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Supervisione e terapia, sono conciliabili?

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Supervisione e terapia, sono conciliabili?

Libero pensiero: Supervisione e terapia, sono conciliabili?

Scritto da: psiconfusa alle ore 07:22 del 03/02/2014


Boh... proprio non capisco...
sarà l'estrema rigidità come difesa dall'insicurezza dettata dall'essere alle prime armi, sarà che appunto essendo a questo stadio professionale non ho ancora ben capito come funzionano una serie di cose, però rumino, e ancor più rigurgito, mentalmente quanto mi ha detto una conoscente/collega.

Durante una pausa caffè, come sempre parliamo di lavoro, e questa collega mi dice che la sera avrà un incontro con il suo supervisore e aggiunge che a questo incontro sarà presente anche il suo compagno, che non è un collega!

Io rimango un po' basita, non ho chiesto nulla in merito alla motivazione che sta alla base di questo incontro congiunto, ma stupitamente ho risposto con "Ah si? Dal supervisore si portano anche i propri familiari? Fisicamente, intendo".
Nel senso che ci sta che in supervisione tu possa portare contenuti che attengono la tua storia personale, e quindi i tuoi familiari ma in senso fantasmatico perché ridestati o comunque smossi da contenuti speculari del pz. O quanto meno... questo è quello che so io, e che succede nella mia di supervisione.

Di fronte al mio stupore la collega candidamente mi dice "certo, ogni tanto viene anche il mio compagno, siamo in terapia" senza aggiungere altro né io ho avuto la capacità di chiedere altro e oltre...

Mah... non ho capito? È una cosa che si fa, quella di mischiare ruoli, figure e finalità?

Cioè, con il mio supervisore io posso anche intraprendere un percorso di terapia e per giunta di coppia?

 


Io sono stata formata a non mischiare troppo le carte, tant'è che non prendo in terapia persone tra loro imparentate, salvo non sia un terapia di coppia ma così impostata sin dall'analisi della domanda e quindi dal primo colloquio.

Io mi sono confrontata con il mio supervisore (psicodinamico) sul punto, ma mi piacerebbe sapere da voi colleghi, cosa ne pensate?

Il setting è in relazione all'orientamento? Ah... ho dimenticato di dire che tanto la collega quanto il suo supervisore (terapeuta?) sono di orientamento cognitivo costruttivista.

La stessa persona che mi fa supervisione può essere anche il mio terapeuta?
Sono io ad essere difensivamente fondamentalista del setting, o qualcosa in questa faccenda non torna anche a voi?

Confusa-mente :) !

Commenti: 7
1 eliza alle ore 13:25 del 05/02/2014

Ciao psiconfusa,

sono perfettamente d'accordo con te: la supervisione è un momento di formazione (e quindi anche, spesso, di messa in discussione e sana critica) rispetto alle proprie capacità come futuro terapeuta; la terapia personale è - ovviamente -  tutta un'altra cosa...

Detto questo, mi sembra strano e anche un po' ingenuo - per dirla così - da parte di un professionista pensare che le due diverse relazioni professionali non possano influenzarsi l'un l'altra...

poi per carità, magari ci saranno delle ragioni (che sarei curiosa di sapere), nessuno di noi ha la verità in mano, questo è poco ma sicuro, ma posso assicurarti che un'iniziativa di questo tipo è quantomeno inusuale... e puoi fidarti, te lo dice un'allieva di una scuola costruttivista ;-)

2 Simona alle ore 15:51 del 05/02/2014

Francamente mi sembra un setting confuso e confondente. Credo che uno degli aspetti della terapia riguarda l'imparare a mettere dei confini e quando è proprio un supervisore /terapeuta a non metterne mi sembra collusivo...ma chiaramente c'è sempre l eccezione che conferma la regola!

3 Elisa alle ore 17:11 del 05/02/2014

Ciao Psicoconfusa,

io ho appena terminato un master in counseling (dopo la laurea in psicologia) ed ho utilizzato le supervisioni anche per lavorare sulle mie criticità personali che,  non solo influenzano la mia vita, ma anche il mio modo di lavorare. Sono d'accordo, però, con te che  passare da una supervisione ad una terapia di coppia il passo sia veramente lungo...bisognerebbe sapere come sia avvenuto.

4 Chiara alle ore 18:05 del 05/02/2014

Cara psiconfusa,

credo che la supervisione costituisca un momento fondamentale per la nostra professione e che debba essere svolta alla sola presenza di psicologi o psicoterapeuti. Al di là del tipo di relazione tra la tua collega e il suo compagno, il punto centrale è la presenza di una persona "non addetta ai lavori". Mentre leggevo il tuo post sono rimasta ancora più stupita quando ho letto l'orientamento della tua collega. Anch'io sono una psicologa cognitivo-costruttivista e ti assicuro che è la prima volta che sentouna storia simile. Ti consiglio tuttavia, di approfondire le informazioni sulla situazione. Come ammetti tu stessa, non hai fatto molte domande in merito alla situazione e magari... potresti aver frainteso! (Forse la mia è una speranza)

5 romeo alle ore 18:35 del 05/02/2014

La domanda potrebbe anche essere: supervisione e terapia sono distinguibili? Sì, generalmente sì: nella supervisione una persona parla dei suoi incontri professionali con una altra persona che ascolta e ogni tanto dice la sua in merito a quel racconto, orientando i suoi interventi a migliorare la qualità terapeutica di quel rapporto di cui conosce solo il racconto che viene fatto, o, come fanno alcuni, ascoltandone la registrazione. Apparentemente, quindi, di solito manca l'analisi della situazione di rapporto attuale, in atto, ciò che avviene tra supervisore e allievo. Non può che essere un'apparenza: un supervisore che si attenesse solamente, freddamente, rigidamente, al racconto della terapia in supervisione insegnerebbe una forma di scissione al suo allievo. E un allievo che accettasse un supervisore così o non ne può fare a meno per ragioni pratiche, ambientali, di valutazione di opportunità, e si maschera giocando a quel gioco dispendioso ma non si fa toccare da tanta stupidità, oppure avrebbe capito molto poco della psicoterapia, di qualunque orientamento di scuola fosse.

6 Athos alle ore 21:58 del 06/02/2014

Ciao,

Io sono uno psicoterapeuta ad orientamento analitico.

Partendo dal presupposto che in supervisione portiamo i nostri pazienti ma anche noi stessi nel senso che le difficoltà che incontriamo con un paziente, i sentimenti che proviamo con quel paziente ecc.non possono non rimandare a noi stessi ne discende che la supervisione ( in questo contesto non mi riferisco alla supervisione di gruppo che però dal mio punto di vista deve attenersi a delle regole precise)

perchè funzioni debba svolgersi tra due terapeuti e sicuramente non alla presenza di amici o parenti.

Nel mio orientamento si discute se una volta terminata l'analisi, l'analista possa diventare supervisore del suo ex analizzando oppure no.

Io sono favorevole per esempio, ritengo che  non solo sia possibile ma che conoscendo a fondo il suo ex analizzando possa comprendere ancora meglio le sue difficoltà ecc. ma molti colleghi del mio orientamento ritengono che anche terminata l'analisi ex analizzato e ex analista non possano cambiare ruolo e l'ex analista non possa diventare supervisore. 

Tornando al quesito che ponevi non credo ci siano dubbi, dal mio punto di vista è una situazione molto strana.

Sarebbe interessante che tu avessi un nuovo scambio di idee con la tua collega per capire perchè ha scelto questa modalità.

7 Massimo Bedetti alle ore 11:17 del 11/02/2014

Buongiorno, anche io sono un terapeuta (ho letto qualche imprecisione in questo mare di etichette...) Cognitivo-Comportamentale ed in più Costruttivista. Mi potrei fermare qui ma sono anche Post-razionalista, che è una teoria nata dagli studi di Guidano-Liotti )personalmente sono più guidaniano). Comunque, tornando al quesito, non credo si tratti di teoria o epistemologia di fondo ma di come queste vengano dclinate dal singolo tepapeuta con il paziente. Anche io non uso fare supervisioni con i compagni dei colegghi supervisionati, a meno che, una tantum, mi serva una informazione particolare che riguarda la coppia e che può influenzare il collega supervisionato con il proprio paziente. Per come la penso io la terapia dovrebbe essere uno spazio totalmente privato e neanche il partner dovrebbe saperer cosa si dicono terapeuta e paziente, tuttavia, negli anni, ho visto che questa "moda" è cresciuta sempre più, per cui si arriva al punto che quanto la collega supervisionata torna a casa il partner le chiede: "beh, cosa vi siete detti oggi con il terapeuta"? Cosa che pr me è un obbrobbrio, ma sarà la mia rigidità a venir fuori...

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