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Ddl Pillon e Affido condiviso: proposta di legge

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Ddl Pillon e Affido condiviso: proposta di legge

L'articolo "Ddl Pillon e Affido condiviso: proposta di legge" parla di:
  • La normativa in vigore e il ddl Pillon
  • Mediazione obbligatoria, bigenitorialità
  • Mantenimento diretto, lotta all'alienazione parentale
Psico-Pratika:
Numero 150 Anno 2018

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A cura di: Redazione - Pubblicato il 01 Ottobre 2018

Ddl Pillon e Affido condiviso: proposta di legge

Il 1 Agosto 2018 è stato presentato in Italia il "ddl Pillon" – ddl n. 735 "Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità"1 – attraverso il quale s'intende modificare la disciplina riguardante l'affido condiviso*. Questo decreto ha dato il via ad un intenso dibattito tuttora in corso, al quale stanno partecipando non solo personaggi del mondo politico, ma anche psicologi, avvocati, professionisti e associazioni che si occupano di diritto della famiglia, separazioni, tutela dei minori, ecc.

Di seguito cercheremo di capire quali sono le novità che il decreto, nella sua attuale versione, intende introdurre, dando prima un rapido sguardo ai punti più importanti della disciplina attualmente in vigore.
Al momento, il ddl Pillon risulta ancora in corso di esame di commissione.

Affido condiviso: la norma ancora in vigore

L'affido condiviso è regolato dalla Legge n. 54 dell'8 Febbraio 2006 "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli".2
Con questa legge è stato sancito per la prima volta il "principio di bigenitorialità": mentre con la normativa precedente in caso di separazione si parlava subito di affidamento esclusivo, dal 2006 si parla di diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, ricevere da loro cure, educazione ed istruzione in egual misura e conservare anche i rapporti con parenti e ascendenti di ogni parte.
L'affido esclusivo resta solo in alcuni casi, soprattutto quando potrebbero esserci dei danni o pericoli per il bambino. Il provvedimento del giudice che dispone questa decisione deve essere sempre motivato.

Per quanto riguarda il collocamento nell'affido condiviso, il giudice individua presso quale genitore il bambino deve avere residenza abituale, tenendo conto dei suoi interessi.

Il collocamento può essere prevalente ovvero il bambino ha la residenza presso il genitore "collocatario", cioè quello che è stato considerato più idoneo dal giudice. È la forma di affido più diffusa perché considerata capace di tutelare maggiormente l'interesse del minore, non obbligandolo a continui e periodici spostamenti.
Al genitore non collocatario e figli deve essere garantita la possibilità di continuare ad avere rapporti costanti ed equilibrati. Per questo, il giudice stabilisce tempi e modalità di frequentazione, quindi dà indicazioni su quando il non collocatario potrà vedere i figli, quando loro dovranno stabilirsi a casa sua, con chi passeranno vacanze e festività, ecc.

Il Collocamento alternato prevede invece che il bambino viva presso ciascun genitore in periodi alternati. È la soluzione meno utilizzata, in quanto, secondo l'opionione prevalente, costringe i minori a cambiare continuamente residenza e gestione delle attività quotidiane, non garantisce loro un regime di vita razionale e potrebbe provocare la perdita dei punti di riferimento.

Il Collocamento invariato, infine, nasce di solito da un accordo tra le parti e prevede che i genitori si alternino nell'abitare la casa di famiglia, in modo tale da evitare continui spostamenti ai bambini. Questo tipo di affidamento è stato utilizzato quelle volte in cui i giudici hanno ritenuto che questo accordo tra i genitori non fosse dannoso per il figlio.

Per quanto riguarda l'aspetto economico, la Legge n. 54 stabilisce che, salvo accordi diversi, entrambi i genitori provvedano al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. Dove necessario, però, il giudice può decidere che venga erogato un assegno periodico da parte di uno di loro, che deve essere determinato considerando dati come le esigenze attuali del figlio, il tenore di vita che aveva quando i genitori non erano ancora separati, il tempo di permanenza presso ciascuno di loro, i redditi nonché il valore economico dei compiti domestici e di cura.

La casa familiare viene attribuita tenendo conto soprattutto dell'interesse del minore. Nella sua assegnazione a un genitore viene considerato anche l'eventuale titolo di proprietà. Se la parte a cui viene assegnata, però, smette di abitare in quella casa, non ci vive stabilmente, contrae nuovo matrimonio o comincia una convivenza, perde il diritto di godimento.

Se lo reputa opportuno, il giudice – con l'accordo delle parti – può anche sospendere i provvedimenti temporanei per permettere ai coniugi di tentare una mediazione familiare, con l'aiuto di esperti.

Affido condiviso: cosa dice il ddl Pillon

Il ddl Pillon è formato da 24 articoli, molti dei quali si concentrano su 4 argomenti la cui importanza è sottolineata giè nel suo testo introduttivo e che ad oggi sono i punti più contestati da chi è contrario alla sua approvazione:

  1. mediazione familiare obbligatoria quando sono coinvolti figli minori;
  2. equilibrio tra genitori e tempi paritari;
  3. mantenimento in forma diretta dei figli;
  4. contrasto all'alienazione genitoriale.

Nel decreto si parla anche di una figura professionale di recente introduzione nel nostro Paese, il coordinatore genitoriale.

Come affermano gli autori del decreto nel suo testo introduttivo, tra i motivi che hanno spinto alla sua nascita vi sarebbe la volontà di applicare pienamente la risoluzione n. 2079 del 2015 del Consiglio d'Europa*, testo che consiglia agli Stati membri di adottare legislazioni che possano assicurare l'effettiva uguaglianza di padre e madre di fronte ai figli.

Vediamo quali sono i punti più rilevanti e le novità che s'intende introdurre con il ddl n. 735.

Mediazione familiare

I primi articoli del decreto si concentrano sulla mediazione familiare, stabilendo l'istituzione di un albo professionale dei mediatori familiari e indicando chi può essere mediatore da ora in avanti. Per svolgere questa attività, infatti, sono necessari titoli di studio quali:

  • Laurea Specialistica in discipline psicologiche, sociali, giuridiche, mediche o pedagogiche;
  • formazione specifica, certificata da titoli idonei come master universitari, specializzazioni o perfezionamenti presso enti di formazione riconosciuti dalla regione, che devono durare 2 anni ed essere di almeno 350 ore.

Ruolo del mediatore familiare. Il mediatore deve essere "terzo" e imparziale. Ha l'obbligo di informare le parti sulla possibilità di ricorrere ad una consulenza matrimoniale per salvaguardare l'unità familiare e deve cercare di impedire o risolvere le gravi conflittualità che possono portare a violenza, informando sulla possibilità di essere aiutati anche da altri professionisti. Deve, inoltre, astenersi dal fornire consulenza legale o psicologica.

Mediazione obbligatoria. Nel caso in cui sia necessario prendere decisioni che coinvolgono direttamente o indirettamente figli minori la mediazione è obbligatoria.

I genitori con figli minori che intendono separarsi, quindi, devono obbligatoriamente cominciare un percorso di mediazione e redigere un piano genitoriale (di cui parleremo più avanti), avvalendosi eventualmente proprio dell'aiuto del mediatore e dei loro legali.
Il mediatore deve poi rilasciare un'attestazione – firmata dalle parti stesse – nella quale si certifica che è stata tentata la mediazione e si danno informazioni sul suo esito.

Coordinatore genitoriale

Come anticipato, nel ddl si parla anche del coordinatore genitoriale, una figura professionale nata negli USA (il Parenting Coordinator).
Il suo ruolo principale è quello di far sì che si arrivi ad una risoluzione dei contrasti tra genitori separati o divorziati, quindi anche questa figura ha una funzione mediativa.
Trattandosi di un esperto qualificato, deve avere anch'esso una formazione specialistica in coordinazione genitoriale e deve essere iscritto all'albo di una delle seguenti professioni:

  • psichiatria
  • neuropsichiatria
  • psicoterapeuta
  • psicologo
  • assistente sociale
  • avvocato
  • mediatore familiare

Gli obiettivi del coordinatore sono assistere i genitori in conflitto nell'attuazione del piano genitoriale, monitorare che lo stesso venga osservato e salvaguardare una relazione sana, sicura e significativa tra loro e il minore.

Rapporti genitori-figli

Diritto alla bigenitorialità. Il ddl Pillon attribuisce molta importanza ad un concetto già espresso dalla precedente Legge del 20063: il diritto del minore alla bigenitorialità, cioè a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e ricevere da loro cure, educazione, istruzione e assistenza morale in egual modo. Questo diritto deve essere garantito anche quando il bambino è affidato a un solo genitore e non ad entrambi. In alcune situazioni particolari, infatti, il giudice può stabilire – con provvedimento motivato – che sia solo uno tra loro ad aver l'affidamento, ma in questi casi devono comunque essere decretati tempi adeguati di frequentazione del non affidatario e devono essere promosse azioni concrete il cui fine è rimuovere i motivi che hanno portato all'affidamento esclusivo.

Tempi paritetici. Una delle novità del decreto riguarda l'adozione di misure il cui scopo principale è garantire i "tempi paritetici" nell'affido condiviso: si cerca, cioè, di far sì che il bambino trascorra con ciascun genitore lo stesso tempo (metà del proprio tempo, pernottamenti compresi), lì dove questo è materialmente possibile. Deve comunque essere garantita una permanenza di almeno 12 giorni al mese presso ciascun genitore, tranne in caso di pericoli per la sua salute psicofisica per violenza, abusi, trascuratezza, indisponibilità di uno di loro e evidente inadeguatezza degli spazi che dovrebbero ospitare il piccolo.
Se ci sono ostacoli alla divisione paritaria dei tempi su base mensile, il giudice o i genitori stessi possono prevedere anche dei recuperi durante le vacanze.

Doppio domicilio per il minore. Un'ulteriore importante misura prevista dal decreto è quella del "doppio domicilio": il giudice stabilisce che il minore abbia domicilio sia presso l'abitazione della madre che presso quella del padre, per le comunicazioni scolastiche, amministrative o che riguardano la salute.

Casa familiare. Il giudice può decidere nell'interesse del minore che mantenga comunque la residenza nella casa familiare. Se i genitori non riescono a prendere accordi al riguardo, può indicare chi tra loro continuerà a viverci. L'assegnatario, però, in questo caso dovrà versare al proprietario un indennizzo, che deve essere uguale al canone di locazione calcolato in base ai prezzi di mercato del momento.
Il genitore che non è proprietario o titolare di un diritto specifico (usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione) o non abita più lì o comunque non stabilmente oppure si risposa o convive, non può continuare a vivere nella casa di famiglia.

Piano genitoriale. I genitori devono predisporre un piano genitoriale, un documento attraverso il quale prendono accordi su questioni come il percorso educativo che dovrà seguire il bambino, i luoghi che frequenta normalmente, le attività extrascolastiche, le sue vacanze, le frequentazioni di amici e parenti. In questo piano devono anche indicare in quale modo e in che misura ciascuno di loro provvederà al mantenimento del minore, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie. Verranno attribuiti ad ogni genitore specifici capitoli di spesa, che terranno conto sia dei loro singoli redditi, sia delle attuali esigenze del minore e del valore economico che hanno i compiti domestici e di cura. Il giudice esamina il piano e lo approva se non lede gli interessi del bambino.

Responsabilità genitoriale. Entrambi i genitori esercitano la potestà genitoriale sul bambino. Le decisioni quotidiane toccano a chi in quel momento è con il minore, mentre quelle più importanti come scuola, educazione, salute, scelta della residenza abituale devono essere concordate tra loro. In caso di disaccordo, la decisione spetta al giudice.

Mantenimento in forma diretta dei figli

Altra novità introdotta dal ddl Pillon è quella che riguarda il mantenimento. Le nuove norme, infatti, non prevedono più il classico assegno di mantenimento che un genitore versa all'altro per i figli minori, bensì il cosiddetto "mantenimento diretto": dal momento che il bambino resterà metà del suo tempo con il padre e metà con la madre, ciascuno di loro provvederà al suo mantenimento in maniera diretta, individuando se possibile anche costi standard e capitoli di spesa.
Solo in casi strettamente necessari e in via residuale il giudice può stabilire che uno di loro versi per un tempo ben determinato un assegno periodico in favore dell'altro. Nel provvedimento in cui si parla di questa decisione il giudice deve indicare non solo i termini dell'assegno periodico, ma anche quali iniziative le parti devono adottare per arrivare al mantenimento diretto dei figli.

Contrasto all'alienazione genitoriale

Nel testo introduttivo del ddl Pillon viene già sottolineato come uno dei suoi scopi sia quello di contrastare la "alienazione genitoriale", ovvero quel fenomeno che vede un minore rifiutarsi di aver rapporti con un genitore, apparentemente senza motivo.
Secondo le teorie vigenti, l'alienazione genitoriale (o parentale) sarebbe provocata il più delle volte dall'altro genitore, che "manipola" il figlio ostacolando così i rapporti con l'ex partner.
Secondo l'articolo 12 del ddl, in questi casi il giudice, dietro istanza di parte, può adottare con un decreto uno o più provvedimenti contro il genitore colpevole di questa strumentalizzazione del bambino. Inoltre, questi provvedimenti possono essere applicati anche in assenza di evidenti condotte scorrette di uno dei genitori se il minore manifesta comunque rifiuto, alienazione o estraniazione verso uno di loro.
I provvedimenti adottabili in caso di condotte pregiudizievoli (tra le quali rientrano anche quelle relative all'alienazione parentale) sono per esempio l'ordine di cessazione di questa condotta ma anche misure d'urgenza come la limitazione o la sospensione della responsabilità genitoriale, l'inversione della residenza abituale del bambino in favore dell'altro genitore o la sua collocazione provvisoria presso una struttura specializzata. Se collocato presso la struttura, i servizi sociali o comunque gli operatori della stessa devono redigere un programma specifico per il pieno recupero della bigenitorialità del bambino.

Note
  1. "Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità", Atto Senato n. 735, XVIII Legislatura, pubblicato su Senato.it,
    www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf
  2. Legge 8 febbraio 2006, n. 54 "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1° marzo 2006,
    www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm
  3. Ndt: nel testo introduttivo del ddl Pillon i suoi autori affermano che con la Legge 2006 si era riusciti a far passare l'affidamento condiviso come la forma di affidamento privilegiata, ma tutto si era rivelato poi un totale fallimento, dal momento che in Italia l'affido a tempi paritetici riguarda solo l'1 - il 2% dei casi.
Fonte
  • Pillon et al., "Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità", Atto Senato n. 735, XVIII Legislatura, pubblicato su Senato.it,
    www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf
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