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Ma che senso ha? Primo colloquio dallo Psichiatra

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Ma che senso ha? Primo colloquio dallo Psichiatra

Libero pensiero: Ma che senso ha? Primo colloquio dallo Psichiatra

Scritto da: Lara B, Specializzanda alle ore 16:18 del 23/05/2011

Siamo in CSM, è venerdì pomeriggio, un giorno come tanti. Il reparto è animato dai soliti tumulti quotidiani, gente che va, gente che viene, telefoni che squillano, il vociare che attraversa i corridoi.

Lo psichiatra, che affianco come tirocinante psicologa, viene informato che è in arrivo dal pronto soccorso un'urgenza. Di lì a poco sentiamo bussare alla porta, "è arrivata l'urgenza" ci dice l'infermiere. Mi affaccio in corridoio e vedo un giovane ragazzo "accartocciato" sulla sedia, lo invito ad entrare. Molto lentamente si alza, ma la sua postura inscrive un arco nello spazio, spalle curve, sguardo fisso a terra, trascinando pesantemente i piedi raggiunge la stanza e qui sprofonda nella sedia che gli indico.

Lo psichiatra inizia il colloquio, ci presenta al giovane, e gli pone le domande di rito. Il ragazzo continua a tenere lo sguardo inchiodato a terra, ogni parola che emette è accompagnata da un tangibile sforzo che egli compie per articolarla. I tempi di risposta sono lunghissimi e il volto è scolpito dai segni della fatica.

Il tempo sembra essersi fermato, immobile e pesante lo sento incombere su di noi, e mi chiedo, è questo che sta provando ora questa persona?

Calamitata da questo ragazzo sento fluttuare le parole dello psichiatra nell'aria, e sento un vago fastidio che comincia ad insinuarsi in me.

"come dorme?", "mangia?", "ha pensieri brutti ultimamente?" ...

Capisco che la mia sensazione dipende da ciò che lo psichiatra chiede, non tanto dal contenuto, quelle domande le deve fare, è la prassi, ma da come lo chiede. Le domande si susseguono a raffica. Il giovane è confuso e sembra molto spaventato. Tra le poche cose che è riuscito a dire ci ha riferito di non capire cosa gli stia succedendo.

Lo psichiatra concluso il rosario di domande comunica al giovane la diagnosi: "Lei è gravemente depresso, e ritengo opportuno un ricovero almeno per qualche giorno. Nel frattempo deve prendere questo e quest'altro farmaco".

A me sembra un verdetto. Quanto espresso dal medico non è accompagnato da alcuna formulazione, quanto meno grammaticale, dubitativa. Tutto è ammantato di perentorietà senza appello, senza scampo.

Il ragazzo alza di scatto la testa e per la prima volta rivolge lo sguardo allo psichiatra e poi a me, e scuote la testa. Visibilmente "terrorizzato" balbettando dice di non capire, "un ricovero? E per fare cosa? Depresso, io?".

Lo psichiatra incalza ed insiste, più lui parla, più il giovane scuote la testa e sgrana gli occhi, che si fanno sempre più rossi e lucidi, e se le lacrime non scendono è perché sono frenate dalla vergogna, penso io.

Mentre loro parlano io sono lì muta che mi sto chiedendo quale sia il senso di quanto avviene lì di fronte me, che senso ha "mitragliare" una diagnosi addosso ad una persona in quel modo? Che senso ha utilizzare termini tecnico-scientifici, che il senso comune ha "terrificato" associandoli alla "pazzia", con una persona visibilmente terrorizzata? E' come sparare sulla croce rossa. "Dallo psichiatra ci vanno i matti" "dalla pazzia non si guarisce", è questo ciò che sottende il senso comune

Io sono lì che guardo questo ragazzo, e me lo immagino fino a qualche giorno fa mentre lavora, mentre parla con gli amici e sorride, lo guardo e mi chiedo, può capitare anche a me?

Anche a me in un particolare momento esistenziale potrebbero attivarsi fragilità che innescano un dolore profondo, come ciò che stai vivendo tu ora?

Se ci fossi io sulla "tua sedia" ora, come vorrei che mi fossero dette le cose?

E ancora mi chiedo, se fossero state usate altre parole, per aiutarti a capire cosa stai vivendo ora, come avresti reagito? Se prima di dirti come si chiama "tecnicamente" il dolore che ti abita, fosse stata accolta la tua paura, saresti ancora così spaventato?

Il colloquio, durato oltre un'ora è mezza, si è concluso con patto di differimento del ricovero, lo psichiatra ha concordato con il giovane di rinviare la possibilità del ricovero al lunedì nel frattempo lui però doveva assumere i farmaci prescritti.

Non so come sia andata a finire, di questo ragazzo non ho più saputo niente. Lo psichiatra mi ha riferito che il giovane non si è presentato all'appuntamento del lunedì. Però sono ancora qui che penso a lui, al suo dolore e al "peso" delle parole.

Commenti: 7
1 Kenza alle ore 22:01 del 23/05/2011

Brava Lara...Mi fa piacere che c'è consapevolezza da parte di giovani medici..a volte la diagnosi viene fatta non prendendo in considerazione tante cose , a volte non viene neanche ascoltato il paziente come si deve

2 barbara alle ore 18:49 del 25/05/2011

psichiatra o no un professionista della salute non dovrebbe commettere simili imprudenze ed errori, io filmerei questi colloqui e li farei vedere a chi di questa professione si occupa: medico, infermiere, psicologo, psichiatra, psicoanalista... con la speranza che la visione di questi filmati possa suscitare in loro qualche domanda, qualche emozione, perchè le parole sono troppo razionali e spesso ci sentiamo così bravi, così intelligenti, così sicuri che non siamo capaci di FEELING come dicono gli inglesi, e non sentire come diciamo con troppa superficialità. complimenti per la tua sensibilità, attenta a non farti schiacciare da quello che di negativo c'è intorno.

3 pina alle ore 12:03 del 08/06/2011

Io questa la chiamerei "cattiva psichiatria". secondo me è importante l'ascolto empatico nella relazione, è scorretto, secondo me far leva solo sui farmaci .

4 francesco alle ore 13:18 del 08/06/2011

ribadisco anche io quanto belle siano le tue parole. il racconto è fortemente connotato da un vissuto di trasporto che mi lascia perplesso. sono uno psicologo clino e credo anche io con fermezza che la relazione empatica, il prendersi cura, l'attenzione al pz siano tratti caratteristi e importanti delle professioni come queste. sebbene, dai tuoi racconti, l'atteggiamento dello psichiatra possa non piacermi, devo aggiungere però che il tuo racconto "emotivo" mi fa pensare ad una, seppur lieve, distorsione dell'accaduto. esistono dei protocolli nella psichiatria e non vorrei che la situazione del pz in questione ti abbia mosso delle corde emotive personali e che tu abbia filtrato l'accaduto secondo i tuoi personali filtri. per carità, questo è solo un mio parere, d'altronde la mala sanità, i "cattivi" professionisti anche. in bocca al lupo per tutto.

5 irene alle ore 14:15 del 08/06/2011

è davvero spaventoso l'agire dello specialista in questione e sentendo un pò in giro c'è realmente gente di questo fare tra i medici, più di quanto si possa immaginare, nn solo psichiatri, ma anche medici di altri reparti. tutto questo è vergognoso. vergognoso perchè prima della malattia loro dovrebbero sentire ed accogliere la persona.

tutto quello che hai raccontato sulle tue sensazioni però lasciano una tenera speranza del futuro, quando tu un giorno accogliendo un'urgenza ti accorgerai e ascolterai la persona e non il paziente ennesimo della giornata.

6 Lara B alle ore 08:30 del 15/06/2011

Buongiorno a tutti e grazie per i vostri contributi.

Vorrei rispondere in particolare a Francesco. Vedi Francesco sicuramente come psicoterapeuta in erba "il mio trasporto" emotivo condiziona la "visione immediata" delle realtà con cui vengo in contatto, per carità. Però quello che mi ha "toccato" nella situazione raccontata sopra, e purtroppo potrei raccontarne diverse altre "sui generis", osservando il lavoro dello psichiatra è stata come dire l'assenza della considerazione del "criterio dell'umano" da parte di questi nei confronti del ragazzo. Certo che in psichiatria ci sono dei protocolli da seguire ma questo non ti autorizza a comportarti come un caterpillar. Già la persona che arriva in urgenza non è che sta male, ma DI PIÙ, in questa situazione in particolare il ragazzo fino a quel momento non è mai venuto in contatto con il CSM, per cui figurati oltre a stare male di suo era "pietrificato" dal contesto. Ecco dicevo già stai male di tuo in + incontri un medico che ti dice che stai molto puù male di quanto tu creda, senza darti un minimo di "speranza". Io ritengo fortemente, o comunque parlo di me, che scegliamo di fare questo mestiere perchè crediamo nella dimensione della possibilità (di crescere, di "guarire", di capire, di mutare il ns modo di stare in relaz, etc) nell'incontro raccontato sopra questa dimensione è stata completamente schiacciata dalla durezza con cui si è posto il medico, certo estremamente competente dal pdv farmacologico, ma come dire la relazione non è decisamente il suo forte.......

Lara

7 silviag alle ore 09:17 del 20/10/2011

Devo dire che capitava anche a me? E' impossibile non venire trascinati, anche se semplici osservatori, se davvero la situazione convoglia sentimenti forti. E penso che anche oggi dicano subito agli infermieri che in quei frangenti il peso emotivo è di tutti e non certo solo del pz ( ma perché definirlo tecnicamente come un pezzo d'automobile?). Anche per questo penso che lo psichiatra, salvo motivi di stanchezza bestiale che nello specifico colpisce più subdolamente che in altre professioni, sapeva benone di 'entrare' a fendenti. Così mi fidavo, come mi fido, della reazione degli infermieri nel caso - che sanno nell'esperienza  che può avere un senso terapeutico - e che reagiscono raramente, ma ben conoscendo lo stile dei personaggi....

 

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