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La Riabilitazione Psichiatrica tra intervento curante e aspetti dinamici Il ruolo, gli obiettivi e gli strumenti dello Psicologo
L'articolo " La Riabilitazione Psichiatrica tra intervento curante e aspetti dinamici" parla di:
- Il concetto di riabilitazione nel contesto psichiatrico
- Il progetto terapeutico e il lavoro con le famiglie
- Il ruolo cruciale dello Psicologo e il lavoro di équipe
Articolo: 'La Riabilitazione Psichiatrica tra intervento curante e aspetti dinamici Il ruolo, gli obiettivi e gli strumenti dello Psicologo'
A cura di: Laura Messina
INDICE: La Riabilitazione Psichiatrica tra intervento curante e aspetti dinamici
- Introduzione
- Cambiamenti nell'assetto organizzativo psichiatrico
- Obiettivi della pratica riabilitativa
- Strumenti operativi per gli Psicologi
- La famiglia del paziente come risorsa del processo riabilitativo
- L'importanza degli Psicologi nella riabilitazione
- Conclusioni
- Per approfondimenti
- Altre letture su HT
Introduzione
I cambiamenti nell'assetto organizzativo dell'intervento sanitario in ambito psichico in seguito alla legge Basaglia e la formazione di
nuove strutture per la riabilitazione, come ad esempio il D.S.M. (Dipartimento di Salute Mentale) e il C.S.M. (Centro di Salute Mentale),
hanno spinto le figure professionali coinvolte nel settore della salute mentale all'acquisizione di nuove competenze e nuovi metodi di
intervento per riabilitare il paziente con malattia mentale.
Ma quale significato ha il termine riabilitazione nell'ambito psichiatrico?
Quali caratteristiche assume? Quali obiettivi persegue?
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità: «la riabilitazione psichiatrica si riferisce in modo ampio a quel campo
di azioni ed interventi volti ad alleviare le menomazioni, le disabilità e gli handicap negli individui con disturbi mentali e migliorare,
nei limiti del possibile, la qualità della loro vita» (La Barbera D., 2003).
Attraverso questo articolo mi auguro di spiegare in maniera chiara il ruolo e l'importanza della pratica riabilitativa quale impegno specifico
dei servizi di salute mentale e quale mezzo, per noi Psicologi, per favorire nelle persone affette da disturbi psichici l'acquisizione di
competenze sociali per soddisfare bisogni, richieste e raggiungere un livello ottimale di autonomia.
Il termine riabilitazione è utilizzato nell'accezione del prendersi cura della persona, persona intesa nella sua
unicità, complessità e soggettività, all'interno di una visione che non vuol correre il rischio di trascurare così
le sue necessità, l'importanza delle sue relazioni sociali, evitando nel frattempo di attivare dinamiche di dipendenza e cronicità.
Cambiamenti nell'assetto organizzativo psichiatrico
Intorno agli anni Sessanta nascono nuovi orientamenti nell'area della pianificazione dei servizi per disagiati psichici, accompagnati da un
forte interesse per le questioni sociali, per i diritti civili e per la salute pubblica.
Cresce l'interesse per concetti come prevenzione e riabilitazione.
Si afferma la sana concezione che le persone con malattie mentali non devono subire condizioni disumane e continuare a vivere in ambienti
inadeguati e restrittivi come le strutture manicomiali, ma devono ricevere cure adeguate in strutture idonee e umane.
Con l'entrata in vigore della legge 431 del 1968, si assiste all'abolizione dei manicomi e alla nascita di Centri di Igiene Mentale
con ambulatori per le visite, le diagnosi, la prescrizione e somministrazione dei farmaci.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio, il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (all'interno di ospedali generici), la nascita di servizi
di natura dipartimentale, come il Dipartimento di salute mentale, insieme alle Strutture Intermedie, come le comunità residenziali
(Comunità terapeutiche, Residenze assistite, la Casa Famiglia), aprono le porte alla riabilitazione, all'impegno e alla possibilità
di migliorare la qualità della vita degli individui con disturbi mentali.
Le strutture non sono più prigioni, ma diventano luoghi dove la cura della malattia non si cristallizza, ma segue un continuo percorso
di trasformazione ed evoluzione, rendendo il paziente protagonista di cambiamenti nei comportamenti e nelle relazioni.
Obiettivi della pratica riabilitativa
Nell'ambito della riabilitazione psichiatrica, con riferimento specifico al contesto della Comunità terapeutica assistita,
quotidianamente noi Psicologi insieme alle altre figure coinvolte (Psichiatra, Educatore, Infermiere etc.) dobbiamo cercare di raggiungere
obiettivi nella "cura" dell'utente.
Questi attengono il tentativo di far ri-acquisire alla persona con malattia mentale un ottimale livello di funzionamento delle
capacità precedentemente possedute e di aiutarlo sia ad affrontare e gestire problemi concreti della quotidianità sia
ad acquisire capacità sociali, relazionali, professionali per poter progettare il futuro.
Altro compito di nostra competenza, in quanto Psicologi, è quello di creare un ambiente accogliente e supportivo, un contesto dove
avvalorare i piccoli gesti e le azioni portate a termine con successo dai pazienti; uno spazio rassicurante dove gli utenti possano sperimentare
sicurezza, sostegno e speranza per raggiungere un sufficiente grado di autonomia e possano accedere al diritto a un lavoro e a una casa.
Naturalmente noi professionisti, nella definizione degli obiettivi, dobbiamo considerare i limiti e le risorse, i deficit presenti e le
potenzialità ricostruttive, i bisogni, le paure, le diffidenze e le aspettative dei pazienti.
Gli obiettivi sono e saranno sempre realistici, concreti, personalizzati, senza smanie di onnipotenza o potere salvifico, ma con la speranza
di credere che, alla fine del "viaggio" intrapreso, si possa assistere al miglioramento fisico, mentale e sociale della condizione di vita
del paziente e al raggiungimento di traguardi che, inizialmente, sembravano impossibili. E così tra limiti e previsioni la riabilitazione
traccia il suo percorso, attraverso dinamiche di cambiamento e adattamento.
Ma quali le tappe da seguire per un buon progetto terapeutico-riabilitativo?
Per ogni paziente che si rivolge ai servizi di salute mentale, gli operatori (Psichiatra, Medico generico, Psicologo, Assistente sociale)
attraverso un lavoro sinergico progettano un intervento mirato e idoneo al caso specifico.
Schematicamente, il progetto terapeutico-riabilitativo in genere prevede:
- il momento dell'osservazione e della valutazione del livello di funzionamento del paziente, per individuare la struttura più idonea
ad accoglierlo in relazione al suo specifico disagio o malattia;
- la pianificazione delle attività produttive e delle aree sulle quali lavorare maggiormente, monitorando miglioramenti e insuccessi
e mediando tra dinamiche di mantenimento e rafforzamento delle risorse e dinamiche di cambiamento delle parti non produttive e regressive;
- l'attenzione sull'ambiente familiare e sociale, promuovendo le relazioni interpersonali perché l'uomo non è un essere isolato,
ma forma la sua identità identificandosi o diversificandosi con gli altri individui;
- il lavorare su comportamenti socialmente competenti, funzionali e soddisfacenti e ridurre invece comportamenti socialmente incompetenti,
che immobilizzano il soggetto in una condizione di sofferenza e di isolamento.
Strumenti operativi per gli Psicologi
La riabilitazione come pratica con le sue teorie, metodi, obiettivi, si avvale di strumenti che fungono da supporto per il nostro lavoro
riabilitativo.
Fondamentali i colloqui individuali e di gruppo per aiutare il paziente ad acquisire maggiore consapevolezza di sé, per
riportare alla luce aspetti nascosti della propria vita psichica e per apprendere, attraverso il gruppo, tecniche di socializzazione,
finalizzate alla condivisione di esperienze comuni e all'apprendimento di nuovi modi di relazionarsi.
Quando il paziente lotta per il controllo degli impulsi e quando le energie si traducono nella tendenza all'agìto, mette in atto
scenari spaventosi, convertendo inconsciamente la passività in attività e trasformando il senso di impotenza interiore in un'azione
spesso drammatica.
In questi casi tecniche di rilassamento, rassicurazione, rinforzo e di reality testing (esame di realtà)
possono aiutarci a rendere i soggetti in cura più consapevoli della realtà e aiutarli a sublimare e integrare le spinte impulsive
a favore di pratiche più produttive e creative e a modificare schemi rigidi che hanno interiorizzato.
Insieme agli Educatori, il nostro lavoro prevede la progettazione e la realizzazione in concreto di momenti ricreativi come gite di gruppo,
laboratori teatrali, proiezioni di film; tali momenti sono tesi a favorire l'emergere di bisogni, desideri e capacità personali del
soggetto.
L'utilizzo di tecniche che favoriscono l'espressione del linguaggio, del movimento, della dimensione artistica e creativa in genere rendono
possibile l'incontro tra terapia e arte.
Aiutare il paziente ad avere maggiore consapevolezza della propria corporeità, attraverso il movimento, gli permette di utilizzare
il proprio corpo come mezzo di integrazione nella realtà sociale e mezzo per superare i limiti di una possibile comunicazione verbale
deficitaria o semplicemente mezzo per scaricare eventuali tensioni.
Proporre attività artistiche ci permette di aiutare il paziente a esprimere le proprie emozioni e a ricostruire un'immagine di
sé, esprimendo e condividendo il proprio mondo interiore attraverso una nuova comunicazione che si snoda lungo le vie della musica,
della danza, della pittura e del teatro. Attraverso l'espressione artistica possiamo cogliere nei pazienti racconti e
aspetti di sé spontanei, nuovi e originali.
La famiglia del paziente come risorsa del processo riabilitativo
Fondamentale risulta il nostro lavoro con la famiglia degli utenti in cura, perché tassello indispensabile del processo riabilitativo,
parte essenziale dell'esistenza e dell'identità del paziente.
Non possiamo sottovalutare la difficoltà del nucleo familiare di vivere con l'ombra di una malattia intangibile che spaventa; una
malattia dove non è il corpo a comunicare sofferenza, dove non c'è una ferita visibile da curare, ma dove spesso solo gli occhi
comunicano una sofferenza dell'anima.
Non possiamo non lavorare anche sul dolore e sul lutto per la perdita dell'immagine del familiare sano e sugli atteggiamenti di rabbia,
rifiuto, sensi di colpa e rassegnazione.
Noi Psicologi ci ritroveremo spesso, specie se lavoriamo all'interno di strutture, a dover insegnare ai familiari l'accettazione di tensioni,
di perdite di relazioni significative, in una società dove al dolore si aggiunge l'ombra del pregiudizio.
Nel nostro lavoro incontreremo famiglie che negheranno l'entità del problema del familiare paziente in carico, con una tendenza a
fuggire, lontano da giudizi e pregiudizi; famiglie che invece tenderanno all'isolamento, soffocate da sensi di colpa per aver generato un figlio
non sano e altre famiglie che riempiranno il "vuoto" con una ricerca eccessiva ed estenuante di spiegazioni, inerenti alla malattia e
ai servizi disponibili.
Nel lavoro con le famiglie il nostro intervento sarà teso a:
- informare in merito a quali persone o servizi potersi affidare e su come affrontare difficoltà e crisi del familiare;
- far sentire i familiari anello importante di una catena e strumento per migliorare le condizioni del paziente;
- favorire la comunicazione tra utente e famiglia, lavorando sulle disfunzionalità presenti all'interno della stessa e intervenendo
sull'eventuale ristrutturazione dell'intero sistema comunicativo e comportamentale;
- insegnare tecniche per fronteggiare lo stress;
- coinvolgere i familiari in gruppi di supporto, per favorire scambi di opinioni, consigli, riflessioni e chiarificazione di dubbi.
Dove vive la malattia, vive anche la speranza di fornire, insieme agli operatori coinvolti nella pratica riabilitativa, un nuovo spazio dove
i familiari possano raccontare gli anni vissuti tra crisi, ricoveri, rifiuti, paure e diagnosi che cambiano talvolta di Medico in Medico.
Tenendo in considerazione che l'aiuto e il sostegno forniti dai familiari possono rivelarsi mezzi efficaci per noi operatori, per ottenere
notizie sui comportamenti dell'utente fuori dai contesti di cura, per ricevere informazioni sugli effetti dei farmaci, per riconoscere segnali
di una possibile ricaduta o individuare i bisogni del familiare o semplicemente per diventare punto di riferimento per altre famiglie che vivono
la medesima esperienza.
L'importanza degli Psicologi nella riabilitazione
Numerosi sono gli Psicologi che si sentono «un po' figli di un Dio minore, traditi dai responsabili dei servizi perché
mandati a combattere su un fronte difficile e senza gli strumenti opportuni» (Carozza P., 2006), ma nonostante tutto sono
(siamo!) un tassello fondamentale di un complesso mosaico, parte di una équipe multidisciplinare, dove ogni azione e intervento
non deve interferire con i ruoli degli altri Operatori e con il ruolo della famiglia del paziente.
Come professionisti abbiamo l'obbligo morale e professionale di porci obiettivi chiari, modellandoli sulla base delle necessità e
dei disagi che i pazienti incontrano.
Ci muoveremo come suggerisce la Psichiatra Paola Carozza (2003), attraverso le dimensioni:
- del supporto per accogliere il paziente,
- della permissività per aiutare i soggetti a elaborare fallimenti senza giudizi colpevolizzanti,
- della speranza per far sì che i pazienti volgano lo sguardo verso il futuro.
Lavoriamo sul controllo dei sintomi, sulla creazione di un clima di ottimismo e massima apertura alle relazioni per contrastare
l'auto-isolamento spesso agìto dal paziente, senza dimenticare che la cura della malattia mentale richiede tempi lunghi e un dispendio
di energie fisiche e psichiche.
Il rischio che si profila per gli Psicologi e per gli Operatori che, a vario titolo, decidono di lavorare in ambito psichiatrico,
è quello di logorarsi dentro, di vivere un crollo psicologico, di vivere fenomeni di burnout.
Uno stato di sofferenza, insieme a un senso di fallimento, un alto livello di stress, possono portare lo Psicologo a non essere più
in grado di rispondere alle esigenze del contesto lavorativo.
Riconoscere il malessere e richiedere un aiuto esterno sono i passi che porteranno il professionista a superare il momento di impasse
e a comprendere che alla pari di qualsiasi altro essere umano può - a causa di richieste eccessive e destabilizzanti - raggiungere
elevati livelli di stress.
Lavorare con pazienti psichiatrici può implicare lavorare molto con vittorie che a volte non sembrano arrivare o necessitano di tempi
lunghi, e con sconfitte che sembrano annullare i traguardi raggiunti con fatica.
È importante per noi Psicologi, accogliere la diversità di idee e opinioni, degli altri operatori coinvolti e riuscire
a trasformare un conflitto ideologico in giudizio critico, cioè sempre aperto, attraverso momenti di discussione in un clima di
accettazione, collaborazione e valorizzazione reciproca.
Sapere di essere parte integrante di una équipe competente rende questo lavoro meno faticoso e poter osservare il miglioramento
dello stato di salute dei pazienti, salutare un paziente che ha terminato il suo percorso di cura all'interno di una comunità terapeutica
e sapere dopo mesi che il suo benessere è inserito in una cornice di quotidianità, cioè una casa, un lavoro, nuovi amici,
una nuova relazione sentimentale, ci ricorda quanto meraviglioso e importante sia il nostro lavoro, nonostante l'ambito delicato nel quale
lavoriamo.
All'interno della pratica riabilitativa lo Psicologo è fondamentale, per tutte le fasi del progetto, dall'accoglienza del paziente
e della sua famiglia alla progettazione dell'intervento riabilitativo, dalla messa in atto di pratiche e interventi psicoterapeutici al
monitoraggio per i miglioramenti o eventuali ricadute.
Lo Psicologo che riesce a mantenere sempre viva la connessione tra motivazione e attività cognitiva ed educativa nei pazienti
e ad avvicinarli a un "essere" più creativo, più autonomo, capace di esprimere risorse e potenzialità, è uno
Psicologo che ha sviluppato un buon progetto e che non ha mai dimenticato che ogni persona con disturbo psichico è (e ha) una storia
significativa da accogliere.
Conclusioni
La vera riabilitazione deve attraversare la vita quotidiana: un buon clima familiare, una casa, un lavoro e uno spazio personale nell'universo
del sociale.
Noi Psicologi non dobbiamo dimenticare che stiamo lavorando con persone e non con diagnosi, con uomini e donne e non con casi clinici e con
soggetti che, a un certo estremo ideologico/difensivo, non dobbiamo considerare però "normali" perché come afferma la Psichiatra
Paola Carozza - che da anni si occupa di riabilitazione pubblicando numerosi libri su tale pratica - «la diversità
non va negata, perché solo riconoscendola e dotando chi la esprime di strumenti per godere delle stesse opportunità concesse a
tutti, si può evitare di utilizzarla per escludere e per emarginare» (Carozza P., 2006).
Per i colleghi che volessero intraprendere un percorso formativo o lavorativo in ambito Psichiatrico, dono la mia riflessione sull'esperienza
di tirocinio svolta durante gli anni universitari all'interno di una Comunità Terapeutica Assistita; esperienza a tratti faticosa per
il carico emotivo che i pazienti psichiatrici richiedono, a tratti illuminante e formativa per il messaggio che si recepisce dopo mesi di
osservazione e partecipazione alla vita dei pazienti e al loro fragile mondo interno.
Sono entrata in punta di piedi in un mondo dove la malattia sembra ben lontana da quella studiata nei libri universitari, e gli interventi
sembrano talvolta staccarsi dal mondo teorico fatto di tecniche, strumenti e approcci clinici, per lasciare spazio a un obiettivo unico: il
miglioramento della qualità della vita della persona malata.
Ridurre ricoveri e ospedalizzazioni, aiutare il paziente a convivere con i sintomi, a saperli riconoscere ed elaborare, a saper gestire
l'uso dei farmaci, a riconoscere le risorse e imparare a sfruttarle e a saper ascoltare l'angoscia come campanello di allarme di un disagio
interiore, sono tutte grandi vittorie.
In una realtà come quella delle comunità terapeutiche, con pazienti schizofrenici o con disturbi affettivi maggiori, nei casi
più gravi, la guarigione non diventa utopia ma viaggio verso un miglioramento dell'esistenza, perché la guarigione nasce dalla
volontà intima del paziente di guarire, di vivere.
Se noi Psicologi non commettiamo l'errore di ridurre la personalità dei nostri pazienti a una diagnosi di malattia mentale, allora
siamo già facendo un buon lavoro con e per loro perché «il valore e la dignità umana cominciano ad affermarsi,
proprio quando si comincia a rifiutare la prognosi del destino» (Carozza P. 2006).
Per approfondimenti
- Carozza P., "La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni", Franco Angeli, Milano, 2003
- Carozza P., "Principi di riabilitazione psichiatrica", Franco Angeli, Milano, 2006
- Ferrara M., Germano G., Archi G., "Manuale della Riabilitazione in Psichiatria", Il Pensiero Scientifico, Roma, 1990
- La Barbera D., Varia S., "Percorsi clinici della psichiatria", Medical Books, Palermo, 2003
Altre letture su HT
- Riccato R., "CSM: analisi dei disservizi
di un Servizio Sanitario", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 98, 2013
- Riccato R., "Basaglia: cinquanta anni di lotte
e successi. Excursus storico nella Psichiatria alternativa", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 94, 2013
- Canis L., "Le comunità terapeutiche.
Quando la vocazione si scontra con "alcune" realtà", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 72, 2012
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