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Primi colloqui: come inquadrare correttamente un caso clinico?
L'articolo " Primi colloqui: come inquadrare correttamente un caso clinico?", parla di:
- Inquadramento: quanti colloqui?
Le domande da porre al paziente Ricostruire il disturbo e la storia di vita
Primi colloqui: come inquadrare correttamente un caso clinico?
A domanda HT Risponde: 'Primi colloqui: come inquadrare correttamente un caso clinico?'
- Primi colloqui: come inquadrare correttamente un caso clinico?
Domanda pervenuta in redazione il 24 Settembre 2020 alle 15:06
- Il primo colloquio è un momento molto importante per l'inquadramento di un caso, tuttavia, in questo articolo, intendo parlare
più che altro di "primi colloqui" in quanto difficilmente un solo colloquio ci consente di avere chiaro chi abbiamo davanti e perché
ci sta chiedendo una consulenza. A volte capita ma potrebbe non essere la regola.
Sebbene in base ai diversi approcci psicologici e psicoterapeutici si possono avere visioni diverse di cosa chiedere, come chiedere e
perché chiedere, qui l'intenzione è quella di dare un'indicazione generale che possa essere uno spunto di riflessione, al di là
del singolo approccio.
Nella mia esperienza, direi che non c'è un numero standard di colloqui per l'inquadramento, di solito è importante farne almeno tre
o quattro ma non mi sento di dare regole rigide per questa fase.
La fase di inquadramento è molto importante non solo per noi; difatti è un momento in cui la persona ha la possibilità di
"fare ordine" e guardare in modo sistematico e organizzato il suo disagio. Già in questa fase, infatti, si possono avere degli
insight o riduzione significativa dei livelli di tensione perché la persona può avere la percezione di acquisire maggiore controllo
sul problema.
Qual è il problema che mi porta la persona?
Innanzi tutto, occorre partire dal motivo che ha spinto la persona a chiedere una consulenza.
Qual è il problema? Questa domanda, per quanto semplice è fondamentale e ci è di enorme aiuto se ci diamo l'obiettivo di
comprendere non tanto il problema in sé ma il problema dal punto di vista di chi ce lo sta portando. Molte persone esordiranno
dicendo di avere una difficoltà, ad esempio, legata all'ansia; tuttavia le modalità attraverso cui l'ansia si esprime saranno
diverse da persona a persona.
Attraverso quali sintomi si manifesta il problema? Da quanto tempo va avanti? Era accaduto qualcosa quando il problema si è manifestato
per la prima volta? Ci pensi bene, anche una cosa piccola ma c'era stato qualcosa che era cambiato? Ci sono situazioni in cui il problema si
manifesta di più? Altre situazioni in cui non si manifesta affatto? Tutte le domande che sono finalizzate a tracciare il "profilo" della
questione sono fondamentali. I sintomi sono chiaramente importanti ma presi da soli non ci aiutano se non li colleghiamo alla vita e alla
storia della persona.
In questa fase è molto importante, oltre allo strumento della domanda, anche la riformulazione in quanto è fondamentale
essere certi di aver compreso la prospettiva dell'altro evitando fraintendimenti. Anche l'empatia è chiaramente molto rilevante
perché facilita l'apertura dell'altro e la creazione di alleanza; però la prima cosa importante da tenere a mente è veramente
quella di non perdersi e tenere sempre la "bussola" orientata sul problema, sui vissuti ad esso connessi e su come vengono letti dalla persona.
Quali sono i condizionamenti presenti che si legano al problema?
Una volta messa a fuoco la questione che la persona porta, è importante mettere a fuoco quanto condizioni la vita presente della persona:
riesce a condurre una vita quotidiana regolare nonostante tutto? Il problema è invalidante per una o più aree della vita quotidiana?
Si manifesta solo in un ambito della vita? Questo ci permette di comprendere quanto forte sia il livello di disagio, dove e in che modo si esprima.
Quali sono i condizionamenti passati che si legano al problema?
L'analisi dei condizionamenti passati è una fase fondamentale che non si esaurisce con i primi colloqui ma che fin dall'inizio deve
essere inquadrata quantomeno a livello macroscopico. Comprendere se ci sono stati eventuali traumi passati e mettere a fuoco le dinamiche
familiari "di massima" consente di dare una collocazione più specifica al problema che la persona ci porta. All'inizio le cose che ci dobbiamo
chiedere sono connesse alla radice del problema. Ad esempio: ci sono traumi nella vita della persona che in qualche modo possono averla condizionata?
Ci sono dinamiche familiari particolari (es. genitori controllanti; un genitore passivo e l'altro succube; ecc)? Ci sono stati episodi passati connessi
al problema (ad esempio bullismo, malattie)? Ci sono stati lutti significativi?
Conoscere quali sono stati gli eventi significativi connessi alla vita della persona ci aiuta a formulare le prime ipotesi su possibili condizionamenti
passati che influiscono sul presente.
Quali sono i modi di reagire presenti e passati della persona al problema?
La fase precedente è fondamentale per prendere in considerazione fatti significativi che possono aver condizionato la vita della persona.
Tuttavia, i fatti da soli ci dicono poco se non approfondiamo quali sono state le strategie che la persona ha messo in atto per reagire
a quegli episodi e come li ha vissuti dal punto di vista emotivo. Questo momento della valutazione è importante perché può
già far emergere meccanismi di difesa e strategie difensive che la persona in qualche modo ha interiorizzato e agisce automaticamente. Un
esempio classico è l'evitamento. Spesso, infatti, persone che appaiono apparentemente distaccate dai problemi, che tendono ad evitare i
conflitti e a non lasciarsi coinvolgere in dinamiche relazionali profonde possono aver imparato nei loro primi anni di vita che fuggire dalla
relazione era il modo migliore per garantirsi il benessere migliore. Oppure, una persona che ci porta un problema di autostima, può parlarci
di come il padre o la madre la deridessero quando provava a portare avanti una sua idea.
Ma cosa me ne faccio del passato? Questa è una domanda che molti clienti pongono. Il passato serve loro per comprendere quali sono
le "lenti" attraverso cui guardano il mondo. Le persone non hanno spesso idea del fatto che la realtà che vedono non è oggettiva ma
"filtrata" da condizionamenti passati. Aiutare le persone a mettere a fuoco questo aspetto restituisce loro potere e dà speranza sul fatto
che le cose possano stare molto diversamente da come loro le vedono.
Conclusione
Queste sono solo alcune idee che nella mia esperienza possono essere validi spunti di riflessione per lavorare efficacemente nei primi colloqui per
inquadrare il caso. Nei diversi corsi di formazione in psicoterapia ma non solo, vengono spesso forniti protocolli e linee guida a questo scopo. Si
tratta di strumenti di lavoro molto utili purché lo psicologo o lo psicoterapeuta che li usa non perda mai di vista il motivo del loro utilizzo:
costruire il puzzle della storia del disturbo e della vita della persona. A volte, infatti, presi dall'ansia di fare tutte le domande che si devono
fare perdiamo di vista l'obiettivo principale.
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