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Turismo del suicidio assistito
Svizzera. Studio pilota sul fenomeno dei flussi di "turismo" verso il Cantone di Zurigo per ottenere il suicidio assistito

L'articolo "Turismo del suicidio assistito" parla di:
  • Aumento dei "turisti" stranieri in territorio elvetico
  • Dibattito politico su testamento biologico e suicidio assistito
  • Le cure palliative e il ruolo della Psicologia e Psicoterapia
Psico-Pratika:
Numero 109 Anno 2014

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A cura di: Redazione - Pubblicato il 3 settembre 2014

Turismo del suicidio assistito
Svizzera. Studio pilota sul fenomeno dei flussi di "turismo" verso il Cantone di Zurigo per ottenere il suicidio assistito

Un recente studio pilota, pubblicato su "The Journal of Medical Ethics", ha messo in risalto come un numero sempre crescente di persone si rechi in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale (*), per porre fine alle proprie sofferenze.
I ricercatori hanno analizzato i dati relativi al suicidio assistito richiesto da persone non residenti in Svizzera. Dal database dell'Istituto di medicina legale di Zurigo, è emerso che, fra il 2008 e il 2012, 611 persone provenienti da 31 paesi diversi hanno «commesso» suicidio assistito a Zurigo, con un evidente e progressivo trend di crescita della domanda.

«Quasi la metà di tutti i casi ha riguardato persone con disturbi neurologici, come il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla, diagnosi che generalmente non sono terminali. Quasi il 60% dei 611 casi erano donne» (*).

Fra gli scopi dello studio: riflettere sulle leggi esistenti nei paesi stranieri da cui provengono questi "turisti". «Il fenomeno unico del turismo del suicidio in Svizzera può comportare la rettifica o l'integrazione di linee guida alle norme esistenti nei paesi stranieri» (*).
L'articolo comparso sulla rivista (*) ha avuto una vasta eco sulla stampa europea e americana, alimentando il dibattito politico sulla libertà di scegliere come e quando morire.

In Italia sembra difficile pensare all'adozione di una legge condivisa dalla popolazione, considerate le posizioni differenti su testamento biologico (*), suicidio assistito (*) ed eutanasia (*).

Il sondaggio Eurispes 2014 (*) infatti informa che: se il 71,7% degli italiani è favorevole al testamento biologico (era il 77,3% nel 2013) e il 58,9% all'eutanasia (era il 64,6% nel 2013), solo il 28,6% si schiera in favore della legalizzazione del suicidio assistito (36,2% nel 2013).

Al momento in Italia è possibile accedere, grazie alla legge N. 38 del 15 marzo 2010 alle cure palliative e alla terapia del dolore, garantite dalla Sanità pubblica italiana (*), che mirano a migliorare la qualità della vita sia dei pazienti sia delle loro famiglie «attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicosociale e spirituale» (*).

In tale contesto, Psicologi e Psicoterapeuti, all'interno dell'équipe formata da Medici specialisti, Infermieri, Operatori Socio Sanitari, Assistenti sociali, Volontari e Familiari, oltre a fornire supporto ai familiari, sostenere gli operatori e prevenire il burn out, sono chiamati ad aiutare i pazienti a gestire la sintomatologia dolorosa e l'angoscia di morte.

«In molte ricerche si può notare che il dolore (fisico) non è il motivo più importante per richiedere la morte, anche quando viene esplicitamente indicato».
A sostenerlo è Luciano Sandrin, Sacerdote e Professore Ordinario di Psicologia della Salute e della Malattia del Camillianum (*).

Una persona capace di intendere, arriva a desiderare la morte per «il dolore, la depressione, la perdita della speranza, la percezione di aver perso la propria dignità, di non avere il controllo sulla propria vita e la possibilità di decisione, il sentire di essere un peso per gli altri, il bisogno di supporto sociale» (*).

Tutti aspetti che il malato può affrontare con il sostegno delle équipe nell'ambito delle cure palliative, lavorando sia sul dolore sia sulla speranza, «variabile importante nell'esperienza del malato e nel percorso della cura, e va diversamente declinata e continuamente rinegoziata. Essa può trovare obiettivi significativi, anche quando una guarigione non è possibile: può essere speranza di non morire soli, speranza di non soffrire dolori eccessivi, speranza di non essere di peso agli altri, speranza di lasciare un'eredità e di essere ricordato dalle persone care» (*).

Il dott. Umberto Veronesi, oncologo ed ex-ministro della sanità, favorevole alla libertà di scelta, afferma che: «la volontà di abbandonare la vita, viene letta spesso quasi come un gesto di debolezza e di rinuncia, come una incapacità a tollerare la sofferenza, come il desiderio di non perdere nella morte la propria dignità. In realtà, in una visione laica della vita, la decisione di concludere l'esistenza con un atto che abbia luogo in modo umanitario può apparire una soluzione comprensibile quando il dolore fisico e morale tolgono significato pieno all'esistenza.» (*).

Commenti: 2
1 Luciano alle ore 13:47 del 10/09/2014

Tema altamente coinvolgente. Tanto da poter fare per gli psicologi anche in questo campo, della vicianza a chi vive nel profondo dolore, per poter dare ancora significato alla vita.

2 elsa alle ore 10:26 del 16/09/2014

Penso che la vita comunque indipendentemente dalle religioni sia un bene preziosissimo e prima di togliersela occorrerebbe volersi molto bene nel percorso che si apre alla nostra nascita e si chiude alla nostra morte, tutto molto biologicamente, niente avviene per caso, ma se noi ci ostiniamo a pensare all'altro e vedi come trattiamo glia animali invece di prendere lezioni dalla natura, avere un gatto non vuol dire castrarlo e obbligarlo a farsi le unghe in casa, questo e' quello che succede a noi se non ci ascoltiamo e ci accettiamo per quello che siamo veramente, finche' tutto cio' che ci accade e' addebitato agli altri raccoglieremo questi risultati.

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