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Test proiettivi 1: proiezione, percezione, appercezione e struttura degli stimoli

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Test proiettivi 1: proiezione, percezione, appercezione e struttura degli stimoli

L'articolo "Test proiettivi 1: proiezione, percezione, appercezione e struttura degli stimoli" parla di:

  • Proiezione e percezione
    Struttura degli stimoli
    Il ruolo del somministrante
Psico-Pratika:
Numero 197 Anno 2023

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Articolo: 'Test proiettivi 1: proiezione, percezione, appercezione e struttura degli stimoli'

A cura di: Rebecca Farsi
    INDICE: Test proiettivi 1: proiezione, percezione, appercezione e struttura degli stimoli
  • Introduzione
  • Proiezione e percezione: un inscindibile rapporto
  • Struttura degli stimoli
  • Altre letture su HT
Introduzione

In ambito psicodinamico il termine proiezione indica un meccanismo di difesa che consente di espellere dalla dimensione emotiva - dal latino pro-iectum, gettato in avanti - una pulsione indesiderata, minacciosa o mal tollerata, creando un distacco tra la pulsione e l'individuo cui la stessa appartiene. L'effetto di questo processo manifesta connotazioni:

  • catartiche, in quanto l'energia pulsionale viene allontanata in modalità evacuativa, gratificando un'esigenza di controllo egoica;
  • difensive, dato come, a seguito del meccanismo proiettivo, la pulsione perde la propria connotazione minacciosa, per essere validamente gestita e controllata in un oggetto esterno.
Test proiettivi 1: proiezione, percezione, appercezione e struttura degli stimoli

Con ciò non se ne lasci tuttavia intendere la scomparsa. L'impronta della pulsione evacuata, per quanto sfuggente al controllo consapevole, resta ben radicata all'interno dei circuiti dell'Es, laddove prende la forma di un frammento affettivo non rielaborato e non verbalizzato, e proprio per questo bisognoso di continui controinvestimenti che ne garantiscano la permanenza all'interno dell'inconscio (Freud, 1896; 1922).
Le pulsioni non sono un'entità statica e immutabile. Al contrario, le forze dinamiche cui sono sottoposte - in termini di conflitti, desideri, bisogni, volontà di soppressione e di espressione - conferiscono alle stesse una natura cangiante, instabile nell'oggetto e nella meta. Sappiamo inoltre come il materiale contenuto nell'inconscio mostri un'indefettibile tendenza alla riemersione: lapsus, motti di spirito, frasi non concluse, materiale onirico, sono chiare testimonianze di come l'energia legata alla pulsione espulsa porti in sé in quantum libidico che, per quanto allontanato dalla coscienza, ambisce a riproporsi in una dimensione di consapevolezza (Freud, 1899). La cesura tra la pulsione e il suo detentore, anche dopo la proiezione, non è dunque mai definitiva: spesso è sufficiente un'elicitazione esterna per allentare la presa di quei controlli egoici che ne impediscono la slatentizzazione.
Non solo: la tendenza del materiale inconscio a riemergere testimonia un vincolo associativo inscindibile, per quanto inconsapevole, tra passato e presente. Si tratta del principio basilare del determinismo psichico, in base al quale ogni azione posta in essere nel qui ed ora riceve un'influenza inconsapevole da parte di esperienze emotive già vissute, e immagazzinate mnesicamente (Freud, 1905).
Il passato tende a riprodursi nel presente. E questo ritorno del rimosso, testimonia come le esperienze maturate in una fase antecedente siano destinate a replicarsi, in una sorta di coazione a ripetere che direziona decisioni e ispira motivazioni.
"Ignorare le cause delle nostre scelte non costituisce un motivo per ritenerle prive di causa, o per credere che la nostra volontà sia libera di formulare un pensiero o prendere una decisione senza farsi influenzare da esperienze precedenti" (Jones, 1924, p. 206).
In relazione al materiale inconscio Freud (1932) parla di una inalterabilità di fondo, in base alla quale il contenuto psichico rimosso tende a ripresentarsi in maniera inconsapevole, ma assolutamente saliente, e per questo in grado di invadere la dimensione egoica e di condizionarne l'operato.
"Impulsi di desiderio che non hanno mai varcato l'Es, ma anche impressioni che sono state sprofondate nell'Es dalla rimozione, sono virtualmente immortali, e si comportano dopo decenni come se fossero appena accadute" (Freud, 1932, p. 185).
Attraverso la coazione e ripetere, ciò che è stato esiliato nella dimensione inconscia tende a rispondere a richiami esterni che, per quanto ambiguamente, sono in grado di rievocarne la presenza.
È esattamente questo il principio operativo su cui si basano i test proiettivi: cercare di rievocare, mediante l'impiego di una stimolazione esterna apparentemente neutrale, un contenuto psichico arcaico sommerso dai processi difensivi egoici, e per questo inconsciamente silenziato.
La riemersione avviene attraverso la somministrazione di uno stimolo non strutturato, che comporta l'attivazione di uno stato di frustrazione, insaturo e per questo generativo, dal quale scaturisce un procedimento regressivo-restituivo di parti del Sé latenti.
L'attivazione dell'inconscio risulta favorita dall'assoluta libertà di risultato: uno dei pregi delle tecniche proiettive è infatti quello di mettere a proprio agio il testando, non costringendolo a fornire risposte che verranno giudicate più o meno corrette. Al contempo, questa libertà nella risposta genera una piacevolezza nell'emissione della stessa, traducendosi nell'abbattimento dei retaggi difensivi egoici posti a protezione del non rimosso che i self report non consentono di aggirare.
Per effettuare un test proiettivo non è inoltre necessaria la dimostrazione di alcuna competenza specifica: a occupare un ruolo preminente, più che un'abilità pratico-intellettiva, è una funzione immaginativa, elicitata dalla visione dello stimolo e dal processo immaginativo che, attraverso la somministrazione quest'ultimo, è in grado di attivarsi.
Suscitando la sospensione temporanea del processo logico razionale - il processo secondario di cui parlava Freud - il test proiettivo consente inoltre inconsce incursioni del processo primario, con tutti i derivati dell'Es di cui lo stesso si fa portatore. E sono proprio questi derivati, condensati, rimossi, espulsi dalla coscienza, a rivelare le parti più arcaiche e sincretiche della personalità, che l'individuo, nel tentativo di controllarle attivamente, tende a proiettare difensivamente all'esterno. Lontano dal Sé.
A mettere a nudo il nucleo pià primitivo e nascosto del Sé sono proprio le fluttuazioni regressivo-progressive suscitate dalla stimolazione visiva, attraverso le quali viene slatentizzata una intensa lotta tra le spinte del desiderio e le censure relazionali che vi si oppongono (Chabert, 1998, p. 123).
Viene così dato il via a un profondo viaggio nelle intimità del Sé, in cui l'incertezza del risultato costituisce l'aspetto più produttivo.
"Ci si può imbattere, in questo viaggio inatteso all'interno del Sé e dell'Es, in universi pieni di vitalità simile a magma vulcanico, o in vuoti insidiosi, echi di ferite narcisistiche antiche... così come nella ricchezza fantasmatica dei soggetti più creativi o nella povertà associativa di chi è afflitto da un deserto interiore siderante" (Sola, 2008, p. 62).

Proiezione e percezione: un inscindibile rapporto

Estraniandosi da una valutazione oggettiva e standardizzata, il meccanismo proiettivo si mostra attento ai significati interiori attivati attraverso la somministrazione dello stimolo. Ad essere coinvolti non sono tanto i canali sensoriali: non si chiede al soggetto che cosa sta vedendo per misurare le sua capacità visive. Piuttosto, tramite la somministrazione di uno stimolo formale, si cerca di penetrare le profondità psichiche, al fine di comprenderne le polisemiche sfumature.
Il test proiettivo testimonia come il processo percettivo, pur nella sua oggettività immutabile, non possa prescindere da una componente individuale, e come in virtù di ciò esso risulti la coniugazione di due aspetti fondamentali e imprescindibili: una funzione strutturale, che deriva dalla collocazione spazio temporale degli stimoli nell'ambiente, e una funzionale, generata invece dai bisogni e dalle intimità inconsce dell'individuo elicitate dallo stimolo.
La realtà esterna subisce sempre un filtro trasformativo ad opera degli occhi di colui che la osserva, laddove gli occhi sono il viatico dell'interiorità inconscia più profonda. Non esiste dunque una realtà di per sé, ma solo dei soggetti in grado di interpretarla: che cosa può essere la conoscenza: solo interpretazione, non spiegazione (Nietzsche, 1885-1887, p. 351). Se questo è vero la modalità osservativa non può ridursi a un mero strumento di esplorazione conoscitiva, costituendo al contrario un'espressione dei bisogni emotivi rimossi. Dunque se gli oggetti esterni sono percepiti, modificati e interpretati in virtù delle rispettive esigenze endogene, la percezione non corrisponde soltanto a un vissuto sensoriale, mostrandosi piuttosto un'attività intenzionale, creativa e trasformativa, grazie alla quale il soggetto esplicita, pur inconsciamente, le parti più autentiche di sé.
Nel tentativo di definire la questione, Rorschach (1921) sostenne come le risposte al suo test fossero il risultato di un processo associativo e di uno percettivo, entrambi attinenti la sfera soggettiva. In base a ciò, la reazione allo stimolo veniva considerata il frutto di un'integrazione tra tracce precedentemente assimilate nel magazzino mnesico e un insieme di sensazioni immediate generate dalla visione dello stimolo stesso.
Naturalmente non si tratta di una sovrapposizione oggettiva: le tracce mnesiche non sono perfettamente uguali alle macchie somministrate, semplicemente ne rappresentano l'esito rievocativo, in virtù del quale un oggetto stabilmente collocato nel passato riceve una nuova riattivazione nel presente, attraverso un elemento associativo che ne richiama la presenza.
Durante la percezione, l'individuo compie un lavoro di esplorazione all'interno del proprio magazzino mnestico, cercando di trovare nello stesso le tracce più simili all'engramma somministrato. Al contempo, proprio la differente abilità nell'associare le sensazioni generate dall'engramma con gli elementi precedentemente assimilati, costituisce un fattore esplorativo della personalità dell'individuo e delle sue capacità relazionali, affettive e cognitive (Rorschach, 1921).

Tra percezione e appercezione: le potenzialità trasformative dello stimolo
Nell'attribuire il punteggio alle risposte date dai soggetti, il contenuto viene considerato per ultimo. È molto più importante studiare la funzione della percezione e dell'appercezione (1921, p. 19).
In riferimento al concetto di appercezione, Bellak (1954) lo definisce il suggestivo rapporto tra proiezione-percezione, attraverso il quale è possibile individuare l'integrazione tra un'esperienza precedentemente assimilata e una di nuova acquisizione - direttamente suscitata dallo stimolo - con un effetto inevitabilmente trasformativo della seconda sulla prima.
Dunque da una parte abbiamo la percezione, con le sua caratteristiche prettamente sensoriali, attivate tramite la somministrazione di uno stimolo esterno. Dall'altra troviamo il costituirsi di uno stato di iperrecettività suscitato dai bisogni inconsci individuali percepiti nel momento della somministrazione dello stimolo e allo stesso associati.
Alla luce di ciò si ribadisce l'insussistenza di una percezione pura e oggettiva: il canale sensoriale individuale ne costituirà sempre il tramite modificante, l'elemento di trasmissione che tenderà a unire dimensioni oggettive con realtà soggettive, e per questo inevitabilmente mutevoli. Mentre osserva il soggetto inserisce nell'oggetto parti di se stesso, e contaminando ciò che osserva con la propria interiorità, veicola inevitabilmente un messaggio non verbale rivelatore del Sé.
Nei processi proiettivi il soggetto struttura attivamente e spontaneamente un materiale non strutturato, e nel far questo rivela i suoi principi strutturanti, che sono i principi della sua struttura psicologica (Rapaport, et al. 1968, p. 266).
In riferimento alla capacità trasformativa elicitata dallo stimolo, è tuttavia doveroso un chiarimento. La dispercezione rispetto all'engramma non può oltrepassare il limite di ciò che l'engramma stesso intende raffigurare. In altre parole, il processo di dispercezione non può valicare i confini della realtà oggettiva.
La natura di questo aspetto dispercettivo e il livello di "modifica immaginativa" dello stimolo costituiscono per questo un valido canale esplorativo del funzionamento egoico, e con esso del grado di aderenza alla realtà.
Secondo Weiner (2003), un funzionamento egoico sufficientemente maturo presuppone una capacità di percezione creativa, ma non distorta: al fine di garantire l'aderenza al principio di realtà, sarà pur sempre necessario intravedere, al di là dell'engramma, ciò che questo intende rappresentare.
Se al contrario il processo dispercettivo è così intenso da azzerare il funzionamento del processo secondario, l'esame della realtà risulterà compromesso da vissuti endogeni dominati dal processo primario, con interruzione dei nessi associativi. In questo caso lo stimolo viene snaturato nella propria struttura formale a causa della contaminazione del reale da parte di una dimensione psichica marcatamente ipoplastica. In seguito alla presentazione di un singolo engramma potremmo avere pertanto:

  • un minimo effetto proiettivo, in cui ad essere evidenziati sono essenzialmente gli aspetti descrittivi e formali, a testimonianza di un pensiero eccessivamente aderente alla realtà in cui lo stimolo non ha elicitato nessuna funzione proiettiva. I motivi possono risultare molteplici: eccessiva familiarità con lo stimolo, e dunque una pregressa conoscenza del test che facilita il controllo difensivo e l'aggiramento del processo proiettivo; tratti della personalità del somministrando, come ad esempio eccessivo controllo difensivo, pensiero ossessivo, dominio superegoico, ipercontrollo e perfezionismo, vissuto di ansietà ingestibile, mondo fantasmatico povero e non creativo, assenza di pensiero astratto, alessitimia, o una situazione traumatica interruttiva del pensiero simbolico e semantico;
  • un massimo effetto proiettivo, in cui il livello della risposta trascende il carattere formale per addentrarsi in una dimensione evocativa capace di aggirare non solo le difese coscienti, ma anche le istanze dell'oggettività realistica, cui si associano interruzione dei nessi associativi, distorsione e bassa accuratezza percettiva.
Struttura degli stimoli

La finalità di un test proiettivo è quella di rivelare gli aspetti inconsci della personalità; lo si è più volte ripetuto. Ma affinché questo effetto venga adeguatamente raggiunto, à necessario che gli stimoli somministrati all'interno del setting diagnostico presentino alcune caratteristiche strutturali, precipue e appositamente pensate. Si dà descrizione delle tre principiali:

  • l'ambiguità: per risultare ambiguo uno stimolo deve presentare una struttura povera - dunque poco definita nei contorni e nella cromia - deve essere mostrato per un tempo piuttosto breve, e soprattutto deve inserirsi in un contesto spazio-temporale non ben definito, e per questo non saturo. L'ambiguità è in grado di attivare i sistemi cognitivi e motivazionali dell'esaminando, consentendo di diagnosticare le strutture nascoste e inconsce della sua personalità. La differenza con i test psicometrici salta immediatamente all'occhio: qui il materiale diagnostico è estremamente strutturato, e trova il proprio punto di forza in una limitata possibilità di scelta; posto di fronte a un certo numero di risposte il soggetto sa di poterne scegliere soltanto una, spesso corrispondente all'unica opzione di un item. Al contrario, la somministrazione di un test proiettivo pone nelle mani dell'esaminando la più assoluta libertà di espressione, limitandosi a fornire un mero punto di partenza - identificabile nello stimolo somministrato - in grado di dare via al processo proiettivo. A fronte di un potenziale polisemico così elevato è tuttavia necessario che lo stimolo possieda una pur vaga connotazione strutturale. Con ciò si intende che debba essere possibile intravedere, al di là dello stesso, una forma vagamente identificabile con qualcosa di reale e riconoscibile. Ove estremizzato o eccessivamente amplificato, il concetto di ambiguità rischierebbe di attivare nell'osservatore quegli stessi meccanismi di difesa che la proiezione cerca di eludere (Rorschach, 1921); lo stesso esaminatore, di fronte a un eccessivo ambiguità dello stimolo, potrebbe perdere di vista il significato interpretativo della risposta, travisandone il contenuto intrinseco (Ellett-Bersoff, 1976);
  • la non familiarità: fa riferimento a uno stimolo percepito come sconosciuto, e, proprio per questa caratteristica di novità percettiva, in grado di porre il soggetto in una dimensione di frustrazione, a sua volta prodromica di una minaccia che non può essere controllata con i consueti script comportamentali e difensivi (Castellazzi, 2018). Da qui la mobilitazione della dimensione egoica e un allentamento della stessa, cui fanno seguito un'irruzione del processo primario nel funzionamento razionale e l'introduzione regressiva di elementi psichici appartenenti a una dimensione latente segregata nell'inconscio;
  • la significatività, si riferisce alla capacità dello stimolo di rappresentare qualcosa di emotivamente rilevante per il soggetto, e che al contempo mostri una certa affinità con ciò che si vuol conoscere attraverso il test. Lo stimolo deve porsi in una prospettiva di incontro con il sistema motivazionale: ad esempio, un test che intende valutare le relazione oggettuali e la capacità di investire nell'altro dovrà presentare stimoli quanto più possibili elicitanti - per forma e contenuto - di questa dimensione (in questo caso situazioni che implichino un contesto relazionale, di abbandono, di solitudine).

Il ruolo del somministrante
Affinché l'effetto proiettivo possa trovare attuazione, è necessario dar vita a uno spazio di lavoro che consenta la libera emersione del materiale inconscio ed eviti egualmente un'interpretazione contaminante o eccessivamente distaccata da parte del clinico. In particolare, un'eccessiva vicinanza psichica potrebbe mostrarsi ostruttiva dell'attivazione di un pensiero interpretativo autonomo da parte del somministrando, favorendo il sovrapporsi delle aspettative proiettive del clinico. Una rigida assenza empatica del vissuto interpretativo potrebbe invece favorire la costruzione di una massiccia posizione difensiva, in grado di immunizzare il clinico dalla sfumature polisemiche dell'interpretazione (Granieri, 2010).
Per evitare aspetti disfunzionali nella somministrazione e nell'interpretazione del materiale sarà pertanto necessario assumere una posizione intermedia tra i due estremi: il clinico dovrà astenersi da una volontà interpretativa immediata, optando per un cauto inserimento della risposta all'interno di una dimensione contestuale più ampia, che tenga conto della storia clinica del somministrando, della sua personalità, dei dati anamnestici raccolti durante i colloqui precedenti, cercando di collocare il tutto in una posizione integrativa, che consenta di assimilare coerentemente i nuovi dati con quelli già in possesso (Castellazzi, 2018).
Ciò lascia intendere che il somministrante non può considerarsi un puro e asettico osservatore né un mero rilevatore di comportamenti, dovendo al contrario recuperare le conoscenze pregresse in una prospettiva integrativa di quanto si sta svolgendo in sede valutativa.
Al contempo egli non può e non deve assumere un ruolo eccessivamente empatico, tanto da saturare con i propri contenuti psichici il pensiero emotivo del somministrando, e impedirne la migrazione fantasmatica in dimensioni incontaminate della propria personalità (Castellazzi, 1974). Deve piuttosto restare all'interno del Sé pur spostandosi cautamente verso il somministrando al fine di comprenderne le dinamiche e il funzionamento, prestandosi al fluttuante gioco di scambio tra realtà e fantasia cui la stessa dinamica di proiezione dà luogo. Deve introiettare le proiezioni dell'altro (Resnik, 1990), creando uno spazio accogliente all'interno del Sé.
Sarà suo compito tutelare la realtà, mostrarsi empaticamente curioso, vicino ma non invasivo, direzionante ma non direttivo: l'osservatore attivo di una fantasia che parte dalla realtà e si realizza nella dimensione immaginativa; una reverie imageante in cui la forma esterna delle tavole viene dotata e arricchita delle suggestioni personali, mentre la soggettività viene temperata dai limiti imposti dalla realtà (Lagache, 1957).
"Accettando una situazione paradossale il soggetto risponde alla consegna del clinico un po' come il bambino gioca nell'aria transazionale sotto lo sguardo di sua madre (...) questa distanza mette alla prova la capacità di essere solo di fronte all'oggetto facendo appello alla creatività personale, quasi come si trattasse di un oggetto transizionale ..." (Sola, 2006, p. 76).
Ed è in questo spazio transizionale che deve porsi anche il clinico: in quella terra di mezzo tra fantastico e reale, tra dimensione inter e intrapsichica, per conferire identità semantica alla storia che il paziente sta immaginando, attraverso la coniugazione tra capacità percettive e contenuti emotivi.

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