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L'ansia dello psicologo: come gestire l'ansia da prestazione dei primi colloqui con i pazienti

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L'ansia dello psicologo: come gestire l'ansia da prestazione dei primi colloqui con i pazienti

L'articolo "L'ansia dello psicologo: come gestire l'ansia da prestazione dei primi colloqui con i pazienti" parla di:

  • Effetti negativi dell'ansia
    Consigli per affrontare l'ansia dello psicologo
    Ansia da prestazione e autonomia professionale
Psico-Pratika:
Numero 208 Anno 2024

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Articolo: 'L'ansia dello psicologo: come gestire l'ansia da prestazione dei primi colloqui con i pazienti'

A cura di: Luisa Fossati
    INDICE: L'ansia dello psicologo: come gestire l'ansia da prestazione dei primi colloqui con i pazienti
  • L'ansia dello psicologo
  • Come fare? Cinque consigli per uscirne
  • Conclusione
  • Altre letture su HT
L'ansia dello psicologo

Capita spesso, sia a me che ai colleghi che lavorano come psicologi, di sentirsi ansiosi nei primi incontri con i clienti. Questo succede in vari contesti: clinico, psicoterapeutico, diagnostico, organizzativo, e così via. È un'ansia che ci assale quando il cliente sembra disperato, magari dicendo cose come: "Ho provato altri percorsi ma non sono serviti a niente"; "Spero che lei possa aiutarmi, perché finora nulla ha fatto la differenza"; "Non credo nella psicologia, ma mia moglie mi ha convinto a venire"; "Non posso più sopportare di stare così male". Queste frasi possono farci sentire molto ansiosi e possono apparire come una sorta di spada di Damocle: se il cliente non cambia idea è perché non sono bravo.

Tuttavia, l'ansia può diventare un ostacolo nel nostro lavoro perché:

L'ansia dello psicologo: come gestire l'ansia da prestazione dei primi colloqui con i pazienti
  • Riduce la nostra capacità di ascolto. Quando siamo ansiosi, siamo concentrati sulla nostra ansia e perdiamo di vista il cliente. Così, quando il cliente ci dice di non sentire differenze, in termini di benessere, tra il primo e il secondo colloquio, rischiamo di concentrarci più su noi stessi, sulla nostra inadeguatezza e sulle nostre preoccupazioni riguardo all'efficacia, anziché sulle sue parole. In quel momento smettiamo di ascoltarlo veramente.
  • Ci fa ignorare le cose che funzionano. Se ci concentriamo solo su ciò che non funziona o non va bene, rischiamo di non riconoscere i progressi che il cliente sta facendo e di non considerarli importanti.

L'ansia è anche alla base di comportamenti che escono dal setting nella clinica, ad esempio risposte a messaggi fuori orari di lavoro, eccesso di adattamento alle richieste dei clienti o sconti sulla tariffa.
Anche in ambito aziendale il rischio di essere influenzati dall'ansia è altrettanto reale, e i risultati possono essere altrettanto disfunzionali.

Prendiamo ad esempio una situazione tipica di consulenza aziendale: ci viene chiesto di organizzare un training formativo sulla comunicazione per dieci persone del reparto produttivo. Tuttavia, all'ultimo momento, la situazione cambia e vengono aggiunte altre cinque persone da un altro reparto, e l'obiettivo del training si estende alla gestione dei conflitti. Inoltre, solo cinque persone si presentano in aula.
Oppure, l'azienda ci chiede cinque giornate di consulenza per una selezione con dieci candidati, ma all'ultimo momento i candidati diventano dodici e scopriamo di disporre solo di due giorni.
In questi casi, l'ansia può essere molto forte per il desiderio di soddisfare il cliente a tutti i costi per la paura di perderlo. Ci si adatta, così, continuamente a condizioni mutevoli, spesso non in modo ottimale.

Ecco perché è importante riconoscere come l'ansia possa influenzare il nostro lavoro. Quando siamo in ansia, possiamo perdere di vista gli obiettivi e concentrarci troppo sull'adattarci alle richieste del cliente, invece che sul fornire un servizio di qualità. Questo può portare a un'efficacia ridotta delle nostre azioni e a una percezione di inadeguatezza.

Come fare? Cinque consigli per uscirne

Diciamo subito una cosa importante: è fondamentale imparare a dire di no. Soprattutto all'inizio (ma non solo), c'è spesso la tentazione di accontentare i clienti a tutti i costi, spinti anche dal senso di colpa per non sentirsi abbastanza efficaci.
Il rischio di questo atteggiamento è perdere di vista le situazioni o gli incarichi da rifiutare o da limitare. In altre parole, se un paziente o un'azienda chiedono di più, esplicitamente o implicitamente, facendoci sentire i diretti responsabili del loro benessere o del successo del progetto, potremmo finire per accettare tutto e acconsentire alle richieste. Tuttavia, è importante ricordare, ad esempio, che in qualsiasi intervento in studio, per il benessere psicologico, ci sono sempre almeno due persone coinvolte (cliente e psicologo) e entrambi devono impegnarsi per raggiungere un obiettivo comune.
Allo stesso modo, quando ci si trova di fronte a un cliente, in questo caso un'azienda, che chiede aiuto ma si aspetta che noi siamo i soli responsabili del successo dell'intervento, è opportuno fermarsi e valutare se ci sia effettivamente spazio per un intervento efficace.
I clienti che non intendono impegnarsi e si aspettano un intervento magico dall'esterno rischiano di portare a casa risultati deludenti; questo non per la nostra mancanza di efficacia, ma perché mancava fin dall'inizio la motivazione e la spinta che il lavoro richiede.

Inoltre, se non ci sono le condizioni giuste in termini di tempo, costi e metodi per lavorare efficacemente, è necessario valutare la possibilità di dire di no o di rivedere gli accordi del progetto. Questo vale soprattutto in ambito aziendale.
Ho sentito di giornate di selezione che duravano oltre dodici ore, dove ai consulenti veniva chiesto di incontrare più di trenta persone; ho visto programmi di formazione saltati dalla domenica al lunedì con l'obbligo di riorganizzarli entro la stessa settimana; ho saputo di clienti che chiamavano i loro psicologi o terapeuti alle 22 di sera o di domenica senza alcun limite.
E a tutto questo spesso ci si adatta per la paura di non essere abbastanza efficaci o di perdere un cliente.

In queste situazioni è essenziale imparare a dire di no e a stabilire dei limiti per lavorare al meglio. Infatti, accontentare tutte le richieste di un cliente non solo porta lo psicologo a provare ansia, frustrazione e stanchezza (dannosi per qualsiasi relazione terapeutica), ma induce anche il cliente (sia privato che aziendale) a non porre limiti al proprio problema, senza comprendere cosa sia realistico chiedere e cosa no.
Il risultato può essere devastante: lo psicologo si stanca molto, si sente sempre più frustrato per non essere mai abbastanza efficace e il cliente non risolve mai completamente il suo problema perché non ne assume mai totalmente la responsabilità.

Un'altra risorsa importante per sganciarsi dall'ansia da prestazione sono le sessioni di supervisione e i confronti con colleghi. Scegliete supervisori e colleghi che vi aiutino a imparare dagli errori e a modificare i vostri comportamenti. Evitate, invece, persone che si limitano a giudicarvi e ad alimentare il senso di inadeguatezza. Non vi sono di alcun aiuto.
Chiedetevi sempre se le richieste che vi arrivano sono in linea con i vostri tempi di lavoro. Personalmente non riesco a lavorare in situazioni in cui si cambiano spesso le carte in tavola, con persone che spostano di continuo gli appuntamenti o che rivedono costantemente le cose da fare in corsa. Non dico che sia sbagliato farlo, però negli anni ho capito che queste condizioni sono scomode per me e mi rendono poco efficace, quindi ho imparato a chiarire subito che non sono disponibile a lavorare quando ci sono condizioni di questo tipo.

La formazione è, inoltre, fondamentale per consolidare la sicurezza professionale, ma è altrettanto importante evitare la "sindrome del non formato", ovvero il sentimento di non essere mai abbastanza preparati che porta a cercare continuamente nuovi corsi nella speranza di trovare la tecnica o il metodo miracoloso che ci renda sicuri di noi. Nessun metodo è magico: è importante scegliere quelli che ci fanno sentire più sicuri ed efficaci in base alle nostre inclinazioni, anche se è normale passare attraverso periodi iniziali in cui con i nuovi metodi non abbiamo tanta dimestichezza. Imparare richiede esperienza, studio e confronto, e tutto ciò richiede tempo.

Infine, ricordatevi sempre che c'è un Ordine professionale regionale a cui vi potete rivolgere in caso di dubbi di natura etica o deontologica. Inoltre, gli Ordini professionali organizzano spesso corsi, momenti di incontro o di formazione su argomenti direttamente connessi alla professione. Parteciparvi può essere utile per avere informazioni, conoscere colleghi con cui confrontarsi e chiedere supporto professionale.

Conclusione

L'ansia da prestazione da un lato parla anche della nostra determinazione nel voler portare valore e benessere nella vita delle persone. Tuttavia occorre fare un passo indietro e non perdere la visione di insieme. Cosa mi consente di lavorare bene e cosa no? Avere chiaro questo consente di lavorare in condizioni di efficacia per noi e per i nostri clienti, così come ci ricorda l'Articolo 6 del nostro Codice Deontologico sull'Autonomia Professionale:
"La psicologa e lo psicologo accettano unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la loro autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informano il loro Ordine regionale. La psicologa e lo psicologo salvaguardano la loro autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; sono perciò responsabili della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni e delle interpretazioni che ne ricavano. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline, la psicologa e lo psicologo esercitano la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze."

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