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Come comprendiamo a fondo la natura del disagio psicologico?

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Come comprendiamo a fondo la natura del disagio psicologico?

L'articolo "Come comprendiamo a fondo la natura del disagio psicologico?", parla di:

  • Emozioni e consapevolezza emotiva
  • L'espressione emotiva nei contesti di riferimento
  • Cosa può fare lo psicologo
Psico-Pratika:
Numero 162 Anno 2019

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Come comprendiamo a fondo la natura del disagio psicologico?

A cura di: Luisa Fossati
A domanda HT Risponde: 'Come comprendiamo a fondo la natura del disagio psicologico?'
Come comprendiamo a fondo la natura del disagio psicologico?
Come psicologi, ci capita chiaramente di avere a che fare molto con il disagio che le persone ci portano.
A volte le situazioni narrate, i fatti esposti, i contenuti della narrazione, ci guidano nella comprensione, ci aiutano a capire l'impatto emotivo che quel certo tipo di evento ha avuto sulla persona. Tuttavia, all'inizio della mia esperienza iniziai subito a fare caso a una cosa, una di quelle cose che ci vengono insegnate all'università o nei corsi che facciamo, ma che nella pratica sono meno semplici da fare di quanto ci si immagini. Parlo della consapevolezza emotiva dei nostri pazienti o, comunque, delle persone con cui lavoriamo.

Al di là degli approcci e dei modelli di riferimento su cui basiamo la nostra attività (clinica ma non solo), è indubbio che le emozioni siano filogeneticamente più antiche del pensiero logico; le emozioni ci indicano la situazione che stiamo vivendo è positiva, negativa, neutra o, addirittura, pericolosa per noi. Nasciamo che abbiamo un "kit di base" emotivo che ci consente di sopravvivere nel mondo; la rabbia, la paura, la gioia, la tristezza, il disgusto e la sorpresa sono emozioni innate.
Tuttavia, noto nelle persone una grande difficoltà a mettere a fuoco l'emozione di fondo; una grande difficoltà a riconoscerle e comprenderne, quindi, il significato. Spesso le persone dicono di sentirsi tristi per un tradimento; qualcuno dice di sentirsi arrabbiato/a sempre per un tradimento. Ma è davvero tutto qui? C'è solo una rabbia o una tristezza monolitica tutta di un colore e senza sfumature dietro un episodio o una fase di vita più o meno difficile?
Una mia cara docente di psicologia della personalità diceva: "la rabbia è ambasciatrice di molti imperatori" per voler indicare come spesso la rabbia sia la punta di un iceberg al di sotto del quale si nascondono altri stati emotivi (la vergogna, l'umiliazione, senso di colpa, paura di deludere, ecc...) spesso difficili, per la persona, da mettere a fuoco.
Considerando che le emozioni sono innate e regolano il comportamento umano, fin quando non riusciamo a comprendere a fondo quali siano quelle emozioni che si attivano o si sono attivate in una certa situazione, difficilmente riusciremo ad arrivare laggiù in fondo, dove il disagio si origina.

Le persone spesso tendono a razionalizzare il loro malessere o a "normalizzarlo" (è tipico nei contesti lavorativi italiani sentire frasi come: "al lavoro è normale che ci siano conflitti"; "lui è il capo, ci sta che urli") rendendo così "muta" la parte emotiva in quanto percepita unicamente come fonte di problemi o di intralcio nel fare le cose "giuste" (esempio preso dalla coppia: "non ci ho neanche pensato a come sono stata dopo aver scoperto il tradimento; la cosa giusta da fare era restare insieme per i nostri figli").
Questo avviene perché spesso i contesti di riferimento, tipicamente quelli familiari, possono tendere a scoraggiare l'espressione emotiva in generale (come dire che se esprimi un'emozione allora sei debole o perdi tempo o non sei in linea con le aspettative) o a scoraggiare l'espressione di alcune emozioni specifiche ("i maschietti non piangono"; "non dovete litigare! Dovete andare d'accordo"; "in questa casa non è concesso avere paura! Se ce l'hanno fatta i tuoi amichetti devi farcela anche tu"; "devi volere bene alla tua sorellina").
Inoltre, non è raro che nelle famiglie ci sia l'inibizione attiva di certe emozioni o desideri, molto spesso ottenuta attraverso l'innesco di sensi di colpa ("se ti arrabbi con tuo fratello io ci rimango male"; "lo so che ha fatto quello che ha fatto, ma è sempre tuo padre e devi andarlo a trovare"; "se ti vesti così dovrò litigare con tuo nonno per colpa tua"; "se te ne vai a studiare fuori, io come faccio?").
In questo modo le emozioni, o alcune di esse, diventano tabù e ogni volta che verranno sperimentate, saranno automaticamente messe via o trasformate in qualche altra cosa. Tuttavia, Darwin ci insegna che le emozioni non sono proprio famose per mettersi in un angolino zitte zitte quando hanno qualcosa da dire... diciamo che quando vogliono essere ascoltate, fanno di tutto per farsi ascoltare (attacchi di panico, gastriti, tic, disturbi del sonno, sintomi di conversione in generale...) e da lì il disagio.

Quello che come psicologi è importante fare, è aiutare le persone ad essere oneste con se stesse rispetto alle proprie emozioni (il non giudizio è una condizione necessaria per questo motivo) e rispetto al proprio modo di sentire. Non ci stanchiamo di fare collegamenti fra un vissuto presente e uno passato, di aiutare le persone a definire meglio come si sentono, di riflettere sul senso emotivo di quel mal di pancia. A volte, per la fretta di aiutare, ci perdiamo dei pezzi e rischiamo anche noi di andare sul canale del razionale e della logica degli eventi. A volte sicuramente può essere utile aiutare le persone a razionalizzare uno stato emotivo e comprenderne il senso; spesso, però, è necessario fermarsi, osservare il viso, i muscoli, la mimica facciale e il tono delle parole... lentamente e fare domande.
Dobbiamo comprendere cosa accade al livello emotivo per aiutare le persone a dare un significato alle loro esperienze per poi riuscire a trovare strategie nuove.
Bibliografia
  • D'Amasio, A.R.; (1995) L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi.
  • L. Greenberg (2004) Lavorare con le emozioni in psicoterapia integrata, Sovera edizioni.
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