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Interruzioni: l'abbandono della terapia

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Interruzioni: l'abbandono della terapia

Libero pensiero: Interruzioni: l'abbandono della terapia

Scritto da: Francy alle ore 07:18 del 01/09/2012

Buongiorno sono una giovane collega. Da poco ho avviato la mia professione e volevo condividere una recente esperienza che forse può essere comune a molti di noi (novizi e navigati della clinica).

Da qualche mese seguivo in terapia una persona, il percorso, per quanto accidentato, sembrava procedere e cominciavano a evidenziarsi alcuni minimi ma significativi cambiamenti nella vita di questo paziente.

Data la poca esperienza ho seguito questa situazione sotto stretta supervisione.

Come per tutti gli altri pazienti, anche con questo il nostro percorso è stato sospeso ai primi di agosto, per le vacanze estive, fissando un nuovo incontro per l'ultima settimana dello stesso mese.

Bene, arriva la data del rientro, torno in studio e tra la corrispondenza trovo una busta a me indirizzata sulla quale non era specificato il mittente.

Apro la busta e scopro il suo contenuto: una breve lettera scrittami dal paziente, di cui vi sto parlando, con la quale mi comunicava la sua intenzione di non riprendere il percorso e mi invitava a non mettermi in contatto con lui, questa è la sua decisione e mi chiede di rispettarla.
E così ho fatto, non l'ho cercato né lui ha fatto altrettanto.

Fermo restando che tutto quanto sarà (e già lo è) oggetto di attenta riflessione da parte mia e di confronto con il mio supervisore, questa comunicazione mi ha spiazzata: sia per il modo che per il tono con cui mi è stata fatta.
Inoltre "è la mia prima volta" e come tale è accompagnata da emozioni per me nuove e "uniche".

Sono molto dispiaciuta, anzi molto rattristata, di non poter continuare a lavorare con questa persona (per il momento quanto meno) e anche preoccupata per lui.

Non pensavo che "l'essere scaricata" da un paziente potesse toccarmi così tanto.
Ovviamente questa situazione ha attivato dinamiche mie personali, non lo nego, che mi "guarderò" altrove, ma qui vorrei semplicemente condividere "il fenomeno" e l'onda generatasi, per me anomala, che mi ha toccata (quasi travolta) i cui flussi e riflussi agitano questa giovane e nascente "professionista".

Apprezzerò qualunque indicazione, commento o condivisione vogliate fornirmi.

Grazie

Z.F.

Commenti: 58
1 Nadia Sanza alle ore 19:01 del 05/09/2012

cara professionista colelga in erba...

credo di poter capire come ti senti, nel nostro lavoro è giusto mettere una parte di noi stessi. è vero bisogan cercare di capire cosa è successo e poi guardarsi dentro...

mi è capitato molte volte io però ormai lavoro da 15 anni.

 

alle volta può essere disattenzione o errore proprio da parte nostra che cerchiamo di essere tanto professionali...

 

ma quello cjhe mi sento di dirti è anche che cert evolte capita . Punto e basta. E fa male.

ma la nostra professione è anche questo.

 vai anvanti e trovati altri clienti/pazienti e questa esperienza ti aiuterà col tempo a trovare la giusta distanza. In bocca al lupo.

Nadia

2 Aurelio alle ore 20:09 del 05/09/2012

Sicuramente è sconcertante il modo con cui il paziente ha interrotto la terapia e la brusca interruzione, mi pare anche sia stata priva di motivazione, non ha consentito neanche un tentativo di recupero. Forse un fattore esterno sopraggiunto o un errore in seduta, ma è inevitabile che prima o poi possa capitare. Certo non è piacevole e capisco come questo abbia causato un'ondata. Credo sia un pò come una perdita, un lutto, và elaborato nei tempi e modi che ci vorranno. Forza comunque

3 Monica Introna alle ore 20:41 del 05/09/2012

Cara giovane collega, la tua testimonianza mi ha fatto subito venire in mente "la mia prima volta", circa 25 anni fa. Non mi dilungherò nella descrizione del caso, ma ti dirò soltanto che anch'io sono stata scaricata bruscamente da una paziente con la quale le cose cominciavano a funzionare anche se la seguivo da soli due o tre mesi. In supervisione analizzai la mia parte ma non emerse nessun errore, così non riuscii mai a spiegarmi perchè avesse interrotto così da un momento all'altro la terapia. Passati 15 anni la incontro per caso nell'ufficio pubblico dove lavorava, mi riconosce e esulta nel rivedermi, indicandomi alla sua collega con un "Guarda, questa è la mia psicologa, quella di cui ti ho tanto parlato!" Stupita le chiedo perchè se si era trovata così bene ha interrotto la terapia ed ecco la sua risposta "Dottoressa, a volte noi pazienti siamo strani: quando vediamo che cominciamo a stare bene ci spaventiamo e scappiamo. Io avevo capito che lei mi avrebbe fatto cambiare le mie - brutte - abitudini e ho preferito restare con i miei problemi piuttosto che imbarcarmi nel cambiamento". Ovviamente non sono state proprio le sue parole, ma in sintesi è ciò che mi ha detto con un po' di confusione. Tranquilla, ci siamo passati tutti!

Monica

4 Cinzia alle ore 22:51 del 05/09/2012

Cara collega tempo fa mi successe un episodio simile.In realtà per me non del tutto inaspettato perchè scelsi di forzare un pò la terapia consapevole che la persona solo così avrebbe potuto uscire da un periodo di stallo, anche perchè portava in terpai una serie di drop out con vari professionisti. Come mi aspettavo la persona abbandonò, ma dopo pochi mesi ricevetti una sua email in cui mi ringraziava per averla resa consapevole dei meccanismi derosponsabilizzanti che usava, ma che il cambiamento era troppo faticoso, ma che aveva trovato comunque un buon compromesso di vita grazie al percorso fin'ora intrapreso.

Credo che ciascun bravo terapeuta abbia più di un aneddoto da raccontare. Continua a lavorare con spirito critico è l'unico consiglio che mi sento di darti.

Cinzia

5 luisa alle ore 23:26 del 05/09/2012

Cara collega,mi aggiungo alla lista di colleghe a cui è succcessa la stessa cosa cioè che un paziente abbia interrotto la terapia.credo che anche a te sia successa la stessa cosa che succede spesso:quando il paziente si avvicina alla trasformazione di una sua modalità di azione,quindi quando sente che le cose possano cambiare nella sua vita grazie al percorso che sta facendo con il suo terapeuta,allora si spaventa e va via.attacca la terapia per difesa,interrompe e non vuole essere avvicinato per paura di farsi nuovamente tentare e tornare nella strada del cambiamento.non li biasimo per questo:da ex paziente riconosco le paure e da terapeuta capisco che fidarsi dell' ignoto non sia facile e che c è un tempo per ogni cosa.sono fiduciosa quindi che quando i nostri pazienti si sentiranno pronti torneranno.credo che noi siamo "responsabili"di portare la speranza nelle vite dei nostri pazienti,anche e soprattutto quando loro non sentono di averla quella speranza. in bocca al lupo e buona supervisione.

Luisa

6 Francesca alle ore 23:33 del 05/09/2012

Leggere le tue parole mi ha portato alla mente la mia prima esperienza, anche questa terminata così...circa.In comune con te avevo la delusione e l'amarezza , la sensazione di aver commesso qualche errore...Non incontrai più quella persona per un anno circa, fintanto che un giorno ricevetti la sua telefonata con mille scuse, poichè in realtà si era rivolta ad uno psichiatra, con la speranza di risolvere più in fretta il problema con l'aiuto dei farmaci.La terapia iniziò di nuovo e durò circa un anno e mezzo .Sono trascorsi ormai 13 anni e quella pz ancora, due volte l'anno mi telefona, perchè per lei" sono stata una persona importante" nella sua vita.Quindi, mi unisco ai colleghi dicendoti di non disperarti, ci siamo passati tutti...e poi chissà, forse un giorno ti chiamerà, e se così poi non fosse, pensa sempre che per lui hai fatto cmq del tuo meglio! In bocca al lupo Francesca 

7 angelo lacalamita alle ore 23:40 del 05/09/2012

cara Francesca,

credo proprio tu sia riuscita ad esordire nella tua professione con uguale successo. Difatti come sostiene anche Monica, e' probabile che dalle prime sedute il paziente (ostile tra l'altro) abbia avvertito segni positivi di indirizzo verso la guarigione, causandogli pertanto una ricerca immediata di chiusura nei tuoi confronti. E' probabile da parte tua ( chiedi al tuo supervisore ) una sottilissima leggerezza nella valutazione del paziente che  ha pertanto deciso di fare barriera  terapeut/paziente cioe' malattia/guarigione. Forse non era pronto ad ospitare dentro di se' la nuova investitura da te sapientemente ricamata.  Forse i tempi non erano ancora maturi? Se sul piano professionale ti senti ferita prova a cercare il paziente e chiedigli apertamente se e dove hai fallito nei suoi riguardi, e' una sorta di collaborazione che puo' fargli bene e lo puo' gratificare senza secondi fini di riavvicinamento.   Provaci, e' un tuo diritto.

8 carla maria alle ore 00:26 del 06/09/2012

Cara collega,

ancora adesso dopo trent'anni capita che qualcuno interrompa la terapia senza il dovuto "commiato". Talvolta adducendo a motivo una occasionale malattia e poi non richiamando; altre volte con un sms dove la persona dice di stare bene; o altro.

Credo sia normale rimanerci male, almeno per me è così: ci si interroga sul proprio operato, siu segnali che la persona ha mandato ecc. Per correttezza, agli sms o lettere io rispondo sempre che "una interruzione unilaterale della terapia non garantisce la tenuta della terapia nel tempo".

9 Antonellatr alle ore 00:40 del 06/09/2012

Cara collega,

vorrei innanzitutto ringraziarti per aver condiviso questa tua esperienza, in questo modo hai permesso a me, e credo a molti altri colleghi, di non sentirsi "soli ed unici" nel vivere "gli abbandoni".

Anch'io ho iniziato da poco (meno di un anno) la libera professione come terapeuta, ed anche a me è capitato di "perdere" la prima paziente che seguivo in supervisione.

L'abbandono anche nel mio caso, ed evidentemente un caso proprio non sarà, è avvenuta al rientro dell'interruzione pasquale.

La reazione che ha suscitato in te, credo di averla riconosciuta perfettamente: senso di impotenza, frustrazione e tante altre emozioni contrastanti.

E' chiaro che c'è sempre del personale in ogni terapia, ma di questo ne siamo consapevoli.

Il consiglio che posso darti è in realtà quello che già stai facendo: riguarda con il tuo supervisore la terapia, ripensati, ripensa"lo" e vedrai che pian piano quello che ora è "solo" un abbandono, diventerà miniera preziosa x la tua esperienza.

Antonella

10 Ferruccio alle ore 09:46 del 06/09/2012

Cara Francesca,

ti ha scritto una lettera per interrompere e ti prega di non contattarlo. Questo a prescindere vuol dire che la relazione tra voi ha funzionato se lui si è preso la briga di scriverti una lettera (di carta. Nell'era degli sms...) per comunicarti che non vuole più venire.

Io capisco che:

a) Per lui sei una figura di riferimento (se io decido di non andare più da un salumaio non gli scrivo una lettera).

b) Si è sentito toccato in un modo che per lui adesso è intollerabile. Vuol dire che lo hai toccato. Potrai imparare a farlo meglio, ma gli altri sono persone con le loro reazioni: se avessimo la ricetta sicura per relazionarci con gli altri, questi sarebbero macchine. E noi anche.

c) Che questa interruzione della relazione è da parte sua un atto sostenuto da un'intenzione, non impulsivo. Buono o cattivo che sia per i suoi "sintomi", comunque è un'esperienza con cui si potrà confrontare e che costituirà apprendimento per lui.

 

Io rispetterei il suo bisogno di non essere cercato.

Se dovesse tornare credo troverei utile comunicargli in modo trasparente come ti sei sentita tu (esplicitando che è un problema tuo, non suo) per passare il messaggio che anche lui è una una presenza non indifferente per te; ma anche la tua soddisfazione per il grado di autonomia che ha avuto nel gestire l'interruzione della relazione.

Credo che i nostri pazienti abbiano bisogno di vedere che siamo persone con reazioni umane e che non per questo andiamo in pezzi; perché alcuni di loro scappano perché sono convinti che a vivere certe emozioni andranno in pezzi. Accogliere i nostri moti interiori non solo aiuta noi, ma ci rende delle esperienze correttive per gli altri.

In soldoni: secondo me va già bene ciò che stai facendo.

Buona vita

11 umberto alle ore 14:04 del 06/09/2012

Ciao
può darsi che l'utente possa aver sentito delle emozioni dei sentimenti e consapevole di non saperli gestire ha scelto deliberatamente di abbandonare

l'obbiettivo è quello di lavorare con professionalità e con umanità fatto questo il resto non conta non è colpa sua

Ciao

12 Massimo alle ore 19:14 del 06/09/2012

Cara collega, come saprai, c'è un'etichetta che descrive molto freddamente ciò che è successo: hai subito un "drop out". Esso, (purtroppo? Non saprei se dirlo...) fa parte integrante del nostro lavoro ed è estremamente frequente. Le cause, come immaginerai, sono molteplici e talune di queste veramente incomprensibili ed inaspettate. L'unica cosa che mi sento di dirti è che, proprio a causa del fatto che è una situazione abbastanza frequente, prima riuscirai a relazionarti con l'abbandono del paziente in modo funzionale e prima riuscirai a gestire nel modo migliore per te tutti i correlati emotivi conseguenti. Calcola che, soprattutto all'inizio del nostro lavoro, se siamo stati colpiti in modo forte da un "drop out", potremmo adottare delle condotte, con il paziente successivo, protettive nei nostri confronti, per cercare di non subirne un altro, andando così a condizionare la nascente relazione con il nuovo paziente. Chiaramente non mi sto riferendo a te, ma è una evenienza, tra le altre, di cui terere conto. In bocca al lupo per il prosieguo della professione!

13 jag alle ore 19:34 del 06/09/2012

Sono una paziente che ha interrotto bruscamente una terapia di due anni. Non ho detto nulla al mio terapeuta e lui non mi ha cercata.

Da sedute individuali siamo passati a sedute di coppia, su mia richiesta perchè ero imbavagliata in dinamiche di coppia che determinavano aspri conflitti. Questo è avvenuto dopo un certo periodo nel quale il mio terapeuta ha seguito il mio compagno. Nelle due sedute di coppia ho avuto la netta sensazione che avesse sviluppato una sua visione sulla questione che sembrava non voler approfondire nelle sedute. Questo mi ha disturbato profondamente e mi sono sentita "tradita" dal mio terapeuta. Improvvisamente non mi sembrava piu' in grado di capire e di voler capire o e non mi dava la possibilità di farmi capire, ho percepito che aveva sviluppato una serie di pre-concetti.

Forse era la mia percezione. Me ne sono andata senza dire nulla. I due anni che ho speso in terapia sono stati per me molto utili e ho sempre confermato la mia soddisfazione al terapeuta.

Sicuramente i pazienti sono severi rispetto agli errori di un terapeuta (o quelli che percepisce come tali e a me sembra che ce ne siano stati) ma è anche vero che è fondamentale per il paziente "fidarsi" del terapeuta.

In bocca al lupo, è un lavoro difficilissimo.

14 tamara alle ore 19:48 del 06/09/2012

Ciao cara Francesca,

l'abbandono è un cambiamento di posizione ed ogni cambiamento a sua volta corrisponde ad una scelta che ci viene posta davanti o ci poniamo davanti ed a cui  rispondiamo se vogliamo, "se possiamo" o se dobbiamo. nel caso del tuo paziente credo che si sia trovato nella condizione di abbandonare te (la terapia) per non abbandonare quel qualcosa di sé (compresa l'assunzione di responsabilità a cui si sarebbe dovuto portare) che ancora sentiva prematuro ("se possiamo": lui non poteva ancora). credo di poter concludere che il tuo paziente agendo sulla relazione stia già mettendo in atto un processo di cambiamento che non sempre corrisponde ad una "FUGA".   

in ogni terapia ci sarà sempre quella parte di emozioni che ci rende vivi e vicini al prossimo, anche nel silenzio di un tempo che oramai sembra troppo lungo perchè possa riacquistare voce.

Cara Francesca le belle esperienze raccontate dai colleghi e queste mie riflessioni spero siano utili.

buna vita

15 Massimo alle ore 14:27 del 08/09/2012

Scusa jag, ma forse non ho capito bene: il tuo terapeuta ha seguito prima te, poi il tuo compagno e poi avete fatto una terapia di coppia? Spero di aver capito male...

16 Carla Maria alle ore 11:45 del 09/09/2012

Mi ritrovo nello sconcerto di Massimo... Mi sembra interessante valutare l'abbandono della terapia dal punto di vista del vissuto e dei comportamenti professionali del terapeuta, ed inoltre dal punto di vista della relazione tra i due;  e non solo interpretarlo come resistenza al cambiamento. Ciò può essere difensivo per il terapeuta!

Perchè non accennare al fatto che è l'incontro umano talvolta a non funzionare, nonostante la bravura del terapeuta? Che il tipo di terapia che applica "quel" terapeuta non è sempre il più adatto per "quello specifico" pz? Che il terapeuta può commettere errori insanabili? Che la terapia può essere semplicemente noiosa o poco significativa a fronte dell'esborso economico? ecc.

E qs vale per me che lavoro da moltissimi anni, e altrettanto per la giovane collega!

17 Jag alle ore 19:02 del 10/09/2012

Alcune precisazioni: io stessa avevo suggerito al mio compagno di rivolgersi a lui per le problematiche che stava affrontando (stava facendo un ottimo lavoro con me..), il terapeuta mi aveva avvisato che ci potevano essere dei problemi e di evidenziarli qualora si fossero presentati. La procedura probabilmente non è corretta e io, da paziente, non avevo gli strumenti per valutare la questione. Quando questi si sono presentati non ho avuto l'intenzione di metterli in evidenza e di affrontarli direttamente con il terapeuta.

Ho seguito le mie sensazioni: "qui c'è qualcosa che non va, io non vado piu' avanti e nemmeno voglio affrontare la questione prima di rischiare di sentirmi "invischiata" ulteriormente nella situazione"

Indipendentemente dal mio caso specifico, penso che un paziente possa lasciare la terapia per problemi connessi alla gestione della terapia stessa, non sempre a seguito di una resistenza al cambiamento. Forse il paziente non ha gli strumenti per individuare/giudicare se sono stati fatti degli errori ma è "sano" che un paziente si allontani da situazioni che percepisce non utili e/o potenzialmente distorte.

Come in ogni ambito, il professionista deve fare auto-critica e apprendere qualcosa di nuovo da tale situazione. Gli errori e le leggerezze sono sempre possibili dato che è "umano" sbagliare. Forse la "fuga" non fornisce strumenti utili per capire ma bisogna rispettarla.

Mi sono domandata se la mia fuga fosse una resistenza al cambiamento, dunque un mio limite.. riflettendoci con il passare del tempo ho capito che è stata la scelta per me giusta.

Concordo con Carla Maria, l'equazione Fuga/resistenza al cambiamento del paziente pone il professionista in una situazione di "difesa" che non è detto che sempre sia corrispondente alla realtà.

 

 

18 angelo lacalamita alle ore 22:34 del 10/09/2012

cara Jag,

si evince come nel tuo rapporto inconscio terap/paziente tu fossi l'"analista" che oltremodo ha abbandonato il suo paziente, e non invece il contrario. Tu dici che per te era giusto cosi', si ma soggettivamente!

Oggettivamente invece era da domandarsi se la tua decisione di scollamento non potesse destrutturare la figura reale del terapeuta.  La tua decisione sembra piu' una punizione a danno del tuo compagno e del tuo analista un  perfetto "clan" a te purtroppo scomodo ed ostile...

19 Massimo alle ore 09:36 del 11/09/2012

Dalle poche informazioni, quello che ho capito è che l'unica a non dover scusarsi o fare autocritica per il proprio comportamento sia proprio Jag. Lei è la paziente, ed in questo ruolo, le è "permesso" qualunque cosa, qualunque sbaglio, qualunque decisione non logica (poi bisognerebbe vedere qual'è la logica giusta...), o altro. Non sta a lei o alle sue competenze dire se un terapeuta può o meno fare delle cose (tipo prendere in terapia anche il marito di una paziente...). Non voglio parlar male di un collega perchè le informazioni sono poche, ma è vero che, come in tutte le professioni, anche noi sbagliamo, solo che facciamo più fatica ad ammetterlo, con grande danno dei pazienti, per questo dovremmo stare molto più attenti...

20 Aurelio alle ore 16:53 del 11/09/2012

Mi colpisce quello che dice Jag "... prima di rischiare di sentirmi "invischiata". Mi sembra che stiia dando una immagine predisa di ciò che sentiva e di quello che temeva di poter sentire. Jag, ne hai parlato con il tuo terapeuta prima di abbandonare? O hai dato per scontato che qualcosa che temevi sarebbe successo inevitabilmente?

Gli abbandoni purtroppo possono capitere, sia che lo faccia il paziente sia che lo faccia il terapeuta con un intervento sbagliato che poi spinga il paziente alla fuga. Peccato però, un abbandono senza tentativo di ricostruzione è veramente un peccato.

21 Ferruccio alle ore 17:59 del 11/09/2012

Ciao a tutti,

vorrei dare un contributo alla discussione facendo notare che la conversazione sta slittando su un argomento diverso e, soprattutto, su un diverso interlocutore.

Jag ci ha fatto un favore a condividere la sua esperienza con noi e credo che il regalo vada preso senza che diventi occasione di ulteriore analisi on-line nei suoi confronti.

Confesso che anch'io nel leggere della difficoltà di Francesca sono tornato con la mente ai miei drop out. Con una persona in particolare ho ancora un dialogo interiore aperto che ogni tanto scatta e mi viene da appiccicarlo (si dice proiettarlo. Sìì professionale Ferruccio!) su chiunque abbia un "aspetto" simile.

Un dialogo lasciato in sospeso senza una chiusura. Un lutto.

Però: che mestiere che facciamo?! Sorridente

Ferruccio

22 Monica Introna alle ore 14:19 del 14/09/2012

Grazie Jag per l'opportunità che ci offri.

Ti chiedo solo una cosa: quel "... prima di rischiare di sentirmi invischiata" vuol dire che, se tu avessi parlato al tuo terapeuta delle tue perplessità e percezioni, forse lui ti avrebbe fatta tornare in studio? Ciò vorrebbe dire che una mezza intenzione ci poteva anche essere.

Che tu abbia fatto bene a decidere di interrompere puoi saperlo solo tu, ma non farsi più sentire, neanche con una telefonata al professionista che per due anni ti ha seguita, per comunicargli la tua decisione, mi sembra non solo, consentimi di essere chiara ed esplicita, una scelta poco responsabile perchè non ti sei confrontata con lui e, anche, non rispettosa nei suoi confronti, che aveva il diritto di sapere per quale motivo te ne andavi. Hai lasciato un vuoto su cui, come dice Ferruccio, ogni tanto il terapeuta torna senza poter conoscere il motivo dell'abbandono, e quindi poter porre rimedio ai suoi eventuali errori. Non che sia compito tuo, ma credo che il rapporto fra due persone debba basarsi sul rispetto reciproco. Forse fai ancora in tempo...

23 angelo alle ore 15:20 del 14/09/2012

ciao a tutti,

gli abbandoni di Jag con la terapia, sono, come tutti noi ben sappiamo le reminiscenze del passato di abbandoni subiti da Jag. Forse il suo, e' un tentativo di esorcizzare un dolore rimasto ancora dentro di se' "ingarbugliato" tanto per usare un lessico alla "Ferruccio", (simpaticissimo).  Sappiamo bene pero' che non e' cosi' che funziona, pertanto cara Jag cambia indirizzo piuttosto, e stavolta senza farti seguire dal tuo compagno , lasciati condurre da un nuovo fedelissimo terapeuta.

Un caro saluto a Jag e .... a Francesca per i suoi successi!!!

angelo

24 Aurelio alle ore 16:25 del 14/09/2012

Innanzitutto voglio scusarmi con Jag. Il mio commento non voleva essere una critica alla sua decisione, mi ero sentito dispiaciuto per l'abbandono e forse per dinamiche mie ha prevalso la deformazione professionale. Sono d'accordo con Ferruccio, abbiamo spostato argomento e interlocutore. Non vorrei che rischiassimo di finire a giocare al "tribunale" o a "psichiatria".
Tornando a Francesca . . . .  forza, capita a tutti (io sono stato fortunato perché a me non è ancora successo, ma tanto prima o poi. . . . .).

25 Psiche80 alle ore 23:35 del 09/10/2012

Ciao a tutti,

Sono una pazientee sto viendo una situazione di dubbio sul mio terapeuta.Sono in terapia da anni e reputo il mio terapeuta una persona preparata e professionale.Sento stima da parte sua,io nutro affetto per lui....

 

Tutto è accaduto quando mi sono trovata in un periodo molto complicato,mi stavo dissociando a causa di forti pèensieri ossessivi.In quel periodo  non mi sono sentita capita dal mio terapeuta.Avrei voluto da lui maggiore attenzione,maggiore tenerezza invce e' capitato di sentire poca empatia.Ero anche in una situazione di forte trasnfert,cosa che si verifica anche oggi,ma da queglii episodi non riesco più a vivermi i modo diretto ,ma cerco sempre di verderli con un certo distacco per analizzarli e capire se si tratta davvero di un transfrt oppure no.Io sono molto affezionata a lui,per me è una figura importantissima,insieme abbiamo risolto tante mie problematiche(anoressia e narcisismo).Ma questa situazione mi crea angoscia,e rabbia.Ho provato anche un senso di delusione.Mi trovo in una fase di cambiamento e resistenza alla terapia e sono davvero molto confusa,non so come gestire e interpretare la situazione!In realtà provo rabbia anche la psicoterapia,ma credo che qui sia dovuta alle mie resitenze al cambiamento o forse ad aver riposto troppe aspettive miracolose nella terapia,non so.

26 Federica alle ore 10:36 del 10/10/2012

Ciao Psiche80, mi ha colpito molto il tuo post, in cui mi pare di leggere una certa confusione un certo disorientamento, rispetto al rapporto con il tuo terapeuta, che provoca in te sofferenza.

Forse avete raggiunto un punto critico nel vostro perocorso, una sorta di crocevia emotivo in cui emergono temi che riguardano te e il tuo modo di stare in relazione con gli altri per te significativi che indubbiamente si riflettono nel rapporto con il tuo terapeuta, coagulo di tutte le relazioni che hanno "segnato" la tua vita.

Mi colpisce anche la tua capacità di osservarti e di metterti in discussione, per cui in te è in corso una evoluzione, una crescita, e nessuna crescita purtroppo a questo mondo è indolore.

Porta questi temi, queste emozioni, dal tuo terapeuta sviscera con lui le tue perplessità che attengono il percorso che stai compiendo, tutto ciò che si muove dentro la vostra relazione riguarda comunque te e questi contenuti sono importanti anche per il tuo terapeuta per individuare e capire a che punto siete arrivati.

Sicuramente ne hai già parlato con lui, ma continua a farlo. Quando avrai "compreso" ciò che ti serve, ciò che è funzionale a te, i dubbi si diraderanno e in te la chiarezza si farà spazio. Forse ci vorrà un po' di tempo, ma credo ne valga la pena, per tutti e due.

In bocca al lupo

Federica

27 Massimo alle ore 11:14 del 10/10/2012

Psiche80, credo che non esista soluzione migliore che portare questa tua "confusione" (che, probabilmente, è da ritenersi positiva, nel senso che potrebbe essere vista come un momento critico in cui si possono osservare e sviluppare momenti generativi per te e per la terapia) all'interno del setting e ripartire da lì. Cerca di non far scappare questi momenti che sono altamente significativi e "caldi" per il prosieguo della terapia. Forse, ora, non è tanto importante il "cosa" provi per il tuo terapeuta quanto il "come" ed il "perchè" lo stai provando. Partendo da qui e, in seguito e nel giusto timing, generalizzando alle tue solite modalità relazionali, potrai imparare qualcosa di te che ti farà acquisire un nuovo punto di vista sulla tua processualità di vivere. Ho utilizzato un linguaggio non troppo terra-terra perchè mi sembra che tu abbia raggiunto dei livelli di auto-analisi molto buoni quindi non avrai difficoltà a cogliere il senso del mio messaggio. Dunque, quando si prova l'intensità che stai provando tu (anche se sul momento può causare sofferenza o pensieri tutt'altro che buoni) è molto positivo per il vostro percorso relazionale, in quanto il magma emotivo che ti riguarda è ancora fluido e può essere utilizzato per migliorare la comprensione di se stessi, invece che cristallizzato e non poterlo utilizzare...In bocca al lupo!

28 Psiche80 alle ore 17:52 del 12/10/2012

Vi ringrazio per l'attenzione e i suggerimenti che mi avete dato.Io ,sì...nè ho gia' parlato con lui e ne emerso che il mio e' un transfert,a volte mi sembra di vedere in lui il viso e le fatteze fisiche di mio padre e  volte anche di mia madre.Purtoppo i miei dubbi sono continuati...forse io mi aspetto troppo da lui,non so.Del tipo,in questa fase di cambiamento e' come se volessi sentrimi incoraggiare e motivare di piu',sentirmi dire che ce la posso fare e che ce la faro'Cosa che forse amodo suo fa,ma che forse io vorrei in modo diverso.Per questo ho dei dubbi.Io pero' mi sono trppo affezionata per me sarebbe troppo dura edemotivante l'idea di cambiare terapeuta.Il mio terapeuta e' lui.Il mio terapeta mi dice di andare piano,perche' io' che mi porto dentro,essendo anche dissociata,e' molto forte e inoltre non sono ancora pronta ,anche per debolozza strutturale di vivere una forte emotivita'.La starda e' ancora lunga.Io mi trovo in pratica nella fase del dopo grandisita' ,poi essendo stata anoressica, questa dissociazione con assenza di spazio tempo coincede con la forte identificazione con mia madre,che sembra vivere in un continuo stato di trance.Ho sempre evitato l'emotivita' e viveremi tutto questa situazione mi avvilisce,mi sento davanti una montagna da scalare, e con poche energie psiche.

Vi ringrazio ancora...

29 Luca Altieri alle ore 18:59 del 05/12/2012

Cara Francesca, leggo il tuo messaggio solo ora e suppongo che la consolazione che cercavi nel momento sia già giunto e l'episodio luttuoso già superato, purtroppo non mi collego spesso al sito HT. Mi fa sorridere la tua lettera (affettivamente parlando) e immagino abbastanza i sentimenti e lo sgomento che hai provato in questa occasione, anche se gli stessi sono alquanto soggettivi e relativi ai nostri vissuti personali di angoscia abbandonica, vissuti personali importanti da elaborare e fondamentali da superare per chi fa il nostro mestiere, in quanto se non abbiamo risolto i nostri problemi separativi difficilmente possiamo essere di aiuto ai nostri pazienti. Certe cose dipendono ovviamente anche dall'approccio utilizzato, io parlo in senso analitico e psicodinamico, ma credo che questo valga un pò per tutti i ruoli psicoterpautici. In riferimento all'esperienza che hai gentilmente e coraggiosamente condiviso con noi, ti riporto qualcosa che mi è accaduto all'inizio di settembre: avevo iniziato una terpaia con una ragazza che soffriva di depressione, abbiamo fatto otto incontri circa. Hai presente quelle pazienti con cui ti trovi bene a lavorare e che pensi seguirai per anni sentendo di poterle realmente aiutare? Bhè all'improvviso qualche ora prima del nostro incontro trovo una sua mail dove mi dice che non proseguirà più la terapia e che sua suocera (l'inviante) le ha trovato un altro terapeuta (donna) sottolineando più volte che "non è che non me non si trovava bene". Io rimasi allibito, ma per la modalità e l'impulsività e lo strappo netto e senza possibilità di replica di questa separazione era chiaro che questo movimento rappresentava qualcosa che andava ben oltre i dubbi che potevano assalirmi rispetto alla mia competenza come terapeuta.  ...SEGUE

30 Luca Altieri alle ore 19:00 del 05/12/2012

..CONTINUA

Dico questo per dire che, come nel caso di questa mia paziente, può esserci una coazione a ripetere o un movimento transferale per il quale eventi e modalità, ben rintracciabili nella storia dei pazienti, si riproducono nella relazione con il terpauta. Che tutto ciò si riproponga nel setting terapeutico è una delle principali funzioni della relazione terpautica e rappresenta sempre la principale occasione di terapia, ma affinché questa occasione possa essere colta e dare i suoi frutti è anche necessario che il paziente torni da noi, diversamente ci impedisce di fare il nostro lavoro.. fermo restando che dobbiamo sempre metterci in discussione anche nel nostro operato. In conclusione cara Francesca (se questo è il tuo nome) ci sono dei pazienti che, in virtù del loro livello di angoscia separativa non sono trattabili.. almeno da un punto di vista analitico o psicodinamico. Per lo stesso motivo gli psicoanalisti e altri psicoterapeuti, stabiliscono tre incontri iniziali rispetto ai quali il paziente sa che oltre a dover essere lui a scegliere se si trova bene con il terpauta, anche il terpauta deve poter valutare se iniziare o meno un certo tipo di lavoro con lui (se prenderlo come paziente). Questo non serve ovviamente per scartare i pazienti ostici, ma questa percezione del paziente della posibilità che il terapeuta alla fine dei tre incontri lo abbandoni è un ottimo valutatore della trattabilità in relazione alle angosce di cui ti parlavo prima. I pazienti non trattabili, in questo senso, si angosciano talmente tanto al pensiero di una possibile separazione che anticipano la separazione saltando l'ultima seduta.

31 Luca Altieri alle ore 19:01 del 05/12/2012

3/3 ..CONTINUA

Questi pazienti da un certo punto di vista (analitico) non sono trattabili perché in determinate situazione (come la separazione estiva) abbandonano la terapia come ha fatto il tuo paziente e il terapeuta non potrà mai riutilizzare l'interpretazione dell'accaduto ai fini terpautici in quanto il paziente non torna più. Lo so è una grande amarezza e ti sono vicino, il suggerimento che ti do è quello di fare un buon percorso analitico personale (tuo) che ti permetta di consocere a fondo e superare quelle che sono le TUE angoscie separative, lo dico per te e per i tuoi pazienti.

Grazie

Luca Altieri (Perugia)

32 Psiche80 alle ore 00:48 del 28/12/2012

Vi chiedo scusa se torno con la mia problematica personale di qualche tmpo fà,cioè il dubbio sul rapporto col mio terapeuta.Il punto è che mi sento in astio verso di lui per via di quella incomprensione .Come se non riuscissi a perdonagli questa mancanza.Da allora ho iniziato un processo " a catena",ho iniziato a scavare nel passato e mettere in dubbio anche le altre volte che non mi sono sentita capita.Ricordo che anche in un'altra fase difficile ,dubitai di lui,era l a fase del mio Edipo!Avevo dei fortissimi transfrt con lui ,così forti che ad un certo punto stavo per andarmene.Per fortuna rimasi,perchè da quella rabbia,non solo risolsi il mio complesso di Edipo(seppur non  totalmente )ma ho potuto constatare altri cambiamenti positivi.

33 Psiche80 alle ore 00:49 del 28/12/2012

(continua)

Io di solito amo la tenerezza e tendo ad essere poco diretta,il mio psicologo invece a volte è diretto,schietto,qualche volta 'lho sentito ironico,certo non volgio dire che è distruttivo o sadico,perchè io penso che lui sia molto professionale e in gamba nel suo lavoro,ma ho inizato a pensare che forse il suo essere diretto,e schietto possa essere stato d'intralcio nel nostro rapporto e che essendo io già "molto delicata" e" ipersensibile ", e suscettibile ,forse avrei bisogno di qualcuno un tantno più attento.Io sento che mi vuole bene,epenso che mi stima anche,in fondo anche io mi sono affezionata elegata a lui,peò da allora ho paura che sia rotto qualcosa.poi ultimante è come se sentissi un senso di fretta,che lui oggetivamente non ha,ma che io avveeto,e questa mi disorienta,mi confonde e mi mette tanta ansia e angoscia.

34 Pische80 alle ore 00:51 del 28/12/2012

A volte valuto di cambiare e andare da un altro terapeuta,mli per lì mi da sollievo,ma poi lo sento inutile,penso di sentirmi solasenza il mio attuale gruppo terapeutico ,ma dall'altra parte sono contenta e perchè lo vedo un atto punitivo nei confronti del mio attula terapeuta.Inoltre,è come se andando dall'altro teraputa,mi sentocmq demotivata,sentirei cmq qualche resistenzaal cambiamento ea vrei paura che si ripete la stessa situazione. Sto provando ad esseresincera con me stessa,ma a volte è arduo capire la verità.Spesso penso che mi sto anche difendendo e forse uso questa rabbia nei suoi confronti per non andare al vero problema,altre penso che abbia avuto anche una parte di responabilità e che forse sarebbe stato meglio se me si avesse compresa e sapesse comprenderre le mie paure,senza che io debba fare le capriole(credo)o ,almeno sentire che questa cosa mi venga trasmesa.Sono davvero confusa.Fatto sta che anche se fosse che si sia rotto qwualcosa con lui,non lo accetto!Non lo accetto e non lo volgio accetare perchè il mio terapeuta è stato luie voglio "guarirecon lui."In questo momento,ad esempio,lo sto anche odiando.Vorrei sentire quella sensazione che provavo prima,di sentrimi compresa ,di sentrimi in un percorso protetto.E' vero che il superamento delle resistenza dipendedalla bravura del terapeuta?In che misura?Le forti resistenza da parte mia continuano ad esserci,e non sono sicura che con un altro teraputa la mia situazione possa cambiare.Il mio psicologo dice anche che nn ho la giusta struttura per affrontare certi stati emotivi,non ho ancora le risorse giuste.La mia montagna da salire la vedo alta,anzi altissima,mi sento demotivata e scoraggiata,tanto.Provo un senso di rifiuto.

35 Psiche80 alle ore 00:54 del 28/12/2012

PS.mi scuso per gli errori nel testo che non ho fatto in tempo a modificare .

36 Aurelio alle ore 17:09 del 28/12/2012

Credo che tutto ciò che stai passando sia del tutto normale. Dalle difficoltà al transfert tutto passa per il superamento delle problematiche che hai e che naturalmente porti nella relazione terapeutica. Puoi non spaventarti e puoi credermi che la montagna non è poi così alta. E certamente è difficile, è arduo vedere la montagna e sentire la paura di non potercela fare. Il tuo terapeuta ti è più vicino di quel che credi, prova a chiederglielo. Forza e vai avanti.

37 Psiche80 alle ore 22:18 del 01/01/2013

Sto cercando di mettercela tutta,ma certe cose non mi scatano,purtoppo!

38 dispiaciuta69 alle ore 17:25 del 11/02/2013

Salve a tutti! Sono stata in analisi per quasi 15 anni. Sto molto meglio ma ancora provo insoddisfazione e senso di vuoto. Così un paio di mesi fa, decisi di rivolgeri ad una psicologa del conultorio, la quale dopo solo mezz'ora di colloquio mi congeda bruscamente dicendoi che sono troppo corazzata e che lei non se la sentiva di lavorare con me...e tante altre cose scoraggianti. Ci sono rimasta malissimo e sono stata male per gg. Una presunta professionista può comportarsi così, priva di tatto e sensibilità? Possibile che solo dopo mezz'ora di conversazione abbia capito tutto di me? Mah ho dei seri dubbi...per favore aiutatemi a comprendere tale atteggiamento! Grazie Sorridente

39 Alba alle ore 17:59 del 11/02/2013

Da quello che scrivi non si può  evincere cosa e' successo tra voi in mezz ora,sicuramente non e' scattato un transfert pisitivo.in fondo lei e' stata sincera e non ti ha fatto né perdere tempo né ti ha illusa.succede sempre che il paziente scelga il terapeuta ma qualche volta il terapeuta deve essere obiettivo e ammettere che con quel paziente non può lavorare bene.questo e' a vantaggio del paziente,sia bel servizio pubblico che nel privato.non smettere di cercare un terapeuta che vada bene a te e viceversa.non credo che si debba incilpare qualcuno e sertirsi sfiduciati,semplicemente non possiamo piacere a tutti.

In bocca al lupo  

40 Monica Introna alle ore 19:33 del 11/02/2013

Io dico però che un po' di tatto uno psicoterapeuta dovrebbe averlo. Puoi benissimo non accettare di prendere in carico un aspirante paziente, ma con un po' di gentilezza e cortesia puoi farlo andar via con gli stessi problemi, magari, ma non con uno in più. Ti garantisco cara "dispiaciuta69" che i tuoi problemi sono assolutamente risolvibili ma forse più che con le parole con una terapia corporea che ti aiuti a lasciar andare la tua corazza. Provaci ancora! 

Un "in bocca al lupo" anche da parte mia.Bacio

41 Abate Faria alle ore 22:35 del 24/09/2013

Da alcuni mesi sto cercando di interrompere sia la psicoterapia sia il trattamento con psicofarmaci. Ma ogni volta che ne parlo con la psichiatra e con la psicoterapeuta alla fine sono consigliato ad andare avanti con le cure, perché secondo loro ne ho ancora bisogno. Ora ogno volta che vado ad un appuntamento mi sento sempre più frustrato. Vorrei uscirne fuori ma non ci riesco, mi sento in gabbia. Penso che prima o poi, se ne troverò il coraggio, sarò costretto ad interrompere bruscamente e senza troppe spiegazioni, proprio per non ricadere nella trappola delle parole. Capite adesso cosa può accadere? Forse bisogna trovare soluzioni alternative piuttosto che costringere, anche se soltanto a parole, un paziente a continuare la terapia.

42 luisa alle ore 20:55 del 25/09/2013

caro abate d'aria,sicuramente psicoterapeuta  e psichiatra non sono infallibili ma dal momento che scrivi "consigliato"di non smettere le due terapie...credo che se tu vuoi saluti caldamente ringrazi e smetti,altrimenti se resti e' perché vuoi farlo.che ne pensi?

Un saluto

43 Abate Faria alle ore 22:24 del 26/09/2013

Cara Luisa,

penso che non sia affatto facile come dici tu.

E' la paura che mi trattiene, la paura di non avere un qualcosa al quale aggrapparsi.

Ciò che inizialmente doveva essere una terapia sembra essere diventata una dipendenza.

Non riesco a capire bene come stanno le cose e non so come mi devo comportare.

Non è un caso che mi sia messo a cercare su internet qualcuno che mi spieghi su come si interrompe una terapia.

Tu sei comunque un contatto umano, anche se mi appari solo su uno schermo di un computer.

Per questo ti ringrazio della tua attenzione, qualunque cosa accada.

44 luisa alle ore 21:47 del 27/09/2013

La terapia nasce per essere conclusa,non s interrompe.nessun terapeuta può costringere un paziente a continuare ma può opporsi all interruzione se lo ritiene necessario per il paziente.cosa succeda in seduta lo sanno solo tre persone:il terapeuta,il paziente e "la relazione"che si crea tra loro,cioè il tipo di legame o meglio la ripetizione dello schema interno al paziente che lo induce a relazionarsi sempre allo stesso modo nelle relazioni che instaura.per esempio creare una dipendenza puo' rientrare in un tuo schema relazionale.secondo me ne devi parlare con il tuo terapeuta e cercare di capire insieme se e' davvero il caso di terminare la terapia o di ripartire.

In bocca al lupo.

45 Siria alle ore 12:13 del 15/12/2013

Faccio pscoterapia da circa 3 anni. Avevo molta fiducia in lui, mi sentivo rispettata e protetta e libera di poter parlare di tutto. Le cose sono migliorate un pò dall'inizio. Ma gli parlavo anche della mia delusione dopo 3 anni di non vedere risultati soddisfacenti.Faccio presente che ho un numero di amici ma vorrei allargare il cerchio di amicizie ma spesso mi sento tagliata fuori. Lui mi dice che devo essere accogliente, meno aggressivae altre cose. Mi sono sentita attaccata, le cose non andavano così, ma lui non mi ascoltava..  ho comincito a piangere e gli ho detto che non stava capendo. E lui continuava a dirmi che non voglio affrontare il problema e che se ho problemi con molte persone la colpa è mia e che devo cambiare. Parlavamo 2 lingue diverse.  Quando lo cerco (raramente) per un imprevisto che mi travolge e ho bisogno di sentirlo, lui non risponde alle telefonate, a suo dire perchè ha altri pazienti più impegnativi e che dovrei andare da altri se ho bisogno di sentirlo più spesso. Ho chiamato per dire che non volevo più fare terapie con lui... mi sentivo sollevata, ma anche confusa e persa. Dopo una settimana l'ho chiamato, (volevo avere un appuntamento per parlare del problema che si era creato tra di noi) lasciando un messaggio in segreteria, ma lui non si è fatto sentire Ho richiamato (pensando a problemi tecnici, poco probabili conoscendolo. ma ho voluto tentare) e ancora niente. E ho chiamato per la 3 volta. In realtà credo che lui ci stia giocando. Ma che comportamento è un professionista che si comporta così??Io volevo solo parlare per vedere di risolvere il problema che si era creato tra di noi... ma niente. Non lo chiamerò più.. ma mi sento tradita e ingannata. E mi fa ancora più male questo, perchè lui sa che l'abbandono è stato il principale problema della mia vita.

46 Abate Faria alle ore 03:55 del 31/12/2013

L'ho fatto. Alla fine ho preso la mia decisione ed ho interrotto la psicoterapia. Me ne prendo tutte le responsabilità ma dovevo farlo. Credetemi, è stato un momento di coraggio e di dolore allo stesso tempo, come buttarsi dalla finestra. Quando ho salutato per l'ultima volta la mia psicoterapeuta, stringendole la mano, mi sono voltato e uscendo, senza guardarmi dietro, ho sentito una fitta terribile allo stomaco, da togliermi il respiro. Mi sono sentito colpevole, come se io avessi fatto del male a lei. E' incredibile come ti possa venire un senso di colpa, ma come? Non ero io quello da curare? Ma che si sono invertite le parti? Poi mi sono sentito bene, libero, finalmente consapevole di esserlo. Al momento è così, è quasi l'alba e aspetto che finisca questo brutto anno.

47 Anna alle ore 19:28 del 28/01/2014

Sono contenta, di aver incontrato questo sito dove voi colleghi avete affrontato il tema dell'abbandono brusco della terapiae da parte del paziente . Mi è capitato ! Sono una professionista giovane ho subito rimesso in discussione le mie competenze. Leggere le vostre opinioni e condivisioni  mi ha fatto sentire normale....

Ho letto non ricordo dove la vita del terapeuta è fatta di arrivi e di partenze e di interruzioni..... è così...Buona vita a tutti noi...Sorridente

48 Lia alle ore 19:52 del 28/02/2014

L'Abate Faria, il nome scelto significherà pure qualcosa...Nella relazione terapeutica si gioca   la nostra modalità di relazione con l'altro, riproduciamo "la relazione", dolorosa, coraggiosa che abbiamo già vissuto.  Quando dici " ho sentito una fitta terribile allo stomaco, da togliermi il respiro. Mi sono sentito colpevole, come se io avessi fatto del male a lei. E' incredibile come ti possa venire un senso di colpa, ma come? Non ero io quello da curare? Ma che si sono invertite le parti? Poi mi sono sentito bene, libero, finalmente consapevole di esserlo", non voglio fare la terapista che si sostituisce a te e ti offre una chiave di lettura, tuttavia mi pare che sia proprio nelle parole che hai scelto, straordinarie e di grande impatto emotivo là dove cercare il senso di quello che si è svolto tra te e la terapista. approfondire ti aiuterebbe...

49 Cla alle ore 16:58 del 02/05/2014

Anche io ho abbandonato la terapia dopo circa 6 mesi.
Ho cercato la terapista on line, L'ho cercata donna.... perchè? Non lo so. Forse perchè mi piacciono le donne.
Ho sentito il bisogno di mettere in discussione il mio rapporto con mia moglie dopo molti anni di convivenzi e tre figli.
La terapia alla fine la ritengo soddisfacente e credo che la terpaista bravissima mi abbia aiutato molto proprio a mettermi in discussione.
Qualche settimana fa le ho mandato una email in cui le spiegavo che sentivo attrazione fisica per lei. Lei mi ha spiegato che si trattava di un passo avanti (io non l'ho capito molto in realtà) e che era un segno positivo nel nostro percorso.
In realtà c'è stata solo una seduta dopo e poi l'abbandono.
Le ho chiesto con un messaggio, di poterci vedere lontano dal suo studio. Le ho spiegato (via sms) che dovevo scegliere tra la terpaista e la donna che ormai mi piaceva e che desidero sessualmente. Abbiamo avuto uno scambio di messaggi sms fino a che lei mi ha detto (credo professionalmente) che non poteva più farlo e che avrei dovuto contattarla solo telefonicamente e che ci saremmo visti alle sedute. Io l'ho interpretato come un giusto comportamento professionale ma alla fine non l'ho accettato per me stesso.
Alla fine ho scelto la donna che non ho ovviamente abbandonando la terapista.
Ci siamo scambiati alcune email dove lei ha concluso dichiarandomi di sentirsi molto dispiaciuta.
In realtà io sono rimasto con la speranza che la donna si sganci dalla terapeuta per non incorrere in comportamenti non etici. Ma ho abbandonato la terapia con molto dolore.

50 Marco alle ore 16:50 del 29/04/2016

Buonasera,

sono in terapia da oltre due anni. Più di un mese fa il mio terapista mi ha mandato un sms dicendomi che di avere un problema di salute e che mi avrebbe fatto sapere non appena saputo le tempistiche. Ieri gli ho mandato un sms chiedendo come stesse ma non mi ha risposto. Cosa consigliate di fare? Sono molto preoccupato. Grazie!

51 Ferruccio alle ore 22:58 del 30/04/2016

Marco, non c'è mai un modo sicuramente "giusto" di comportarsi in questi casi, ma credo che appena il tuo terapeuta avrà chiara la propria situazione non mancherà di ricontattarti. Prenditi cura del tuo disagio come il tuo terapeuta ha fatto con te, e quando tornerete a vedervi potrai dirgli di aver imparato qualcosa da lui anche grazie alla sua assenza. A volte in terapia accadono magie proprio a partire da inciampi come questo. Buone cose a te e a lui.

52 Marco alle ore 07:33 del 02/05/2016

Grazie Ferruccio, il fatto è che non riesco a dare un senso al suo comportamento. Perché non dirmi "interrompiamo fino a" oppure chiamarmi per spiegarmi bene la situazione? Mi sento come un paziente in sala operatoria che nel momento dell'operazione viene abbandonato sul lettino. Scusate lo sfogo. 

53 Paola alle ore 09:05 del 07/09/2016

Buongiorno,

sono una paziente. Faccio un percorso di psicoterapia da quasi 3 anni e già da qualche mese penso di voler interrompere. Se una prima fase è andata abbastanza bene ed ho risolto difficoltà familiari, per il resto mi sento in una situazione di stallo. Sono assolutamente consapevole di dover essere io l'artefice dei cambiamenti ma non ci riesco, non mi muovo dalla solita posizione. Da un pò le sedute mi sembrano totalmente inutili e la mia terapeuta sa solo dirmi: si iscriva in palestra, faccia volontariato, faccia un viaggio ecc. Ogni volta vado via delusa.

Ribadisco, so che lei non ha la bacchetta magica e se io non faccio nulla nulla cambia...ma se io non ci riesco, non sarà più utile chiudere? Forse oltre non riesco ad andare.

Ne ho parlato con lei ma sostiene che, invece, ho fatto molti progressi. Io invece sono sempre qui, insoddisfatta della mia vita che guardo scorrere noiosa, come tre anni fa.

54 Riccard alle ore 21:02 del 17/11/2016

Buonasera,

Sono in terapia da 15 anni e di recente ho sentito la necessità di ridurre le sedute da 2 a una settimanale. Un po' per senso di saturazione, un po' perché ho pensato di essere molto migliorato, di sapere finalmente gestire da solo situazioni emozionali critiche, in coppia o con gli amici, di poter lavorare con più soddisfazione, in modo più sereno ed equilibrato di prima. Anni fa non avrei neanche pensato di poter affrontare situazioni di lavoro che adesso sono la normalità. Il mio terapeuta ha tentato di farmi desistere, spiegandomi che si tratta prevalentemente di una resistenza, che non sono ancora pronto ad andare verso una piena realizzazione, ad essere davvero autonomo. Per altro il periodo ha coinciso con un senso di saturazione verso la coppia (rapporto che dura da 8 anni ma spesso problematico), che adesso sta rientrando. Una relazione nella quale l'analista mi ha sempre incoraggiato a restare, nonostante i miei frequenti dubbi. Vista la mia insistenza, mi ha infine concesso di passare a una sola seduta. In un'occasione mi ha incoraggiato dicendomi che ero più stabile e in grado di gestire parte dei miei disagi ma poi è subito tornato sul tema resistenza. Per curiose coincidenze, il mio terapeuta ha prima avuto un problema di salute e poi ha subito un lutto in famiglia, per cui anche l'unica seduta settimanale non si è tenuta per due volte (non consecutive). Questo mi ha fatto riflettere sul senso di abbandono (mio tipico problema) provato, e sul fatto che ho senz'altro ancora problemi da risolvere (ma li avrò sempre!). Mi/Vi chiedo quindi se non potrebbe essere una resistenza dell'analista il fatto di non lasciarmi andare? Non sarò in grado dopo 15 anni di analisi di valutare che si può un po' allentare la presa, e provare a camminare almeno con una propria gamba?

Grazie a chi voglia rispondermi.

55 carla maria alle ore 09:08 del 18/11/2016

Mi colpisce la Sua osservazione: "Mi/Vi chiedo quindi se non potrebbe essere una resistenza dell'analista il fatto di non lasciarmi andare?" Certamente sì Resistenza psicologica, resistenza economica; anche l'analista ha le proprie resistenze se non ha elaborato il lutto. Per me che mi occupo di "psicoterapia breve focale", 15 anni di terapia sono un obbrobrio. Ma evidentemente dico questo partendo da un altro punto di vista e non conoscendo le patologie che sono state affrontate...

56 Fabrizio alle ore 16:47 del 06/07/2017

Buongiorno, sono un paziente, in terapia da quasi un anno. Forse, almeno qui, la mia esperienza può servire. Cara Z.F.... voi psicoterapeuti faticate a capire una cosa, che per noi pazienti, soprattutto se la psicoterapeuta è una donna e tu sei un uomo, come nel mio caso, noi pazienti facciamo una fatica enorme a stare in una relazione che per sua natura è fattada un'ora scarsa alla settiman a (o anche peggio, nel mio caso è 50 minuti ogni 2 settimane)... noi ci innamoriamo perdutamente di voi e vorremmo avere una relazione non limitata a quell'ora terapeutica. I più robusti e determinati, a prezo di enormi sacrifici, vanno avant e piangono ogni giorno (come me) da mesi perchè non possono soddisfare quel desiderio, per la regola della frustrazione a voi tanto cara... altri semplicemente non reggono. Hai voglia di "parlare in seduta" dei tuoi sentimenti... io sono da 6 mesi innamorato della mia terapeuta, lei lo sa, ne abbiamo parlato, sto sempre preggio. Nel mio caso non penso che mollerò, le voglio troppo bene. Ma accidenti se è dura. Ogni istante della mia giornata penso a lei. Ogni giorno. Ogni momento. Ogni minuto. E mi manca da morire. E ogni giorno penso di finirla qui, di interrompere. Quando voi dite che le cose "iniziano a funzionare" per noi significa che siamo col cuore aperto in due, che le pulsioni e i desideri anche solo di un abbraccio sono talmente forti che nemmeno ve lo immaginate. Da questa parte della vostra scrivania c'è una persona per cui la psicoterapia dura 24 ore su 24, non un'ora alla settimana (se va bene). C'è uno che vi sogna tutte le notti, e di giorno ad occhi aperti... e questo non tutti lo reggono. Ecco perchè alcuni non ce la fanno più e mollano

57 Sara alle ore 00:54 del 28/02/2018

Sono una ormai ex paziente. Ho trovato questi post perché ho interrotto da pochissimo la mia terapia. Non ho messo in discussione la terapia, né il terapeuta. Posso riconoscere in tutta onestà di aver raggiunto in cinque mesi uno stato interiore più sereno, soprattutto verso me stessa. Paura di cambiamento? No, ne sono pressocché certa. Mi ha spaventata la dipendenza che la relazione terapeutica stava creando in me. L'attesa incessante della settimana. Le chiacchierate immaginarie con il terapeuta al di fuori dello spazio-tempo definito ... A vederle così sembrano tutte cose positive per chi esercita la professione. Ma per il paziente non è sempre così. Voi siete esperti di queste relazioni: noi pazienti no. E ci confondiamo. Magari anche il mio è un banalissimo transfert. Ma non ce l'ho fatta.E ho abbandonato la terapia e il terapeuta. MI sono presentata all'ultima seduta e non gli ho detto nulla, volutamente, perché non avrei retto la discussione. Gli ho lasciato al termine della seduta una lettera in busta chiusa, spiegandogli quanto scritto sopra. Parlandogli della mia paura di sentirmi dipendente da una relazione terapeutica, della mia paura di dover terminare quando non sarei stata pronta a farlo ... e che non mi sarei presentata alla prossima seduta che gli ho pagato anticipatamente come "rimborso" e buon augurio a impegnare l'ora dedicata a me. Mi spiace non avergli dato la possibilità di parola anche se gli sono grata per il percorso che mi ha aperto. Mi spiace però anche che non abbia "risposto" ... almeno un ciao, in bocca al lupo. Un perché... E questo è l'unico elemento che mi ha convinta che ho fatto bene. Non sono una professionista come voi ... ma forse quello che più di tutto ci si aspetta da voi è saper leggere tra le righe, anche dell'anima.

In bocca al lupo a tutti! 

58 Ema alle ore 13:44 del 02/04/2019

Sono un ex paziente che ha interroto la terapia pochi mesi fa. Causa? Perche mi sono innamorata del mio terapista dalla prima volta che ho visto. Ho parlato con lui di questa cosa e per settimane la stesa tema durante le nostre sedute era proprio il fatto che a me pi piaceva tanto.(credo transfert amoroso) Ho letto tanto sulla psicoterapia proprio perche volevo capire se questa cosa mi passava, cercavo nella mia infanzia storie che potevano essere la causa di questo transfert, ma non ho trovato niente.

Tuttavia durante questo periodo, il mio terapista in modo molto chiaro mi ha fatto capire che il nostro raporto avrebbe dovutto essere solo terapeutico e nient'altro. In questi condizioni gli ho cercato di non flirtare con me( per non dare le speranze), perche la mia impresissione era che tanto in tanto quando lui capiva che mi stavo allontanado da lui trovava il modo per tirarmi verso di lui, un tipo di gioco che mi piaceva e no. Forze sono tecniche che si usano queste durante la terapia... comunque..

Con il passare del tempo mi sentivo bene, piu tranquilla riduardo la causa che mi ha portato verso la terapia, ma molto appiccicata con il mio terapista, non vedevo l'ora di arrivare alla seduta, lo pensavo tutto il tempo, etc etc

In un certo punto ho capito che non avevo niente a che parlare con lui se non di lui, e mi e sembrato una cosa umigliante. Sono troppo orgoliosa per andare avanti cosi, nella speranza che lui mi vedesse, quindi ho deciso di interrompere la terapia pero non con una lettera, email or sms, ho deciso di affrontarla e di dire che la penso in questo modo.

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