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Psicologo dell'Emergenza
Il ruolo e l'importanza della Psicologia di fronte alle catastrofi naturali

L'articolo "Psicologo dell'Emergenza" parla di:

  • Prima e dopo la catastrofe: come intervenire
  • Reazioni e relazioni d'aiuto con la "popolazione a rischio"
  • La formazione dell'aspirante Psicologo dell'Emergenza
Psico-Pratika:
Numero 102 Anno 2013

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Articolo: 'Psicologo dell'Emergenza
Il ruolo e l'importanza della Psicologia di fronte alle catastrofi naturali'

A cura di: Daniela Miseo
    INDICE: Psicologo dell'Emergenza
  • Introduzione
  • La Psicologia dell'Emergenza
  • Le ferite psicologiche delle persone coinvolte in situazioni di emergenza "catastrofica"
  • Gli Psicologi dell'emergenza per riportare il sorriso a bambini, adulti, anziani e diversamente abili
    • I bambini
    • Gli adulti
    • Gli anziani
    • I diversamente abili
  • Come si diventa Psicologo dell'Emergenza
  • Conclusioni
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT
Introduzione

Nell'articolo tratterò il tema della Psicologia dell'Emergenza, soffermandomi in particolare sull'emergenza in ambito di catastrofi naturali, avendo vissuto in prima persona l'alluvione che nel 2000 ha colpito la regione in cui vivo, la Valle d'Aosta.

Dopo aver esposto le diverse ferite psicologiche che colpiscono chi si trova ad affrontare una catastrofe naturale, parlerò del tipo di formazione più opportuna e darò indicazioni utili per "diventare" Psicologo dell'Emergenza.

La Psicologia dell'Emergenza

Il termine "emergenza" deriva dal greco ex mergere, che letteralmente significa "uscire dall'acqua", e indica ciò che viene a galla, ciò che si manifesta con chiarezza, ciò che irrompe nella normalità.

In ambito scientifico, quando si parla di emergenza, si fa riferimento a situazioni improvvise e inattese che possono presentare pericolo di morte o minacce all'integrità fisica e psichica dell'uomo.

Si fa riferimento sia a eventi "macroscopici", che coinvolgono la comunità (quali l'alluvione in Valle d'Aosta, il terremoto all'Aquila e, non ultimo, il sisma che nei mesi scorsi ha colpito la popolazione dell'Emilia Romagna), sia a eventi "microscopici", che coinvolgono un numero ristretto di persone, come gli incidenti stradali o gli atti di violenza (stupri o abusi sui minori).

Trattando qui di catastrofi naturali si rileva come nel corso dell'ultimo decennio, purtroppo, la popolazione italiana abbia dovuto fronteggiarne diverse e in tali occasioni si è resa evidente l'importanza dell'intervento apportato dalla Psicologia dell'Emergenza.

La Psicologia dell'Emergenza è la ricerca, la pratica e l'applicazione delle conoscenze psicologiche nei contesti di emergenza. Essa agisce sia prima sia dopo gli eventi catastrofici.

L'intervento pre-evento consiste nella formazione tanto degli operatori, che interverranno in caso di emergenza, quanto delle persone a rischio (per esempio abitanti di zone sismiche).

Mentre l'intervento post-evento prevede un sostegno diretto sul campo, che si attiva sin dai primissimi momenti successivi alla catastrofe.

Infine la Psicologia dell'Emergenza si occupa di studiare le reazioni umane nelle situazioni avverse (terremoti, alluvioni, stupri...), di promuovere la salute mentale degli operatori dell'emergenza, della popolazione e soprattutto di rafforzare le competenze psicosociali delle persone a rischio emergenza prima che tali eventi si verifichino e dopo il loro accadimento.

Le ferite psicologiche delle persone coinvolte in situazioni di emergenza "catastrofica"
Psicologo dell'Emergenza

Nel corso della propria vita tutte le persone si trovano almeno una volta di fronte a eventi che potrebbero creare sofferenze intime anche importanti (disagi sul lavoro, fallimenti personali, perdite significative...) e che le stesse superano attraverso strategie di coping (la ridefinizione della situazione, l'accettazione del problema, la catarsi...).

Queste strategie, pur funzionando egregiamente di fronte a eventi ordinari, nella maggior parte dei casi non si dimostrano efficaci in situazioni improvvise e straordinarie, dove la sofferenza diviene elevata provocando ricadute sia sul piano cognitivo sia comportamentale.

Dopo un evento disastroso le principali reazioni psicologiche che possono manifestarsi sono:

  • Disturbi d'Ansia, inclusi attacchi di panico, reazioni fobiche, reazioni somatiche;
  • Disturbo Acuto da Stress (ADS);
  • Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).

Oltre a questi disturbi mentali, che non sempre compaiono dopo le catastrofi naturali, spesso vi sono reazioni di stress, ovvero sintomi di disagio psicologico che si manifestano tramite l'esperienza di emozioni negative come la tristezza, la rabbia, l'ansia, l'irritabilità e attraverso l'alterazione delle interazioni interpersonali quali tensioni in famiglia, ritiro sociale e riduzione della capacità lavorativa.

Dopo un evento drammatico (alluvione, sisma...) possono inoltre manifestarsi comportamenti a rischio di salute. Alcuni studi (Chiasson et al., 2005) mostrano che tra i giovani si può sviluppare un incremento nell'uso di sostanze come alcool o cannabis.

Tra i feriti o tra chi soffre di malattie croniche preesistenti, ci potrebbe essere l'assunzione di comportamenti negativi per la salute fra i quali, per esempio, la scarsa propensione a farsi curare, a sottoporsi a trattamenti o ad aderire a una terapia farmacologica.

Gli Psicologi dell'Emergenza per riportare il sorriso a bambini, adulti, anziani e diversamente abili

In una situazione di emergenza è determinante poter offrire alle persone coinvolte due tipi di risposte:

  1. una di tipo tecnico e materiale,
  2. l'altra di tipo relazionale.

Parlando di risposta tecnico materiale intendo l'intervento immediato sul campo della catastrofe, da parte delle squadre di pronto soccorso psicologico, che dovrebbero intervenire il prima possibile, possibilmente disponendo o ricavandosi un luogo al sicuro, che abbia quindi le caratteristiche di un ambiente disponibile e di massima rassicurazione per le persone che hanno subito l'evento traumatico.

Le squadre devono essere coordinate e suddivise tra operatori, volontari e Psicoterapeuti, questo per permettere di intervenire più velocemente e più proficuamente nell'aria di crisi.

Il modello per interventi sulla crisi è chiamato P.I.A.: Prossimità, Immediatezza e Aspettative. Questo modello ritiene che l'intervento sulla crisi debba avvenire il più presto e il più vicino possibile al sito dove è accaduto l'evento e far rientrare quanto prima le vittime nella normale routine.

Il personale deve essere ben riconoscibile attraverso un tesserino che ne testimoni la qualifica. Gli operatori volontari devono attuare tutte le operazioni di presenza, a testimonianza del loro supporto, e d'informazione sia attraverso schede informative che a livello verbale per la popolazione coinvolta.

Parlando di risposta di tipo relazionale intendo la possibilità, da parte degli operatori psicologici, di contenere e rassicurare le vittime con discrezione e delicatezza.
È importante che gli Psicologi siano presenti lasciando che ogni vittima manifesti il proprio disagio e il proprio dolore, nel rispetto di quelli che sono i propri modi e soprattutto tempi senza forzature.

I bambini

Di fronte a un evento drammatico, improvviso e violento i bambini provano emozioni molto intense:

  • angoscia;
  • paura;
  • timore di essere separati dai genitori;
  • ansia dell'abbandono;
  • paura di morire.

Secondo la loro età i bambini presentano timori e angosce diverse.
Queste paure sono reali e gli adulti non dovrebbero mai sottovalutarle.

Dopo catastrofi naturali come i terremoti e le alluvioni, i bambini in età prescolare sviluppano forte attaccamento ai genitori, crisi di pianto inconsolabile, comportamenti caratterizzati da confusione e aggressività.

Alcuni bambini si chiudono in se stessi e non parlano per giorni interi.
Queste reazioni anche se sono normali e transitorie possono spaventare i genitori e tutte le persone che si prendono cura dei bambini.

Cambiamenti improvvisi delle abitudini familiari, timori e paure legate all'esperienza del disastro possono modificare i comportamenti dei piccoli e distruggere le loro sicurezze.
In queste circostanze è fondamentale che gli adulti li ascoltino e parlino con loro.

Contrariamente a ciò che si può credere, negare ogni informazione è una falsa forma di protezione, infatti i bambini vogliono sapere cosa sta succedendo.

Gli adulti devono dare informazioni veritiere e delle quali sono a conoscenza, adattando i contenuti e i toni delle spiegazioni a ciò che i bambini sono in grado di comprendere e al loro stato emotivo.

Rari sono i bambini capaci di parlare apertamente dei loro problemi; a volte esprimono ciò che li preoccupa solo attraverso il gioco e il disegno, che dunque li aiutano ad affrontare e ridurre le tensioni.

Tuttavia l'aiuto e la speranza derivano, oltre che dalle parole, dai gesti e dal contatto fisico, anche dalla serenità dell'ambiente familiare e dalla ripresa delle abitudini familiari e sociali.

La rassicurazione costante combatte l'incertezza.
Il contributo dello Psicologo è di cruciale importanza nell'aiutare le famiglie e i loro bambini a trovare e ricreare una "possibile" serenità post-calamità.

Gli adulti

È capitato più volte di sentire espressioni come: «Ha avuto il sangue freddo» oppure «Si è fatto prendere dal panico» da persone che hanno vissuto esperienze terribili e minacciose.

Queste espressioni fanno intuire il modo diverso in cui rispondono gli adulti a situazioni di pericolo: alcuni sopraffatti dall'evento tendono a diventare estremamente remissivi, altri si mobilitano magari attuando comportamenti di mutuo aiuto a scapito anche della propria salvezza.

Dopo un evento disastroso le principali reazioni psicologiche che può sviluppare un soggetto adulto sono:

  • paura;
  • rabbia;
  • senso di colpa per essere sopravvissuti e dolore per le perdite subite;
  • confusione e stordimento cognitivo.

La paura è una normale risposta adattiva che spesso può salvare la vita in situazioni di catastrofi naturali, ma al contempo quando si è subito l'impatto con un evento disastroso, quando è stato messo in gioco il senso di vulnerabilità che ciò scuote, l'attenzione si focalizza sulla paura che l'evento si ripeta.

Questa paura va compresa e affrontata da parte dei soccorritori già nella pianificazione del soccorso, poiché potrebbe inibire o rallentare lo stesso ritorno alla vita normale.
Ad esempio dopo un sisma può essere utile che le persone partecipino all'opera di verifica e conferma dell'agibilità delle loro abitazioni.

Dopo essere stato vittima di un evento critico, l'adulto può manifestare una rabbia molto forte verso gli altri, in particolare verso i veri o presunti responsabili ma anche verso i soccorritori.

Lo Psicologo dovrebbe far comprendere a chi la manifesta che provare rabbia è normale, e quindi che della rabbia si possa e si debba parlare, altrimenti diventa difficile controllarla. Per fare questo si può incoraggiare la nascita di gruppi di auto-aiuto o la trasformazione della rabbia in azioni positive.

Il senso di colpa per essere sopravvissuti è una reazione psicologica caratterizzata da ansia, depressione e sentimenti di colpa appunto, per essere vivi mentre altri sono morti. Il senso di colpa porta a un ritiro dalla vita sociale, perdita d'iniziativa e disturbi del sonno con incubi.

L'adulto può trovarsi in una situazione di confusione e stordimento cognitivo: la persona può presentarsi immobile e apatica, vagare senza una meta ed essere sostanzialmente indifferente a ciò che la circonda. Ciò può essere interpretato come una difesa atta a permetterle di non affrontare subito un'esperienza traumatica.

In questa situazione è importante stabilire un contatto caldo, gentile, rassicurante e avvicinare le persone confuse informandole sull'accaduto, su quanto sta accadendo e su quello che accadrà rassicurandole sulla normalità delle emozioni del loro vissuto.

Gli anziani

Le persone anziane, come i bambini, sono solitamente considerate come appartenenti alla popolazione a rischio. All'anziano spesso è imputata la scarsa capacità adattiva e la minore perizia nel difendersi dalle minacce.

A volte però occorre superare luoghi comuni che li dipingono come persone fragili, malate, confuse e dipendenti dagli altri, in quanto spesso sono invece indipendenti, ingegnosi e hanno autonomia di pensiero.

In situazioni di emergenza, le reazioni degli anziani possono essere svariate e dipendono dallo stadio di vita in cui si trovano al momento dell'evento critico.

Le catastrofi che si trovano ad affrontare possono risvegliare traumi antecedenti (guerre, sismi e alluvioni del passato) e provocare senso di vulnerabilità e d'impotenza: i ricordi dolorosi solitamente aumentano il senso di stordimento e sopraffazione.

Quando ci si trova davanti a un anziano che ha vissuto per decenni nella stessa casa, che tutte le mattine alzandosi ha guardato la foto della persona amata, bisogna tener conto del fatto che la perdita di queste cose (casa, foto, beni...) può aumentare il suo isolamento sociale e favorire l'insorgere di sindromi depressive.

Una situazione di emergenza può al contempo avere valenze positive per l'anziano, quali toglierlo dall'isolamento e inserirlo in un gruppo con compiti e responsabilità.
Per esempio in ragione della loro memoria storica è importante coinvolgere gli anziani nell'individuare le persone più bisognose e vulnerabili della comunità.

In assenza degli adulti possono, infatti, occuparsi dei bambini, attraverso i loro racconti possono trasmettere e preservare la cultura e le tradizioni locali.

Lo Psicologo dell'Emergenza ha principalmente il compito di fornire all'anziano informazioni, rassicurazioni, cura, attenzione empatica e disponibilità all'ascolto: è necessario aiutare con dolcezza senza rimarcare le loro debolezze.

Le persone anziane hanno bisogno di non sentirsi abbandonate: la conversazione va incoraggiata, per permettere la rielaborazione, ma senza essere invasivi.
Lo Psicologo deve riuscire a rassicurare con la presenza fisica accompagnata da quella affettiva.

I diversamente abili

La letteratura sul tema dell'emergenza e dei diversamente abili è in sostanza inesistente. A tal proposito la mia esperienza professionale mi porta a dire che, se si vuole aiutare un diversamente abile, è opportuno chiedergli se egli lo desidera o meno.

In una situazione di emergenza il fatto di non urtare la sensibilità del diversamente abile passa in secondo piano rispetto all'urgenza di salvarlo. Cionondimeno, in via preferenziale e se le condizioni lo permettono, è importante tener conto di questa interazione anche quando si attuano degli interventi in situazioni di emergenza.

Molti diversamente abili hanno conservato o raggiunto un buon grado di autonomia, è quindi anche nell'interesse del soccorritore favorire la sua messa in atto per ottenere maggior collaborazione e per compiere le "manovre" di soccorso sulla persona che possono essere necessarie nel modo più efficace possibile.

Lo Psicologo dell'Emergenza offre il proprio aiuto nel rispetto della persona, ma non si sostituisce mai, né dà per scontato che la persona abbia bisogno di aiuto.
Spesso è il diversamente abile stesso a dare le corrette indicazioni per essere soccorso.

D'altronde, è indispensabile non lasciare mai sola la persona diversamente abile o dimenticare i suoi eventuali ausili: per esempio, nel caso di persone con un deficit della vista è importante, in caso di evacuazione, portare in salvo il cane guida oltre che il padrone.

Come si diventa Psicologo dell'Emergenza

Lo Psicologo dell'Emergenza deve possedere competenze multiple per riuscire a fronteggiare situazioni di crisi. È opportuno acquisire una formazione specifica (non è sufficiente essere Psicologi e volontari) che permetta di agire correttamente in diversi contesti e con utenze diverse, senza correre il rischio di improvvisazioni che potrebbero risultare dannose per le vittime e anche per se stessi.

A mio avviso risulta indispensabile e di fondamentale importanza il lavoro terapeutico su se stessi sia per comprendere le motivazioni che spingono lo Psicologo a voler intraprendere tale attività, sia per valutare se la struttura di personalità e il vissuto permettono di affrontare scenari ambientali molto mobilitanti da un punto di vista emotivo.

La formazione generalmente si matura frequentando dei corsi organizzati dalla Protezione Civile in collaborazione con l'organo sanitario territoriale predisposto per le emergenze (come ad esempio le U.S.L.) o attraverso master di primo o secondo livello organizzato, in Italia, dall'Università degli Studi di Padova e dalla Cattolica di Milano.

La formazione dello Psicologo dell'Emergenza in generale, secondo i programmi formativi, deve includere:

  • Le conoscenze teoriche di base sulle emergenze (corso base di Psicologia delle emozioni, corso base sui disturbi d'ansia e post traumatici da stress, corso base di pronto soccorso...) per poter realizzare un intervento psicoeducativo sulle popolazioni sia a livello di prevenzione sia di soccorso.
  • Una teoria di riferimento sulle emozioni e sui temi della sicurezza e del rischio per affrontare con competenza specifici stati mentali legati alle reazioni delle vittime di fronte alle catastrofi naturali.
  • I modelli e le strategie per riconoscere e affrontare il burn-out.
    La sindrome da burn-out è l'esito patologico di un processo stressogeno che investe l'ambito lavorativo. Si sviluppa a seguito di una inadeguata risposta ai carichi eccessivi di stress strettamente connessi con il lavoro svolto.

    Tale sindrome colpisce in particolare persone che esercitano professioni d'aiuto.
    Lo Psicologo, come le vittime, è continuamente sottoposto a stress fisico ed emotivo, si trova ad affrontare un setting totalmente diverso da quello della seduta in studio: non vi è una richiesta diretta delle vittime e, in prima battuta, questa è spostata sul piano dei bisogni concreti piuttosto che di quelli psicologici.
  • L'informazione sull'organizzazione della Protezione Civile.
  • Una conoscenza approfondita delle tecniche di comunicazione nelle situazioni di crisi.
  • L'acquisizione di tecniche specifiche per l'emergenza conformi al proprio orientamento teorico (desensibilizzazione sistematica, training autogeno, focus group...).
  • Lo sviluppo di un setting mentale specifico per fronteggiare la situazione dell'emergenza, con particolare riferimento alle modalità di rapporto con le vittime, sia a livello di gruppo sia col singolo (intervento di sostegno, defusing, debriefing, triage psicologico...).
  • La verifica, in un contesto protetto, dell'acquisizione delle competenze attraverso la partecipazione a esercitazioni di gruppo per permettere la sperimentazione della complessità delle variabili.

È anche importante sottolineare che lo Psicologo dell'Emergenza interviene sullo scenario di un disastro solo se inserito in una rete riconosciuta istituzionalmente (ad esempio la Protezione Civile o la Croce Rossa), che è composta da specifiche strutture del servizio sanitario e da associazioni di volontariato a cui afferiscono gli Psicologi dell'Emergenza.

Un libero professionista non può decidere di dare il proprio contributo "sganciato" dai circuiti sopra citati: non è possibile partire in autonomia poiché è fondamentale l'organizzazione e la coordinazione a livello di squadre di soccorso.

Occorre essere inseriti in una rete di soccorso strutturata, diversamente la buona volontà del singolo, sganciato dalle procedure di intervento già definite, per quanto apprezzabile potrebbe trasformarsi in altro disagio per la popolazione colpita dalla catastrofe e per gli stessi soccorritori.

In ogni caso è importante che l'intervento si svolga all'interno di un gruppo perché questo è il principale fattore di protezione per lo Psicologo stesso, in quanto miglior strumento tecnico nell'elaborazione della relazione transferale e controtransferale fra la vittima e il singolo soccorritore.

La Psicologia dell'Emergenza non rappresenta uno sbocco professionale remunerato, ma semplicemente una forma di volontariato: gli Psicologi hanno diritto a un rimborso forfettario e onnicomprensivo, al vitto e all'alloggio previsto dalle strutture della protezione civile.

Conclusioni

Essere uno Psicologo dell'Emergenza, nel contesto di eventi macroscopici, vuol dire riuscire a togliersi la veste del clinico in "tailleur" dietro alla scrivania, per mettere la "tuta" e aiutare le vittime direttamente sul luogo del disastro, entrando in empatia con loro e soprattutto diventando parte integrante della comunità colpita dall'evento critico.

Psicologo dell'Emergenza non ci si improvvisa.
Le dinamiche, inter e intra-individuali, attivate in risposta a un evento traumatico, e il particolare setting in cui ci si ritrova a operare richiedono una competenza specifica.

Inoltre questo tipo di intervento richiede anche particolari predisposizioni personali, come ad esempio saper gestire lo stress, saper lavorare in gruppo, saper individuare e organizzare le priorità, e soprattutto saper riconoscere i propri limiti.

Avendo vissuto in prima persona come "vittima" una calamità e lavorando nel contesto dell'emergenza "microscopica" - come una comunità per minori in cui mi occupo quotidianamente di bambini e adolescenti che si sono trovati ad affrontare situazioni di emergenza (bambini abusati, bambini che hanno vissuto in situazioni di disagio psicosociale) - mi rendo conto di quanto sia indispensabile una formazione relativa alla Psicologia dell'Emergenza e un'attenta conoscenza di sé.

Bibliografia
  • Di Lorio R., Biondo D., "I soccorritori della mente. Psicologia contemporanea", Giunti, Firenze, 2011
  • Lo Iacono A., Troiano M., "Psicologia dell'emergenza", Editori Riuniti, Roma, 2002
  • Pietrantoni L., Prati G., "Psicologia dell'emergenza", Il Mulino, Bologna, 2009
  • Venturella E., Madeo M., De Pellegrini V., Cafforio G., "Piccolo manuale di giochi e attività da utilizzare con bambini e adolescenti in situazioni di emergenza", Aosta, 2008
  • Zuliani A., "Manuale di psicologia dell'emergenza", Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2006
Altre letture su HT
Commenti: 1
1 francesca emili alle ore 16:39 del 05/12/2013

complimenti per l'articolo. chiaro e utile! Francesca

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