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Rischi della professione e possibili tutele
I terribili fatti di cronaca del mese scorso aprono il varco a riflessioni, polemiche e a critiche costruttive

L'articolo "Rischi della professione e possibili tutele" parla di:
  • L'assassinio di Paola Labriola e di Adeline Morel
  • Commenti a caldo e situazione delle professioni di aiuto
  • CSM, Penitenziari, SertT e Clinica: quali sono le urgenze
Psico-Pratika:
Numero 100 Anno 2013

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A cura di: Redazione - Pubblicato il 2 ottobre 2013

Rischi della professione e possibili tutele
I terribili fatti di cronaca del mese scorso aprono il varco a riflessioni, polemiche e a critiche costruttive

Il 4 settembre la Psichiatra Paola Labriola veniva assassinata da un paziente del Centro di Salute Mentale presso cui lavorava. Esattamente una settimana dopo, lo stesso destino toccava alla socioterapeuta Adeline Morel, mentre accompagnava a una seduta di ippoterapia un detenuto (condannato a 20 anni di carcere per doppio stupro) del penitenziario Champ-Dollon (*). Storie diverse accomunate da un drammatico epilogo, donne diverse legate dalla comune professione al servizio degli altri.

I terribili fatti di cronaca - che si sono avvicendati nell'arco di pochi giorni - puntano i fari su altre (vecchie) questioni. Quello che è accaduto a Ginevra mette «sotto accusa i metodi di reinserimento destinati a criminali pericolosi...», ma anche le istituzioni sociosanitarie di Ginevra a cui «si rimprovera di avere lasciato sola una donna in compagnia di uno stupratore violento e plurirecidivo» (*).

Agghiacciante la dichiarazione della Psichiatra Liliane Daligand sull'assassino della Morel, che aveva seguito nei processi del 2003: «una bomba pronta a esplodere di nuovo. Violare fino a uccidere per lui è come una droga. Trovo incredibile che sia stato possibile lasciare una donna insieme a un soggetto simile» (*).

I fatti di Bari portano l'attenzione anche sulle condizioni in cui lavorano molti professionisti e su carenze difficili da colmare, soprattutto in un paese segnato dalla crisi. «Sei stata privata della vita in maniera efferata e cruenta all'interno di una istituzione che avrebbe dovuto tutelarti».
Krizia Chianura, collega della Psichiatra uccisa, ai funerali della Labriola ha parlato di
«un servizio privato del personale, costretto a lavorare allo stremo delle forze, facendosi carico di tutte le forme di disagio e marginalità che la società crea» (*).

Lontani dal voler fare facile allarmismo, è naturale domandarsi a quali rischi siano esposte le professioni di aiuto e quali siano i rischi percepiti, per riflettere su possibili strade e strategie che agevolino il lavoro di coloro che si occupano di salute mentale, del benessere psicologico e sociale, atte a creare le condizioni ideali per aiutare chi lavora e chi ha bisogno di cure.

Il primo rischio che caratterizza le professioni di aiuto è notoriamente quello di burnout. Senza arrivare all'esito patologico dello stress, si è comunque sottoposti a un forte carico emotivo, dovuto al contatto continuo con la sofferenza e il disagio.

In ambito psichiatrico il lavoro è spesso gravoso e non riconosciuto in maniera adeguata, rispetto allo stress psichico e al carico decisionale. Nelle strutture di Emergenza, l'80% degli operatori - per lo più personale paramedico di sesso femminile - e il 40% degli Psichiatri hanno dichiarato di aver subito almeno una aggressione fisica da parte dei pazienti (*). L'ultima di cui abbiamo notizia riguarda un infermiere di Castellammare, aggredito da un paziente in Trattamento Sanitario Obbligatorio (*).

E quali rischi corrono gli Psicologi che lavorano presso i Centri di Salute Mentale, nei Penitenziari e nei SerT?

Lo stress e il peso della responsabilità non risparmiano l'ambito clinico.
Anche al professionista più esperto può capitare di avere paura: paura di sbagliare una diagnosi, una terapia oppure di sottovalutare la gravità di una situazione – come forse è accaduto a coloro che hanno stabilito che l'assassino della Morel poteva uscire dal carcere per l'ippoterapia, accompagnato solo dalla giovane socioterapeuta (*) – oppure paura di continuare a esercitare come Adeline Morel aveva confessato alla madre (*).

Si può e si deve fare ancora molto - sul fronte giuridico, economico, sociale e culturale – perché i servizi per la salute mentale funzionino bene, per mettere in atto azioni di tutela nell'interesse del clinico, del suo paziente e di tutti gli attori coinvolti.

Quali sono le urgenze per voi?
Quali rischi correte e sentite di correre nel vostro lavoro quotidiano?

Commenti: 1
1 anna alle ore 00:24 del 05/11/2013

Io resto sconcertata perchè leggendo le notizie quello che appare evidente è che entrambe le morti avrebbero potuto essere evitate con una maggiore cautela ed attenzione, resto sconvolta che un doppio stupratore venga inviato a fare ippoterapia ed accompagnato da una donna da sola, non mi sembra ci voglia un genio per capire che potrebbe essere pericoloso, e alla asl le richieste erano state sottoposte con allarme.

che dolore! io lavoro da sola e cerco di essere molto prudente, se ci sono pazienti uomini cerco di riceverli in un contesto dove ci siano altre persone (almeno per i primi colloqui). Il rischio di burnout lo percepisco nonostante sia in supervisione e nonostante io non segua persone psicotiche.

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