, una scala a 4 punti potrebbe essere un modo per non inciampare in questo errore.
Effetto primacy ed effetto recency
Un altro errore piuttosto frequente è l'effetto primacy, determinato dalla "prima impressione". Il selezionatore tende a dare
un peso maggiore alle prime informazioni che riceve, che saranno anche quelle che ricorderà in maniera più precisa quando dovrà
esprimere un giudizio finale complessivo.
Le informazioni che invece acquisisce successivamente alla prima impressione vengono tralasciate o comunque non viene data loro la giusta rilevanza.
Questo è un errore molto frequente, infatti è ben noto questo effetto anche nella vita di tutti i giorni, in cui spesso ci facciamo
influenzare dalle prime impressioni che riceviamo quando conosciamo una persona e tutte le informazioni che acquisiamo successivamente vengo
tralasciate in favore, appunto, della prima impressione.
L'effetto primacy è difficile da controllare perché è impossibile non crearsi una prima impressione e bisogna fare un
grande sforzo critico per mettere in discussione "le verità" su cui abbiamo fondato il nostro primo giudizio.
Immaginate come questo bias può influenzare un processo di selezione!
L'effetto primacy avviene ogni volta che ci relazioniamo a una persona per la prima volta. Un giudizio viene formulato nei primi
trenta secondi e spesso lo stesso esaminatore non ne è consapevole e non riesce a descrivere a parole la persona che ha davanti.
Percepisce solo sensazioni piacevoli o spiacevoli nel colloquiare con lei.
Succede però che l'immagine della persona che abbiamo di fronte è già stata costruita e il selezionatore, non consapevole
di questo bias, prosegua il colloquio andando alla ricerca di elementi che confermano la prima percezione del candidato.
Sul versante opposto dell'effetto primacy si colloca invece l'effetto recency che, nel processo di selezione, è meno frequente
o comunque meno riscontrabile.
L'effetto recency riguarda la tendenza a ricordare solo la parte finale del discorso del candidato, soprattutto quando le ultime
informazioni hanno valore positivo.
Durante un colloquio possiamo trovare il candidato poco interessante dal punto di vista professionale per ricoprire il ruolo per cui stiamo
effettuando la selezione. Ci fornisce una serie di elementi che tralasciamo perché non in linea e poi, verso il termine del colloquio,
ci sorprende con un aneddoto sulla sua vita professionale in cui magari si evince una sua competenza chiave, che può essere di
problem solving, relazionale o di pianificazione.
Ecco che l'immagine che ci siamo creati del candidato durante l'intervista viene stravolta in pochi secondi. A distanza di tempo queste saranno
le impressioni del candidato che conserveremo in noi più vividamente.
Effetto equazione personale ed effetto di contrasto
Il selezionatore, se non attento ai possibili errori, potrebbe valutare positivamente i candidati che possiedono caratteristiche simili alle
sue e negativamente chi ha caratteristiche diverse.
Un modo per ridurre questo rischio è utilizzare, contemporaneamente al colloquio, anche uno strumento standardizzato come i test, ad esempio
il DAT (Differential Aptitude Tests, di G.K. Bennett, H.G. Seashore e A.G. Wesman) per avere un canale ulteriore, oggettivo, di valutazione.
Inoltre per limitare l'effetto di equazione personale sarebbe preferibile che la valutazione fosse condotta da più di un selezionatore,
in modo da ridurre la soggettività del giudizio (Gabassi P.G., 2007).
L'effetto di contrasto, come dice la parola stessa, si verifica per contrasto ad altre osservazioni. Più precisamente, si verifica
quando il selezionatore viene influenzato da osservazioni fatte precedentemente e non prende nella giusta considerazione quelle
del momento attuale, ossia del candidato che ha di fronte.
È questo un errore piuttosto frequente e poco controllabile, che si verifica ad esempio quando un selezionatore dopo 6/7 colloqui
successivi con persone poco adeguate al profilo che sta ricercando, si trova di fronte un candidato con delle competenze leggermente superiori
a quelle dei candidati precedenti.
Spesso il selezionatore rischia di attribuirgli una valutazione molto più positiva di quella che sarebbe stata assegnata se fosse stato
valutato in un altro momento.
Viceversa, può succedere che in seguito a una serie di colloqui con persone molto in linea con il profilo ricercato e competenti, un candidato
con capacità di poco inferiori venga percepito come decisamente mediocre.
Impostazione iniziale prevenuta
L'esaminatore opera una selezione preconcetta di alcuni tratti e di alcune esperienze del candidato escludendone altre sulla base, ad esempio,
di ciò che è emerso dal curriculum vitae.
È possibile che l'idea che l'esaminatore si è costruito leggendo il curriculum vitae (c.v.) influenzi eccessivamente l'andamento
del colloquio, poiché potrebbe leggere le informazioni che vengono esposte dal candidato come dati in linea o meno con l'immagine iniziale
che si era costruito a partire da quanto riportato nel c.v.
Solitamente i selezionatori convocano al colloquio i candidati, sufficientemente in linea con il profilo ricercato, dopo aver fatto prima
uno screening dei curricola. Pertanto ogni valutatore si è già costruito una prima idea del candidato che andrà a esaminare.
È possibile che il selezionatore abbia già fatto delle inferenze sulla base di quanto letto, questo condizionerà
sicuramente l'andamento del colloquio, e spesso è possibile che durante l'incontro non vengano confermate.
Oltre alle distorsioni proprie del valutatore devono essere tenute in considerazione anche le distorsioni provocate dal valutato stesso.
Chi si presenta a un colloquio di lavoro cerca un lavoro appunto, pertanto è molto probabile che tenterà di essere compiacente
o più in generale di piacere al selezionatore, dando risposte socialmente più accettabili, fenomeno conosciuto come "desiderabilità
sociale" (Novara, Sarchielli, 1996).
Conclusioni
Una valutazione priva di errori di giudizio è pressoché impossibile, viceversa è possibile ridurre al minimo la probabilità
che si verifichino adottando alcuni accorgimenti.
Innanzitutto è possibile ridurre molti di questi errori di giudizio conducendo dei colloqui di selezione con due o più intervistatori.
Non è possibile ridurre il giudizio soggettivo, anzi questo è un elemento che può valorizzare il processo di selezione,
soprattutto quando è possibile un confronto con "altre soggettività".
Non è raro che selezionatori diversi, impegnati in uno stesso processo valutativo, spesso giungano a valutazioni notevolmente discrepanti.
Inoltre non è mai possibile determinare quanto il processo valutativo abbia valutato la realtà e non sia frutto di una percezione soggettiva
distorta, questo perché come diceva lo scrittore e poeta colombiano Nicolàs Gòmez Dàvila:
«Soggettivo è quel che un solo soggetto percepisce, oggettivo quel che tutti i soggetti percepiscono: perciò
sia l'oggettività che la soggettività possono essere tanto reali quanto fittizie».
(Davila N.G., "In margine a un testo implicito", Adelphi, Milano, 2001)
Osserviamo la realtà secondo precise mappe mentali, strutturate dalla cultura di appartenenza e modellate dalle nostre esperienze di
vita (Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., "Pragmatica della comunicazione umana", 1967). Pertanto due selezionatori, con
storie di vita differenti, osserveranno attributi diversi della stessa persona che hanno di fronte.
È fondamentale essere consapevoli che è impossibile e sconveniente eludere dal processo valutativo l'interpretazione che la nostra
soggettività costruisce sugli altri.
È però altrettanto sostanziale essere coscienti delle dinamiche che possono alterare l'iter valutativo, dei possibili errori
in cui si può incorrere e in particolare quelli a cui si è più soggetti personalmente.
Se il valutatore è consapevole degli errori in cui ha maggiore tendenza a incappare e riesce per quanto possibile a riconoscerli e
controllarli, allora è possibile parlare di un processo di selezione definibile come etico.
La risorsa principale a cui fare riferimento per valutare correttamente come conduciamo la selezione è sviluppare la capacità
di auto-osservazione e confrontarsi frequentemente con i colleghi sul processo stesso.
In conclusione si può sostenere che una formazione specifica sulla metodologia per condurre dei colloqui di selezione e una riflessione
costante nell'azione sono due elementi essenziali per poter prevenire, e più spesso arginare e correggere, eventuali errori di valutazione.
Bibliografia
- Asch S.E., Forming impressions of personality, in "Journal of Abnormal and Social Psychology", 41, 258-290, 1946
- Carli R., Paniccia R.M., "Psicosociologia delle organizzazioni e delle istituzioni", Il Mulino, Bologna, 1983
- Cialdini R., "Le armi della persuasione", Giunti, Firenze, 1993
- Davila N.G., "In margine a un testo implicito", Adelphi, Milano, 2001
- De Carlo N.A., "Teorie e strumenti per lo Psicologo del lavoro e delle organizzazioni", Franco Angeli, Milano, 2003
- Gabassi P.G., "Psicologia del lavoro nelle organizzazioni", Franco Angeli, Milano, 2007
- Novara F., Sarchielli G., "Fondamenti di Psicologia del lavoro", Il Mulino, Bologna, 1996
- Palmonari A., Cavazza N., Rubini M., "Psicologia sociale", Il Mulino, Bologna, 2002
- Schön Donald A., "Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale", Dedalo, Bari, 1999
- Semi A.A., "Tecnica del colloquio", Raffaello Cortina, Milano, 1985
- Spaltro E., "Storia e metodo della Psicologia del lavoro", Etas Libri, Milano, 1974
- Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., "Pragmatica della comunicazione umana", Astrolabio, Roma, 1967
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