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Psicologia per psicologi - Dentro e fuori dal ruolo... devo sempre essere una psicologa?
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Dentro e fuori dal ruolo... devo sempre essere una psicologa?

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Dentro e fuori dal ruolo... devo sempre essere una psicologa?

Libero pensiero: Dentro e fuori dal ruolo... devo sempre essere una psicologa?

Scritto da: Dr.ssa "Dubbio" alle ore 01:43 del 15/07/2012

Mi è successa una cosa strana...

Qualche sera fa a cena con amici, a un tratto dal tavolo di fianco al nostro sento arrivare voci concitate "stai calma...respira...tranquilla tra un po' passa", "non ce la faccio...sto male...oddio non respiro...mi gira la testa...oddio...".
Mi volto e incontro lo sguardo di una ragazza in preda al terrore, bianca in volto e che si teneva saldamente con entrambe le mani ai bordi del tavolo. Da quanto stringeva forte aveva le nocche delle mani bianche! Guardandole ho avuto l'impressione che si stesse reggendo forte per non precipitare.

Di fianco a lei un ragazzo che l'abbracciava...

Ho sentito "toccarmi" dall'angoscia di questa ragazza. Ho immaginato stesse avendo un attacco di panico... e il panico è stato anche mio. Mille pensieri hanno iniziato a turbinarmi in mente "oddio sta male...io sono psicologa...devo fare qualcosa?...posso fare qualcosa per lei? Sono tenuta a intervenire?". E spostavo continuamente lo sguardo dalla scena al mio riflesso nello specchio che avevo di fronte...in cerca di risposte, in cerca DELLA RISPOSTA.

Mentre tentavo di orientarmi tra i miei dubbi la coppia si è alzata, lasciando la cena a metà, ed è andata via piuttosto frettolosamente.
I miei dubbi però sono rimasti.

In quanto psicologi, fuori dal nostro studio e dal nostro ruolo, quando ci accorgiamo che qualcuno sta male siamo tenuti a intervenire?

I medici ad esempio, se non sono male informata, in base al giuramento di Ippocrate hanno il dovere di prestare soccorso a chi sta male, anche "fuori servizio".

E noi psicologi? Noi abbiamo un dovere simile ai medici?

E, al di là del dovere, dal punto di vista morale quando siamo "fuori servizio", "è il caso" per noi di intervenire psicologicamente se ci accorgiamo che qualcuno è "assalito" da crisi acuta?

Colleghi, voi avete mai vissuto un'esperienza simile alla mia? Vi siete mai posti queste mie stesse domande?

Commenti: 13
1 Roberto Fantasia alle ore 17:32 del 18/07/2012

Gentilissima dottoressa Dubbio,

le sue domande, leggittime, sembrano alquanto retoriche. Una domanda è retorica quando si conosce già la risposta. E le risposte alle sue domande sono tutte affermative! Il problema non credo sia il dovere dal punto di vista morale quando si è fuori servizio. Credo che la domanda più giusta da porsi nel Suo caso sia: quanto mi sento capace di/quanto sono formata per prestare aiuto ad una persona che sta avendo un attacco di panico? Mi interessa aiutare le persone che soffrono di attacchi di panico? Rispondere dentro di Sè a queste domande, con l'aiuto di un supervisore, è un suo dovere etico, professionale e deontologico. 

In bocca al lupo e auguri per una felice estate.

Arrivederci

dott. Roberto Fantasia

2 Dr.ssa Angela Elia alle ore 23:48 del 18/07/2012

Cara collega,

io mi sono trovata nella stessa situazione: ero in fila, allo sportello della banca quando una ragazza dietro di me ha iniziato ad avere un episodio d'ansia, chiedendo aiuto alle persone presenti. In quella circostanza non ho avuto il tempo di fermarmi a riflettere perchè di impulso ho sentito il dovere di intervenire. La ragazza mi ha ringraziato ed è riuscita a terminare le sue operazioni e sopratutto ad interrogarsi se fosse opportuno rivolgersi ad un professionista per il suo disagio.

3 Sarah Maschietto alle ore 08:03 del 19/07/2012

Cari colleghi,

la psicologia dell'indifferenza (esame di psicologia sociale) indaga quanto sia difficile per chiunque intervenire in situazioni d'emergenza - tanti sono gli esempi di persone in difficoltà che si ritrovano sole in mezzo ad una folla. Quindi, forse la domanda da porsi è: come posso intervenire in soccorso altrui in quanto essere umano. Puo' aiutare chiunque abbia desiderio di farlo - e chi possiede qualche competenza in più (in quanto psicologo, medico, yoghi, esperto di meditazione, yoga od altro, insegnante etc...) credo si debba anche interrogare sul dovere di farlo. Certo, servono calma, centratura e prontezza. Ma una laurea non basta, e nemmeno una specializzazione.

4 silvia alle ore 08:59 del 19/07/2012

Poniamo che in questa situazione si venga a trovare un estraneo, in nessun modo specialista. In questo caso il dubbio sarebbe lecito, ma la reazione non è sempre quella di indifferenza o di non-intervento! Eppure non si penserebbe ad un'invasione di campo.

Va da sè che non si tratti di una prestazione che comporta la somministrazione di farmaci, né di

complicate tecniche o di interrogatori sul pregresso e su eventi legati alla privacy. Ma una reazione naturale anche tra i non-specialisti, di chiedere 'si sente male?' infrangendo forse l'etichetta di locali cold newyorkesi, difficilmente quella di un'allegra brigata di festaioli in osteria.

Tuttavia vedo che la provocazione va ben oltre questo limite. C'è da chiedersi se non si tratti di situazioni create per l'apprendistato psicologico, ricreate appositamente per 'agganciare'

qualcuno che è ancora in rodaggio - quando non di un vero e proprio mobbing . Secondo me tentare delicatamente ma decisamente di inserirsi nella conversazione chiedendo 'Tutto bene?' non costituisce prestazione

e permette di indagare minimamente sulle cause. Se quelli reagiscono pensando ad uno sfoggio di competenze, si risponde dicendo: 'mi è sembrato un attacco di panico - sono psicologa, posso aiutare?' senza tirare in ballo doveri assoluti che in quel momento oberano

la tensione complessiva.   Io, quantomeno, cercherei di fare così.

5 Dott.ssa Rosalba Boscolo alle ore 09:24 del 19/07/2012

E' accaduto anche a me: ero in seggiovia, stavo sciando con amici e al mio fianco ne avevo uno che, appena iniziata la risalita mi dice "sai, a volte mi capita di avere paura delle altezze" poco dopo entra in ansia. D'istinto, per mia natura, l'ho rassicurato e tutte le sue ansie si sono spente. Certo avevo gli strumenti per poterlo aiutare ma credo che una parola di conforto possa e debba avvenire da chiunque si trovi in una situazione del genere. D'altronde chi non si ferma a soccorrere qualcuno che si fa male, anche se non siamo medici, il buon senso ma soprattutto la sensibilità verso il prossimo ci dice "fai quello che puoi" e noi in quanto psicologi di sensibilità certo non manchiamo.   

6 silviagoi alle ore 09:45 del 19/07/2012

Penso che possa capitare a tutti...gli ostacoli sono:

- alcuni la vedono come un'intrusione, pur provando sollievo per l'intervento;

- se un gruppo capisce di essere un trainer involontario, può prendere il sopravvento causando appositamente le situazioni e influenzando fortemente lo psicologo. 

7 Dott.ssa Rosalba Boscolo alle ore 10:10 del 19/07/2012

Hai ragione Silvia infatti ciò che ci deve guidare ad intervenire non è tanto la ns/ professione quanto la coscienza 

8 Marta alle ore 12:05 del 19/07/2012

Cara collega, personalmente avrei seguito la "pancia" quella che mi diceva che con garbo, valutata la situazione, avrei potuto dare una mano. Detto questo è altrettanto vero che con il senno di poi è sempre più semplice... Quello che ti è capitato è tuttavia un risultato d'apprendimento. Al prossimo giro, se accadesse, dopo questa esperienza avrai più elementi per sciogliere il tuo dubbio Amletico... intervengo o no?

9 silviagoi alle ore 08:25 del 20/07/2012

Più che altro si tratta della tipica situazione dalla quale si prende spunto per una riflessione.

Quali aspetti di relazione hanno bloccato l'azione? Quali l'hanno favorita? Perché non è riconosciuta la necessità d'intervento subito? Forse perché non si vuole una società controllata dall'esterno fino a questo punto, per esempio. In ogni caso, emergono diversi fattori.

10 Dott.Pietro Serra alle ore 12:09 del 21/07/2012

.........il silenzio è d'oro........la parola è un tesoro!

11 Gabriele alle ore 11:38 del 30/07/2012

Una volta mi è capitato di soccorrere un alcolista. Mi sono fermato, sbandava in bici e poi è caduto. Ho chiamato il 118 e ho atteso con lui che arrivasse l'ambulanza. Poi me ne sono andato senza dirgli che ero uno psicologo. In realtà neanche mi è venuto in mente di dirglielo. L'ho aiutato perchè in quel momento mi sono sentito di farlo. E non occorre essere uno psicologo. Ma forse sono uno psicologo perchè l'ho aiutato.

Un amico fruttivendolo una volta ha soccorso una signora con attacco di panico in maniera fantastica, invitandola a respirare e concentrarsi sulla respirazione. Non è uno psicologo ma sapeva cosa fare e si è sentito di farlo. E' un bravo fruttivendolo!

Insomma non importa che ruolo hai. Questo è un problema nella tua mente. Se pensi di essere in grado fallo. Sempre che non provi imbarazzo a farlo davanti ad altri ma nello stesso tempo la tua testa ti dice che gli altri dovrebbero capire che sei una psicologa!

12 Roberto Massa alle ore 16:51 del 29/08/2012

Leggendo i vari commenti, mi pare non si sia ben focalizzato ed evidenziato il nocciolo del problema, a mio parere  il solo e vero "primum movens" : l'impossibilità a reagire di fronte ad una situazione di emergenza di un altro essere umano. La Dott.ssa si è letteralmente "vista" incapace, inadeguata, bloccata ("oddio sta male...io sono psicologa...devo fare qualcosa?..) Le domande che si pone "dopo" nella sua lettera non sono solo retoriche ma inutili e fuorvianti dal Suo vero problema: la paralisi di fronte ad un evento di panico. La domanda cruciale è quindi: "Perché mi sono sentita bloccata?". E fermarsi su questa domanda. Il domandare ai colleghi “Noi abbiamo un dovere simile ai medici?” è una inconscia strategia di evitamento. Si sposta un problema personale nel campo impersonale della deontologia e dell’etica.

 
 

 

 
 

 

 

 

 

13 silviagoi alle ore 09:13 del 30/08/2012

Trovo giusta l'ultima focalizzazione, bisogna sviscerare QUEL fatto lì, prima di costruire una tipologia ipotetica. Tuttavia non si tratta di un evento qualunque, ma di una coincidenza a cui sentiamo di dover rimproverare la scarsa casualità. Non esiste un contratto sociale tacito che obblighi le persone alla casualità degli incontri ( talora dobbiamo dire: purtroppo) e tutti anche per ragioni professionali

sappiamo benissimo che si può ottenere un effetto-gabbia, ossessivo e chiuso nei rapporti sociali.

Perciò dico: il personale è sempre....sociale, nel caso. Prima indagare l'evento nella storia dell'emotività individuale, ma senza togliere il risvolto nell'alveare considerato.  

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