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L'Intelligenza Emotiva nella formazione aziendale può fare la differenza?
L'articolo " L'Intelligenza Emotiva nella formazione aziendale può fare la differenza?", parla di:
- Le caratteristiche dell'Intelligenza Emotiva
Le quattro competenze di Intelligenza Emotiva Consapevolezza dei propri comportamenti automatici
L'Intelligenza Emotiva nella formazione aziendale può fare la differenza?
- L'Intelligenza Emotiva nella formazione aziendale può fare la differenza?
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Sebbene avessi già chiaro che portare l'Intelligenza Emotiva nelle aziende avesse un grande potenziale, mi sento di dire che
questi anni di pandemia mi hanno fatto sentire ancora di più l'importanza di diffondere questa competenza nelle organizzazioni.
Infatti, i cambiamenti degli scenari professionali, l'incertezza e, in alcuni casi, i momenti di crisi dovuti alla riduzione del lavoro hanno
sottoposto le persone a notevole stress e hanno richiesto, in più occasioni, di fronteggiare situazioni difficili. Ad esempio, per
qualcuno lo Smart Working è stato un bene mentre per altre persone ha portato maggiore carico mentale, senso di solitudine o di poca
concretezza. Ci sono stati responsabili che si sono sperimentati per la prima volta nella gestione dei collaboratori a distanza. Qualcuno
ha dovuto riadattare le proprie competenze per la gestione del lavoro da remoto. Altri, fermandosi, si sono fatti domande sulle loro reali
motivazioni verso quel ruolo, verso quel lavoro o verso quella organizzazione. Questo inevitabilmente ha portato un po' di confusione nella
vita delle persone.
Per questo penso che oggi sia importante aiutare le persone a orientarsi nelle loro scelte e, in generale, nel loro agire.
Mi sono stati richiesti diversi percorsi formativi in questi due anni e mi sono accorta che, indipendentemente dal percorso che facevo, in
qualche modo sentivo sempre utile inserire indicazioni, "pillole", concetti ed esercitazioni che avevano a che fare con l'intelligenza emotiva.
Sono stata contenta di questa scelta.
Quali sono le competenze dell'Intelligenza Emotiva?
Ci sono diversi modelli che definiscono le caratteristiche dell'Intelligenza Emotiva. Il concetto fu fondato nel 1990 da Salovey e
Mayer che l'hanno definita come la capacità che hanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle degli altri,
discriminando tra vari tipi di emozione ed usando questa informazione per incanalare pensieri e azioni. Fu poi Goleman, nel 1995,
a diffondere questo costrutto attraverso la pubblicazione del suo libro indicando quattro competenze chiave per fronteggiare la vita con
efficacia e successo: autocontrollo, entusiasmo, perseveranza, capacità di auto motivarsi. Più tardi, Bar-on (1997 -
2000) definisce l'intelligenza emotiva come un insieme di competenze emozionali e sociali che stanno alla base delle strategie con cui
la persona si relaziona a se stessa e agli altri per fronteggiare le sfide della vita.
Questi modelli, che stanno alla base del costrutto di Intelligenza Emotiva, si sono evoluti e sono stati affinati negli anni. Personalmente
ho sentito particolarmente efficace il modo in cui Mayer e Salovey hanno applicato il loro modello alla leadership riportandolo nel libro
Leader emotivamente intelligente. Come sviluppare le quattro competenze emotive della leadership, tradotto in Italia nel 2019. Il
motivo per cui ho trovato questo modello efficace è dovuto al fatto che l'ho sentito tanto utile sia nella leadership intesa
come capacità di guidare le persone, sia nella leadership intesa come self-leadership, ossia la capacità di gestire sé
stessi nel proprio agire, reagire e scegliere.
Secondo il modello di Mayer e Salovey, le quattro competenze di intelligenza emotiva sono:
- Leggere le persone, identificare le emozioni. Le emozioni contengono informazioni su ciò che sta avvenendo nel mondo nostro
e in quello degli altri. Per comunicare in modo efficace è importante essere capaci di riconoscere le nostre emozioni e saper leggere
quelle degli altri.
- Scegliere l'umore, utilizzare le emozioni. Il modo in cui sentiamo influisce sui nostri pensieri. Rifletti su quanto la tristezza
porti a pensare che sia "tutto nero"; su quanto la paura concentri la nostra attenzione sull'ambiente circostante per coglierne i segnali, su
quanto la rabbia ci induca a fare pensieri sulle intenzioni degli altri nei nostri confronti. Le emozioni direzionano la nostra attenzione e
orientano i nostri pensieri per poi, chiaramente, influire sulle azioni.
- Predire il futuro emotivo, capire le emozioni. Le emozioni nostre e degli altri non nascono mai dal nulla, c'è sempre una
causa. Saper mettere in relazioni gli eventi, i fatti e i pensieri con le reazioni emotive, aiuta a prevedere le reazioni nostre e delle altre
persone. Ad esempio, se acquisisco consapevolezza sul fatto che i feedback negativi mi fanno provare vergogna e che per uscire dalla vergogna
alzo la voce e mi difendo, è possibile che, quando vedo il rischio di ricevere un feedback negativo, possa prepararmi a gestirlo al
meglio se tengo conto del mio funzionamento emotivo. Se dando un feedback negativo a un mio collaboratore scorgo che si chiude nel silenzio
e abbassa gli occhi, posso ipotizzare che, a causa di quel feedback, si senta triste. La mia reazione al suo comportamento può quindi
tenere conto di questa informazione.
- Fare ma con sentimento, gestire le emozioni. Poichè le emozioni hanno in s&ecute; delle informazioni e influenzano il
pensiero, dobbiamo riuscire a canalizzarle efficacemente perché ci siano di supporto nella presa di decisione e risoluzione dei
problemi. Per fare questo è importante accoglierle, indipendentemente dal fatto che siano gradevoli o sgradevoli, e scegliere strategie
che ci aiutino a gestirle. Ad esempio, qualsiasi emozione di altissima intensità ostacolerà la capacità di ragionare,
ponderare e trovare soluzioni (soprattutto la gioia!).
Aver scelto di portare queste quattro competenze nella formazione aziendale, ho sentito che è stata una scelta efficace. Come mai?
Perché in qualche modo ha aiutato le persone ad avere una prospettiva nuova sul proprio modo di agire, reagire e approcciarsi alle
decisioni.
Gettare luce sui comportamenti automatici
Quando facciamo formazione sulle competenze trasversali, l'obiettivo è quello di aiutare le persone a prendere consapevolezza dei
loro tipici modi di agire, far sì che ne prendano consapevolezza attraverso l'osservazione e il feedback per poi dare loro strumenti
utili per scegliere se continuare a mettere in atto gli stessi comportamenti o prendere in considerazione altre modalità.
Prendiamo come esempio questo scenario: un collaboratore consegna per l'ennesima volta dei documenti in ritardo. Il suo responsabile può,
ad esempio, scegliere di reagire così davanti a tutti: "Marco, basta! Sei sempre il solito ritardatario, non si può fare
affidamento su di te; non fai niente dalla mattina alla sera e consegni pure le cose in ritardo!". Qualcuno potrebbe pensare che il
responsabile abbia ragione. Il punto, però, non è questo. Al di là dell'avere o meno ragione, qual è l'effetto
che le parole del responsabile avranno su Marco? Potrebbe vergognarsi molto, ad esempio, e la vergogna potrebbe spingere a fare le cose
diversamente, ma non se alla base c'è un problema di qualche tipo. Il responsabile sta dando per scontato che Marco sia svogliato
senza prendere in considerazione altre possibilità (es. ansia da prestazione, difficoltà di organizzazione del lavoro,
ricontrollo eccessivo dei dettagli, paura di sbagliare, ecc.). Si dà quindi per scontato che la vergogna (o il senso di colpa) siano
emozioni utili da far provare a Marco, mentre in realtà ci sono molte probabilità che non solo non siano utili, ma peggiorino
la situazione. Marco può infatti sentirsi umiliato e ritirarsi ancora di più, diventare oppositivo, sentirsi inadeguato e
rallentare ancora di più il lavoro.
Il nostro obiettivo come trainer, quindi, non è tanto quello di aiutare le persone a capire chi ha ragione e chi ha torto, ma aiutare
le persone a chiedersi: quale obiettivo voglio raggiungere? Qual è la strategia migliore per farlo? Così, nel caso del
collaboratore Marco, se l'obiettivo è quello di evitare che consegni ancora in ritardo, potrebbe, ad esempio, essere utile chiedergli
come mai faccia tardi, come gestisce il lavoro, come organizza le scadenze. Se c'è un intoppo si può quindi lavorare su quello.
Altro esempio: Giulia è la responsabile Marketing di un'azienda di integratori alimentari. Quando propone delle campagne di lancio
prodotto e i grafici pubblicitari le fanno presente che una o più delle sue idee non sono realizzabili, si irrita, diventa polemica
alzando talvolta anche la voce per poi accusare i collaboratori di non essere in grado di fare ciò che chiede loro. Da fuori è
facile definirla un'arpia! Lavorando su di sé, Giulia getta luce sul fatto che viva quei feedback come una critica a lei e alla sua
professionalità. La sua "sindrome dell'impostore"1 la porta a temere sempre che gli altri possano scoprire le sue lacune.
Così entra in ansia, va sulla difensiva e risponde alla critica attaccando per difendersi da quella critica che lei ha letto. In
questo caso può essere utile aiutare Giulia a prendere consapevolezza delle chiavi di lettura che utilizza per dare significato alla
realtà e creare lo spazio per aiutarla a capire quanto queste letture siano reali o parte delle sue "lenti".
In generale, quindi, aiutare le persone a comprendere che le loro reazioni automatiche sono non tanto la conseguenza dei comportamenti degli
altri ma dei pensieri relativi ai comportamenti degli altri, è già un grande passo in avanti. Il responsabile di Marco non
reagisce tanto al ritardo di Marco, quanto al pensiero che ci costruisce sopra in automatico: "È un lavativo e basta!"; Giulia non
reagisce ai feedback in sé ma al pensiero: "Sono un'incapace e loro se ne stanno accorgendo". Questi pensieri generano emozioni
(rabbia, frustrazione, vergogna, ecc.) e le emozioni orientano le azioni. Se ci pensate bene, lo stesso comportamento può suscitare
reazioni molto diverse in persone diverse, proprio perchè cambiano i pensieri che ciascuno costruisce e di conseguenza le emozioni
che ne derivano. Un amico che non saluta può portare a pensare che "è un maleducato" oppure che "gli è successo qualcosa";
questi due pensieri innescheranno emozioni e comportamenti del tutto diversi.
Aiutare le organizzazioni con l'Intelligenza Emotiva
Le competenze di intelligenza emotiva aiutano quindi le persone a:
- Leggere le emozioni proprie e quelle degli altri. Il responsabile di Marco si sente furioso e Marco può reagire vergognandosi
(spesso, però, quando qualcuno è arrabbiato e convito di avere ragione sbagliando, non si pone neanche il problema della reazione
emotiva dell'altro, con tutte le conseguenze del caso).
- Mettere a fuoco come pensieri ed emozioni si influenzino reciprocamente. Spesso si scambiano i propri pensieri per verità,
in realtà sono pensieri "ubriachi" di emozioni. Marco può non essere un lavativo e Giulia può tranquillamente non essere
un impostore, ma per i nostri amici questi pensieri sono verità assoluta. Il responsabile di Marco, però, lascia che la rabbia
orienti la sua lettura della realtà mentre Giulia lascia che lo faccia la vergogna. Se entrambi fossero consapevoli di come le loro
emozioni stanno influenzando i loro pensieri e le loro azioni, potrebbero lasciare sì spazio all'emozione, ma anche ad altre chiavi
di lettura.
- Predire il futuro emotivo. Se Marco e Giulia prendono consapevolezza di cosa li fa "scattare", possono essere in grado di pianificare
strategie diverse.
- Gestire le emozioni: prendere consapevolezza che quando un'emozione è forte è lei a gestire noi, può aiutare
le persone a trovare, con l'aiuto del trainer, strategie per abbassare il livello di tensione e recuperare lucidità.
Non importa che nei training formativi si parli di leadership, comunicazione, gestione dei conflitti o dei collaboratori; dare alle persone
strumenti per comprendere come sono fatte le lenti con cui danno significato agli eventi può portare alla luce modi di agire automatici
che i partecipanti ai nostri percorsi possono scegliere di smussare, modificare o lasciare intatti.
Note
- Sindrome dell'impostore: è una condizione psicologica molto frequente fra le persone di successo. Si lega alla difficoltà
di interiorizzare i propri successi e i feedback positivi, sentendosi perennemente inadeguati e non meritevoli di successo. Questo porta a
temere di essere "smascherati" dagli altri nella propria, presunta, incapacità.
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