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La Psicologia Analitica e le nuove prospettive sul sogno

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La Psicologia Analitica e le nuove prospettive sul sogno
Il punto di vista di Freud, Jung e Perls a confronto

L'articolo "La Psicologia Analitica e le nuove prospettive sul sogno" parla di:

  • Visione statica-causalistica, "Punto zero" e "Individuazione"
    Vita conscia, attività psichica inconscia e compensazione
    Lavoro analitico sul sogno, tipi, funzioni e caratteristiche
Psico-Pratika:
Numero 99 Anno 2013

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Articolo: 'La Psicologia Analitica e le nuove prospettive sul sogno
Il punto di vista di Freud, Jung e Perls a confronto'

A cura di: Valentina Sbrescia
    INDICE: La Psicologia Analitica e le nuove prospettive sul sogno
  • Introduzione
  • La visione junghiana
  • L'essenza dei sogni
  • I rapporti con l'inconscio
  • Classificazione dei sogni
  • Tecnica analitica
  • Considerazioni conclusive
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT
Introduzione

In questo articolo mi piacerebbe raffrontare le diverse teorie moderne sul sogno, in particolare la teoria della Psicologia analitica di Carl G. Jung, con alcuni riferimenti alla teoria classica della Psicoanalisi di Sigmund Freud e alla più recente Psicologia della Gestalt di Fritz Perls. In effetti, come vedremo, sebbene Freud e Jung siano partiti da posizioni simili, è proprio la teoria sui sogni che li divide in modo più marcato.

Le osservazioni hanno portato infatti i due a conclusioni decisamente differenti.
Credo che questo si sia verificato in quanto le differenze tra le due personalità hanno portato a punti di osservazione coerenti con le visioni del mondo di cui ciascuno fu portatore.

Se da un lato Freud applicò alla realtà un punto di vista riduttivistico che lo portò a cercare di decifrare i segni presenti nei sogni, Jung, da un punto di vista teleologico e finalistico, si concentrò invece a rintracciare quale fosse la funzione dei sogni e quindi a decifrarne i simboli.

Segni e simboli infatti rimandano a significati ben diversi: i primi vengono considerati significanti universali, i secondi rimandano a contenuti strettamente personali del sognatore, che ne riequilibrano la personalità. Naturalmente, la diversità teorica si riflette anche in una diversità pratica e quindi in metodi di analisi pratica del contenuto onirico diversi.

Sebbene Perls, infine, discenda direttamente la sua teorizzazione da Freud, presso la cui scuola si è formato, presenta sicuramente più punti di contatto con la teoria junghiana. Tra questi, come vedremo in seguito, la considerazione del sogno come elemento equilibratore della personalità ed espressivo di ciò che è attualmente inconscio nell'individuo.

In altri termini anche la personalità di Perls si dirige verso un tipo di osservazione dei fatti psichici più attenta a ciò che l'organismo, nella sua interezza, intende raggiungere come scopo, e non invece all'analisi di segmenti di vita che non costituiscono altro che manifestazioni a sé stanti.

Simili sembrano essere anche gli stati psichici esito dello sviluppo personale.
Il punto zero gestaltico e l'individuazione junghiana; vedremo poi in seguito che cosa questi concetti descrivano.

Ulteriore punto di contatto tra Jung e Perls, a mio parere, è la considerazione dell'individuo, e quindi anche della sua vita psichica, come facenti parte di un processo naturale condiviso da tutto ciò che è vivo.

Non intendo con questo suggerire che qualunque organismo vivente abbia una vita psichica pari a quella umana, ma bensì che tutto ciò che vive condivida la modalità di funzionamento per cui tende irreversibilmente verso la completezza e l'equilibrio.

Questa tendenza per altro è stata riconosciuta anche da Freud con il concetto idraulico di psiche, per cui la risposta a un istinto serve a riequilibrare l'energia psichica che lo sottende.

La visione junghiana

All'incirca negli stessi anni in cui Freud faceva le sue ricerche (i primi anni del '900) e ne diffondeva i risultati, un giovane Psichiatra svizzero, di nome Carl Gustav Jung, si laureava ed entrava a lavorare nella clinica psichiatrica di Zurigo, prima come assistente e poi come aiuto.

In questo contesto Jung entra in contatto con le opere di Freud e ne rimane impressionato al punto da dedicare alle sue scoperte uno studio approfondito e sottoporle, lui stesso, a prova scientifica.

Egli infatti inizia la sua carriera scientifica con una tesi di laurea sulla dementia praecox e con gli esperimenti sui "complessi" di idee. Osserva infatti che le emozioni, così come i pensieri delle persone, sembrano aggregarsi in insiemi omogenei come le costellazioni, i cui insiemi riconosciamo nel cielo notturno e a cui attribuiamo dei nomi che li indicano nel complesso appunto.

Con ammirazione e fiducia utilizza le tecniche psicoanalitiche nella cura dei propri pazienti, ma ben presto decide di distaccarsi dalla scuola freudiana ortodossa in quanto le sue osservazioni lo portano verso un approccio originale e personale, denominato poi "Psicologia Analitica".

Una delle ragioni teoriche che lo portò a questo doloroso distacco, da colui che fino ad allora aveva considerato un Maestro, è proprio la teoria sui sogni. All'interno di questa vengono considerati in modo diverso alcuni elementi di base quali lo stesso metodo di analisi, ma anche la considerazione della simbologia onirica e la funzione dei sogni.

L'essenza dei sogni
La Psicologia Analitica e le nuove prospettive sul sogno

Jung parla del sogno come di un "bambino difficile", riferendosi così alla grande cautela che occorre utilizzare nel lavoro di analisi sul fenomeno onirico. Egli stesso riporta:

«La comprensione dei sogni è un'impresa così ardua che mi sono imposto già da tempo come regola, quando qualcuno mi racconta un sogno e mi chiede che cosa ne penso, di rispondere (e la risposta è indirizzata anzitutto a me stesso): "Non ho idea di cosa significhi questo sogno". Dopo questa constatazione posso procedere all'analisi del sogno».
(Jung C.G., "L'essenza dei sogni", pag. 203)

L'interesse di Jung per i il mondo onirico non deriva però dai sogni in quanto tali, ma da quanto questi possono dire sul funzionamento della psiche in generale.

Ciò che gli interessa sono le informazioni che egli può ottenere sul funzionamento dei complessi attraverso lo studio dei sogni, e non invece quali siano i complessi. Quest'ultima informazione sembra essere stata invece il maggiore interesse di Freud nello studio su questo argomento.

Jung cerca di scoprire in quale modo l'inconscio si comporti con i complessi di una persona, e in che modo il sogno esprima ciò che succede nel mondo interiore della stessa.

Ritiene infatti, a differenza di Freud, che il sogno non nasconda nulla, che non inganni colui che si appresta a osservarlo, ma che semplicemente vada in qualche modo "tradotto" attraverso i simboli propri di ogni persona e cultura.

Il sogno cioè permette a quella parte del complesso inconscio di iniziare un dialogo con la coscienza; rappresenta un luogo di incontro tra le due polarità della vita psichica che sono lo spirito e gli istinti: è espressione dei complessi attivi nell'individuo in un dato momento.

Il sogno costituisce esso stesso il centro unificatore in cui si esprime la totalità di una persona, rappresenta forse l'utopia dell'unificazione del Sé.

Come dice Jung, quando riesce questo incontro miracoloso di tutte le polarità in un unico centro, nasce il «bambino divino» e cioè il simbolo, che appunto è quel solo elemento che rappresenta tutta la totalità. Inoltre Jung ritiene che il sogno sia un elemento naturale e in quanto tale sottoposto alla legge di natura. Per questa ragione ritiene che il sogno possa essere considerato almeno da due punti di vista:

  1. quello causale, cioè della scienza positiva, riduttivo, freudiano;
  2. quello finalistico, intendendo con questo termine semplicemente la tendenza effettivamente presente nella psiche, di giungere a un fine.

Si realizza qui una nuova frattura con la visione freudiana: la considerazione finalistica del sogno di Jung si contrappone alla visione riduzionistica di Freud.

Jung però sottolinea come la contrapposizione con Freud non intenda negare le cause del sogno, ma sia legata a una diversa interpretazione degli stessi materiali onirici.

La domanda che Jung si pone davanti ai sogni è infatti: «A che serve questo sogno?
Che effetto vuole ottenere?»
, non gli interessa scoprire di quali elementi sia la somma!

È questa infatti la domanda fondamentale cui secondo Jung risponde tutta la natura, sia quella fisica che quella psichica. In opposizione quindi all'opinione secondo cui i sogni sarebbero meri soddisfacimenti di desideri, Jung ritiene che il sogno sia:

«Un'autorappresentazione spontanea della situazione attuale dell'inconscio espressa in forma simbolica».
(Jung C.G., "Considerazioni generali sulla psicologia del sogno", pag. 225)

In questo modo evita di irrigidire il senso delle rappresentazioni oniriche: egli spiega cioè che effettivamente, come ritiene Freud, il linguaggio del sogno è di tipo arcaico e pieno di tutte le analogie più dirette alla sessualità, ma che non necessariamente le rappresentazioni coincidono ogni volta con un effettivo contenuto sessuale.

Quindi se una prima presa di distanze da Freud si rinviene nell'utilizzo di una prospettiva finalistica anziché causalistica, un secondo punto di distacco è sicuramente quello del linguaggio onirico.

Come vedremo più avanti infatti per Jung il sogno utilizza simboli portatori di una quantità di significati plausibili, per Freud invece segni il cui significato può essere decodificato a priori e per la maggior parte rimanda a contenuti strettamente sessuali.

Per una personalità come quella di Jung questo è sicuramente un approccio troppo riduttivo e concretistico.

Andando ancora oltre, Jung mette in discussione anche la funzione dei sogni ritenendo che questa non sia riducibile, ancora una volta, al soddisfacimento allucinatorio di desideri rimossi, ma che sia invece quella che lui definisce funzione compensatoria.

Jung parte dalla constatazione che - poiché il sogno è l'espressione più frequente dell'inconscio - è proprio dal sogno che ricaviamo il maggior numero di informazioni sulla psiche inconscia.

Contemporaneamente, quasi mai si osserva una corrispondenza tra il significato dei sogni e gli atteggiamenti coscienti, ma anzi più spesso si possono esaminare deviazioni caratteristiche che permettono di supporre che l'inconscio - matrice dei sogni - possieda una capacità di funzionamento autonoma rispetto alla coscienza.

Il termine che per Jung definisce nel miglior modo questa funzione inconscia, è quello di "compensazione". Il concetto di compensazione va però distinto da quello di complementarietà.

Il complemento, spiega Jung, è un concetto troppo limitante e insufficiente a spiegare la funzione onirica poiché indica un rapporto di integrazione forzata, in cui la somma delle parti deve necessariamente raggiungere una quantità definita a priori (come dire che la somma degli angoli complementari di un cerchio deve essere necessariamente 360°).

La compensazione invece implica un confronto di dati o punti di vista differenti, dal quale emerge una posizione più equilibrata oppure una rettifica delle precedenti, non adeguate allo stato attuale delle cose.
In altre parole la somma algebrica, e non aritmetica, delle parti porta a un risultato variabile di volta in volta adeguato allo stato di cose presente in un dato momento.

Questa funzione equilibratrice quindi è in stretto rapporto con l'atteggiamento cosciente: più quest'ultimo è rigido, più la compensazione inconscia è intensa e stridente.
Lo scopo quindi è raggiungere uno stato d'integrazione che assomiglia a quello che più tardi la Psicologia della Gestalt definirà "punto zero".

In ogni caso Jung identifica tre possibilità compensative:

«Se l'atteggiamento della coscienza verso la situazione vitale è in larga misura unilaterale, il sogno si situa all'estremità opposta. Se la coscienza ha un atteggiamento relativamente vicino al "punto medio", il sogno si accontenta di varianti. Ma se l'atteggiamento della coscienza è "corretto" (adeguato), il sogno coincide con la tendenza della coscienza e quindi la sottolinea, senza perdere però la sua caratteristica autonomia».
(Jung C.G., "L'essenza dei sogni", pag. 205)

Il raggiungimento di questo equilibrio costituisce perciò lo scopo dello sviluppo psichico, secondo Jung, la cui meta finale è quella che lui definisce «individuazione», come vedremo in relazione allo studio dei sogni in serie.

    A questo punto c'è da chiedersi come mai, se la funzione onirica è tanto importante, i sogni sono incomprensibili?

Jung risponde a questo interrogativo semplicemente mettendo in evidenza che la natura, e quindi i suoi fenomeni, non esistono in funzione dell'uso che noi ne facciamo, e quindi non hanno nessun interesse a offrirsi alla nostra comprensione "gratuitamente"!

    E allora, se noi non siamo in grado di interpretare correttamente i sogni, cosa ne è della loro funzione compensatoria? È ugualmente efficace?

A questa obiezione Jung ribatte con la constatazione che sono molte le cose che agiscono su di noi e sul nostro atteggiamento cosciente, senza che noi ce ne rendiamo conto (oggi useremmo l'esempio della pubblicità commerciale!), ma che sicuramente una comprensione piena rende più efficace il processo.

È infatti ormai noto come la vita inconscia abbia un effetto sulle scelte consce dell'uomo, senza per questo diventare consapevole e quindi "perdere" la sua natura. Infatti la comprensione non è un processo esclusivamente intellettuale, poiché l'uomo può essere influenzato in maniera estremamente persuasiva da innumerevoli altri elementi.

In ogni caso è possibile che in condizioni estreme le compensazioni oniriche diventino così minacciose da provocare paura e quindi il risveglio nel sognatore, che può giungere fino all'insonnia.

Una compensazione - e cioè la presa in considerazione di tutti i punti di vista possibili su un determinato argomento - è infatti assolutamente indispensabile a un agire ordinato nella veglia. Riassumendo:

«Il sogno ci trasmette quindi in linguaggio metaforico, ossia in un'evidente rappresentazione sensoriale, pensieri, giudizi, concezioni, direttive, tendenze, che a causa della rimozione o per semplice ignoranza erano inconsci. Poiché questi pensieri sono un contenuto dell'inconscio, e poiché il sogno è un derivato dei processi inconsci, esso non contiene una rappresentazione dei contenuti inconsci in generale, ma solo di determinati contenuti, che sono attirati e scelti per via di associazione della situazione momentanea della coscienza».
(Jung C.G., "Considerazioni generali sulla psicologia del sogno", pag. 217)
I rapporti con l'inconscio

Una volta quindi che si sia stabilito che i sogni sono espressione di una tendenza inconscia all'equilibrio, è necessario stabilire cosa Jung intenda per "inconscio" e quali rapporti questo intrattenga con i sogni e con la vita cosciente, così da validare la stessa teoria sui sogni.

In primo luogo quindi l'inconscio viene considerato un elemento naturale e, in quanto tale, moralmente, esteticamente e intellettualmente indifferente. Diventa pericoloso solo quando tentiamo di eliminarlo radicalmente dalla nostra vita, sostenendo una posizione cosciente completamente opposta che tende a negare e reprimere l'inconscio.

Al contrario la sua pericolosità tende a diminuire nel momento stesso in cui si cominciano ad assimilare i contenuti che erano inconsci. Ed è proprio in quest'ottica di autoregolazione del sistema psichico che si inseriscono le compensazioni oniriche.

Anche questo concetto somiglia in certa misura all'idea gestaltica di "autoregolazione organismica", ossia la tendenza naturale dell'organismo nel suo complesso a soddisfare i propri bisogni. Il principio gestaltico di autoregolazione organismica determina quindi l'emergere in figura, nella psiche individuale, delle situazioni irrisolte in modo che possano essere completate e tornare poi sullo sfondo della vita psichica quotidiana.

Il rapporto dell'uomo in quanto organismo naturale con l'ambiente è infatti un continuo processo di riequilibrio tra i bisogni e la loro soddisfazione.
Jung infatti, dicevamo, concepisce la vita psichica come un fenomeno naturale, equiparandola alla vita del corpo, per cui per ogni iperfunzione si determinano necessariamente delle compensazioni.

Naturalmente queste compensazioni non hanno lo scopo di sostituire ciò che è inconscio a ciò che non lo è, quanto piuttosto giungere a una integrazione per quanto possibile consapevole degli opposti (altro elemento di vicinanza con l'approccio gestaltico):

«Se a qualcuno viene in mente - ed è proprio ciò che i miei critici temono - di sostituire il contenuto cosciente con un contenuto inconscio, naturalmente gli riesce di rimuovere il contenuto cosciente, e, per conseguenza, questo contenuto, prima cosciente, assume nell'inconscio il ruolo compensatorio. L'inconscio muta così completamente volto e diventa quanto mai ragionevole, in clamoroso contrasto con la posizione che aveva in precedenza. [...]
Per questo ogni sogno è un organo d'informazione e di controllo, ed è quindi lo strumento più efficace per la formazione della personalità. [...]
Per tutti questi motivi io mi attengo al principio euristico di porre a me stesso, ogniqualvolta cerco d'interpretare un sogno, la domanda: qual è l'impostazione cosciente che è compensata dal soggetto?».
(Jung C.G., "L'applicabilità pratica dell'analisi dei sogni", pag. 242)

Cosa quanto mai importante è poi la considerazione che non solo i sogni sono prodotti dall'inconscio, ma lo sono anche i sintomi psicogeni: anch'essi infatti derivano da una mancata coincidenza tra coscienza e inconscio, coincidenza che normalmente dovrebbe sussistere.

In questo senso quindi l'analisi dei sogni riveste una fondamentale importanza pratica in quanto costituisce strumento per restaurare una concordanza tra coscienza e inconscio: i sogni sono la diretta espressione delle attività psichiche inconsce.
Questa è per Jung la giustificazione teorico-scientifica del lavoro terapeutico sul sogno.

Secondo la scuola freudiana l'atto di spiegare il sogno - e quindi attrarre completamente alla coscienza i contenuti inconsci, cioè il fattore etiologico - è fondamentale ai fini della terapia.

Secondo Jung invece questa ipotesi racchiude in sé gran parte della vecchia teoria traumatica. Egli ritiene infatti che, sebbene il fatto traumatico sia alla base di numerose nevrosi, non si può pensare che sia alla base di qualunque fenomeno nevrotico.

In altre parole Jung ritiene che il trauma, seppure esistente, non necessariamente e non meccanicisticamente implichi lo sviluppo di una malattia nevrotica. Considerando infatti solo la causa ci si concentra sul passato e non invece sullo "scopo" del sogno o del sintomo, che è altrettanto essenziale per il paziente.

Per questa ragione - e anche a partire dalla considerazione del fatto che i sogni attestano per lo più la situazione esistenziale del soggetto in quel dato momento - Jung ritiene che soprattutto quelli relativi al momento iniziale della terapia abbiano importanza, sia a livello diagnostico ma spesso anche a livello prognostico, ma che non necessariamente e soprattutto non a tutti i costi questi elementi debbano diventare disponibili per il soggetto.

Come vedremo le interpretazioni in un contesto terapeutico non possono non tener conto dell'effetto che queste hanno sul paziente. Scrive infatti Jung:

«... i sogni e in particolar modo i sogni iniziali (ossia quelli che coincidono con l'inizio del trattamento) rivelano spesso in forma indubbia il fattore etiologico essenziale. [...] Già abbiamo veduto, che l'etiologia risulta chiaramente, ma che in pari tempo è data anche una prognosi o un'anticipazione nonché un'indicazione terapeutica. Vi sono poi numerosissimi sogni iniziali che in luogo di riferirsi all'etiologia trattano problemi di tutt'altro genere; ad esempio l'atteggiamento del paziente nei confronti del terapeuta».
(Jung C.G., "L'applicabilità pratica dell'analisi dei sogni", pagg. 236-237)
Classificazione dei sogni

In base all'esperienza maturata nell'analisi dei sogni propri e dei suoi pazienti, Jung osserva la presenza di alcuni sogni tipici. Non intende però esagerarne l'importanza, in quanto se vengono letti in un'ottica finalistica, e quindi con attenzione ai simboli, i sogni perdono molta dell'importanza che una lettura causalistica - che cioè cerca significati fissi da attribuire agli elementi onirici - tende a conferirgli.

Ciò che è tipico, nei sogni, è la comparsa di motivi ed elementi comparabili ai motivi mitologici. Parecchi miti si trovano infatti nei sogni anche di persone che non li conoscono, e spesso hanno esattamente lo stesso significato (si pensi ad esempio al mito dell'eroe e delle sue peripezie, che si ritrova nei miti di quasi tutte le culture ma anche nella struttura di molti dei nostri sogni).

La comparazione quindi di motivi onirici tipici e di motivi mitologici porta Jung a pensare che il pensiero onirico vada concepito come un modo di pensare filogeneticamente più antico. Infatti, se è vero che l'essere umano porta sul suo corpo i segni della propria evoluzione, non c'è motivo per non considerare che porti con sé anche i segni dell'evoluzione del suo spirito.

È evidente però che non tutti i sogni hanno la stessa importanza.

Mentre Freud distingue tra sogni dal basso e sogni dall'alto, [Ndr. si veda il precedente articolo "La Psicoanalisi e la "riscoperta" del sogno" pubblicato su HumanTrainer], Jung utilizza invece una distinzione presa dai popoli antichi tra piccoli sogni e grandi sogni.
(Nei suoi testi non specifica a quali popoli si riferisse, ma li definisce "i primitivi").

La differenza è che i "piccoli sogni" sono costituiti dai frammenti della fantasia soggettiva, compaiono ogni notte e provengono dalla sfera personale dell'individuo. Per questa ragione esauriscono il loro significato nella vita quotidiana e vengono dimenticati facilmente: rappresentano la maggior parte dei nostri sogni e quando qualcuno ci chiede di raccontarli ci rendiamo conto di non ricordare alcun particolare utile a farlo.

I "grandi sogni" invece sono pieni di significati, i quali possono essere ricordati anche per molto tempo, per tutta la vita, a causa della enorme forza delle loro rappresentazioni simboliche. Questi sogni in genere costituiscono ed esprimono il nucleo della vita psichica della persona, e le loro immagini appartengono all'eredità psichica dell'essere umano, i miti quindi.

    Ricordo ad esempio un sogno che rimarrà per sempre indelebile nel mio ricordo in cui, tuffandomi in un lago scuro, riemergevo stupita in un battistero d'oro all'interno di una chiesa medievale, attorniata di frati minori incappucciati.

    Fu naturalmente il simbolo di una rinascita, ma i particolari interpretativi, come capirete, preferisco tenerli per me.

In ogni caso, è degno di nota il fatto che colui che sogna può perfettamente ignorare l'origine dei propri simboli, e questo è valido soprattutto per quei sogni che partecipano al processo di individuazione, i quali contengono i mitologemi che Jung definisce "archetipi".
Per mitologema si intende l'elemento minimo riconoscibile di un complesso di materiale mitico, il quale, nonostante le infinite variazioni apportate dalle più diverse culture, esprime sempre di fatto lo stesso racconto primordiale.

Proprio questa sua caratteristica di universalità rende il mitologema "archetipico".
Queste forme specifiche infatti sono rintracciabili in tutte le culture e in tutti i tempi, in quanto costituiscono le forme essenziali del "sentire" e dell'esperienza umana.
In questo senso i sogni sono solo in parte un'esperienza "soggettiva", ma portano con sé anche contenuti che possiamo definire, per la loro ubiquità, "oggettivi".

Questi grandi sogni si presentano perlopiù in periodi decisivi della vita, e cioè nella prima giovinezza, durante la pubertà, nella mezza età e nel momento dell'avvicinarsi della morte. Solitamente questo genere di sogni presenta numerosi mitologemi caratteristici del "mito dell'eroe", rappresentando le sue peripezie e la sua natura semidivina.

Le prove cui viene sottoposto sono in genere quelle tipiche dei percorsi iniziatici e presentano figure mitologiche come:

  • draghi,
  • demoni,
  • animali soccorrevoli.

Ma anche:

  • il vecchio saggio,
  • l'uomo bestia,
  • il tesoro nascosto,
  • l'albero dei desideri,
  • la fontana,
  • la caverna,
  • il giardino difeso dal muro.

Tutte quelle figure che non di rado si rintracciano anche nelle fiabe e nei processi alchemici. Tutte esperienze quindi per cui non è rintracciabile un nesso con l'esperienza quotidiana.

«La ragione di ciò è che si tratta della realizzazione di una personalità che non esisteva ancora, ma che è in atto di divenire».
(Jung C.G., "L'essenza dei sogni", pag. 208)

Per quanto riguarda la forma, i sogni possono essere delle impressioni fulminee o dare l'idea di essere infiniti, ma per la grande maggioranza questi ricalcano la struttura di un dramma. Sono infatti evidenziabili alcune fasi specifiche.

Il racconto del sogno comincia in genere con una "indicazione di luogo", poi viene fornita quella relativa ai "protagonisti".

Le indicazioni temporali sono invece più rare.

  1. Questa prima fase viene nominata da Jung con il nome di "esposizione", e indica spesso quindi la situazione iniziale.
  2. La seconda fase è quella dello "sviluppo", in cui la situazione si complica e non si sa che cosa sta per succedere.
  3. La terza fase è quella del "culmine" o della "peripezia", in cui accade qualcosa di decisivo, c'è un cambiamento radicale.
  4. La quarta e ultima fase è quella della "soluzione", ossia del risultato del lavoro onirico.

In alcuni sogni quest'ultima fase manca.
Quando quindi si sono identificate queste fasi, si è semplicemente abbozzata la situazione di partenza del sogno.

Per quanto concerne invece la questione relativa al simbolismo, oggetto di tante discussioni, ancora una volta la sua valutazione muta a seconda che si prediliga un approccio causale o uno finalistico.

    Per la concezione freudiana e causalistica infatti le immagini del sogno prendono il via da un desiderio onirico rimosso.

    Nella concezione finalistica invece le immagini hanno un loro proprio valore, per cui l'elemento significante si trova nella diversità e univocità delle manifestazioni simboliche.

In altri termini i significati delle immagini non sono fissi e universali, ma recano in se stesse il loro significato ed è grazie a quello che emergono nel sogno. Detto questo, Jung individua quattro categorie principali di sogni:

  1. Sogni compensatori
  2. Sogni prospettici
  3. Sogni riduttivi
  4. Sogni traumatici

Infine individua sogni in cui si manifestano fenomeni particolari, come per esempio i sogni telepatici e quelli in cui entra in gioco la criptomnesia, in altri termini il plagio inconsapevole (o errore dell'Eureka!) si realizza quando generiamo un'idea o una parola o qualcos'altro, credendo che sia una nostra ideazione originale, mentre in realtà non lo è affatto e, al contrario, è già stata espressa tempo prima da qualcun altro o anche da noi stessi. Sono quindi, per la Neuropsicologia, dei classici errori di memoria.

In riferimento ai sogni di compensazione Jung riconosce il debito verso Freud ma allo stesso tempo se ne discosta, ancora una volta, per l'utilizzo di un punto di vista differente:

«Sono quindi giunto alla persuasione che la concezione freudiana, secondo la quale i sogni avrebbero una funzione essenzialmente volta ad appagare i desideri e a conservare il sonno, è troppo angusta, anche se l'idea fondamentale - quella di una funzione biologica compensatrice - è sicuramente esatta. Questa funzione compensatrice ha poco a che fare con lo stato di sonno in sé, e il suo significato fondamentale invece è in rapporto con la vita cosciente. I sogni si comportano in maniera da compensare la situazione cosciente di volta in volta presente».
(Jung C.G., "Considerazioni generali sulla psicologia del sogno", pag. 219)

Un contenuto compensatore è particolarmente intenso quando ha un'importanza vitale per l'orientamento cosciente, e arriva quindi a svegliare il sognatore. Naturalmente la finalità del contenuto manifesto non è immediatamente deducibile dall'osservazione, ma per approdare ai fattori propriamente compensatori è necessario sottoporre ad analisi il contenuto manifesto.

In ogni caso però è bene ricordare che la compensazione ha senso solo in rapporto all'atteggiamento cosciente della persona e sarebbe banale affermare - dice Jung - che una persona pessimista faccia solo sogni allegri e ottimisti.

I sogni prospettici assolvono a una funzione completamente diversa da quelli compensatori. Consistono dunque in un'anticipazione di future azioni consce che affiora nell'inconscio, una sorta di "schizzo preliminare".

Sarebbe perciò ingiustificato chiamarli sogni profetici perché non possono esserlo di più di una prognosi medica o una previsione meteorologica, si tratta cioè di un'ipotesi sul futuro più che di una affermazione circa quello che verrà.

Quando si tratta di stabilire una prognosi, il sogno può quindi trovarsi spesso in una situazione molto più favorevole che non la coscienza. Quando cioè l'atteggiamento cosciente è inadeguato sia soggettivamente che oggettivamente, la funzione solitamente compensatrice del sogno assume una maggiore importanza, diventa quasi una funzione di guida, in grado cioè di dare all'atteggiamento cosciente una nuova direzione, migliore della precedente.

I sogni riduttivi sono quei sogni che si manifestano in individui in cui l'atteggiamento cosciente in tema di adattamento manifesta un aspetto iper-, cioè persone che sembrano migliori e più valide di quanto in realtà non siano:

«Uomini del genere salgono su un gradino più alto di quello adeguato alla loro natura, grazie per esempio all'azione di un ideale collettivo o all'attrazione esercitata da un pregiudizio collettivo a sostegno della società. In sintesi, essi non sono interiormente all'altezza della loro figura esteriore, per cui in tutti questi casi l'inconscio ha una funzione compensatrice in senso negativo, ossia una funzione riduttiva. È chiaro che una riduzione o svalutazione svolge in questi casi una funzione compensatrice anche nel senso di un autogoverno, nel senso cioè che questa funzione riduttiva può essere anche eminentemente prospettica [...] Il sogno riduttivo ha un effetto tutt'altro che preparatorio o costruttivo o sintetico: esso è anzi un fattore di smembramento, di dissoluzione, di svalutazione, perfino di distruzione e di stroncatura. Con ciò non si vuole dire naturalmente che l'assimilazione di un contenuto riduttivo debba avere assolutamente un effetto distruttivo sull'individuo considerato come un tutto, al contrario: l'effetto è spesso quanto mai salutare, a patto che ne venga toccato solo l'atteggiamento e non la personalità intera. [...] È quindi consigliabile, ai fini di un'esatta qualificazione, definire riduttivi questi sogni e definire la funzione corrispondente come funzione riduttiva dell'inconscio, benché a stretto rigore di termini si tratti sempre della stessa funzione compensatrice».
(Jung C.G., "Considerazioni generali sulla psicologia del sogno", pag. 221)

Infine, per quanto riguarda i sogni reattivi, Jung inserisce in questa categoria tutti quei sogni che sembrano non essere altro, in sostanza, che la riproduzione di un'esperienza cosciente densa di affetti.

In questi casi si può trattare semplicemente del fatto che un determinato elemento simbolico era sfuggito all'individuo e, in seguito a una corretta analisi, il sogno non viene più riprodotto.

Sono di questo tipo i sogni post-traumatici, per cui un trauma oggettivo ripresenta più volte sempre le stesse immagini, ma anche quelli in cui determinati processi hanno originato un trauma psichico le cui forme rappresentano anche una lesione fisica del sistema nervoso.

Si pensi per esempio ai sogni dei reduci di guerra che hanno subito un grave shock.

In altre parole, il forte affetto che caratterizza questi avvenimenti, fa sì che divengano in qualche misura autonoma; per questo vengono frequentemente riattivati, nel tentativo di "scaricare" a poco a poco questa energia e fare in modo che tornino a sottomettersi per tale via alla gerarchia psichica. Tuttavia questo tipo di sogno non può essere definito correttamente un sogno compensatore.

«Non è facile decidere, nel caso pratico, se un sogno è sostanzialmente reattivo o se si limita a riprodurre simbolicamente una situazione traumatica.
La risposta può venire dall'analisi, perché nel secondo caso la riproduzione della scena traumatica cessa immediatamente quando riceve un'interpretazione esatta, mentre la riproduzione reattiva non viene affatto turbata dall'analisi del sogno. [...] È ovvio che gli stessi sogni reattivi s'incontrano anche, in modo particolare, in presenza di stati fisici morbosi, quando per esempio violenti dolori influenzano in maniera determinante il decorso del sogno».
(Jung C.G., "Considerazioni generali sulla psicologia del sogno", pag. 223)
Tecnica analitica

Il lavoro analitico sul sogno ha quindi lo scopo di creare un'integrazione tra due atteggiamenti opposti e ugualmente rigidi, e in questo senso non è privo di pericoli: il sognatore infatti, di norma, mostra una sensibilità sorprendente - dice Jung - non soltanto verso le interpretazioni inesatte, ma anche e soprattutto di fronte a quelle in grado di cogliere esattamente lo stato delle cose.

Egli richiama infatti i Terapeuti a non ferire inutilmente l'amor proprio di un'altra persona con le proprie interpretazioni, anche e soprattutto se esatte!

Questo atteggiamento di riguardo verso le persone destinatarie delle interpretazioni non è soltanto dettato da uno spirito di umana condivisione della sofferenza, ma anche finalizzato a far sì che l'integrazione abbia effettivamente luogo; cioè a differenza dell'approccio descritto da Freud, la cura del paziente non può prescindere dalla tipologia caratteriale del paziente stesso.

Non ci si può accontentare di vedere in lui solo la fonte delle informazioni utili, il rischio maggiore è infatti che l'integrazione non avvenga e che il sintomo eliminato da un determinato aspetto della vita si ripresenti in qualche altro ambito o in qualche altra forma.

«Ma come possiamo rintracciare un significato plausibile, e come possiamo poi confermare l'esattezza della nostra interpretazione? [...] È il grande merito di Freud l'aver indirizzato sulla giusta strada l'analisi dei sogni. Egli si è reso conto anzitutto che è impossibile intraprendere una qualunque interpretazione senza il soggetto che ha avuto il sogno. Le parole che compongono la descrizione di un sogno infatti non hanno "un" senso soltanto, sono ambigue.
[...]
Devo tuttavia respingere gli altri procedimenti ai quali Freud sottopone i contenuti onirici, perché troppo soggetti all'opinione precostituita che i sogni siano soddisfazione di "desideri repressi". Benché tali sogni esistano, non esiste invece nessunissima prova che tutti i sogni sono soddisfazioni di desideri, così come non lo sono tutti i pensieri della vita psichica cosciente».
(Jung C.G., "L'essenza dei sogni", pag. 204)

Nella ricerca quindi di un metodo di indagine più adeguato, Jung elabora il metodo del "rilevamento del contesto": per ogni elemento del sogno si procede a stabilire, tramite le associazioni del paziente, quale sfumatura di significato assuma per lui in particolare.
In questo modo spesso non si ottengono significati subito comprensibili, ma sicuramente un accenno a molti dei significati possibili.

Il rilevamento del contesto ha quindi un valore "preparatorio", mentre la successiva messa a punto di un testo leggibile è un processo assai più difficile.

L'interpretazione infatti presuppone tutta una serie di qualità, capacità e conoscenze in chi la fa, compresa, dice Jung, una certa «intelligence du coeur».

È ovvio infatti che la sola raccolta di materiale non è sufficiente da un punto di vista scientifico: l'unico elemento comune, tra tutto il materiale raccolto, risulta essere solo il legame associativo con il contenuto del sogno, in quanto altrimenti non si sarebbe prodotto per via associativa partendo da esso.

    A questo punto il problema è: fino a che punto ci si deve spingere nella raccolta di materiale?

Teoricamente infatti, partendo da un unico punto, si può "srotolare" l'intero contenuto vitale che lo ha preceduto. La limitazione del materiale è quindi necessariamente un'operazione arbitraria, che ha come confine solo quello del materiale effettivamente utile all'interpretazione del sogno in esame.

Jung suggerisce infatti di mantenersi fermi, per quanto possibile, alle immagini oniriche, e di sottoporre poi il materiale raccolto a un processo comparativo e selettivo, la cui riuscita dipende in buona parte dall'abilità dell'analista e dallo scopo che vuole raggiungere.

Naturalmente però dal momento che ogni interpretazione è un'ipotesi, cioè un puro tentativo di lettura di un testo ignoto, Jung dà poco peso all'interpretazione di un singolo sogno, mentre una relativa sicurezza si ottiene con una "serie di sogni", per cui i sogni successivi rettificano gli errori d'interpretazione dei precedenti.

Jung tratta quindi tutta la creazione onirica come un'opera d'arte, un "dramma" in cui ogni elemento si riferisce al Sé del sognatore.

In altre parole «questa interpretazione concepisce tutte le figure del sogno come tratti personificati della personalità di chi sogna», e il sognatore è scena, attore, suggeritore, regista, autore, pubblico e critico insieme.

Non ci si può quindi distaccare da questa consapevolezza durante il lavoro analitico.
Anche in questo caso, un punto di vista simile viene condiviso più tardi dall'approccio gestaltico: esso infatti considera ogni elemento onirico come rappresentazione di parti alienate del Sé del sognatore, e il lavoro terapeutico sta proprio nel consentire al sognatore di reintegrare e riunificare tutte le sue parti.

Come dicevamo prima, perché i contenuti onirici vengano assimilati, è necessario che non venga offeso o distrutto alcun valore reale della personalità cosciente, poiché altrimenti verrebbe a mancare proprio il soggetto dell'assimilazione:

«Il riconoscimento dell'inconscio non ha infatti il carattere di un esperimento "bolscevico" per cui chi sta in basso sale in alto e viceversa, con il risultato di ottenere una condizione uguale a quello che si voleva migliorare. Bisogna pertanto vigilare attentamente affinché i valori della personalità cosciente si mantengano intatti, giacché la compensazione mediante l'inconscio è efficace solo qualora cooperi con una coscienza integrale. Nell'assimilazione non si tratta di scegliere "fra questo e quello", ma di accettare "e questo e quello"».
(Jung C.G., "L'applicabilità pratica dell'analisi dei sogni", pag. 243)

L'analisi di singoli sogni non ci permette di andare più in là del concetto di compensazione.

Quando la terapia si protrae nel tempo, ci consente di considerare una serie di sogni, addirittura di parecchie centinaia.

Se tutti questi sogni vengono guardati in successione, ci si rende conto che, dietro la compensazione di ogni singolo sogno, si sveli una sorta di "processo evolutivo" che si dipana lungo tutta la serie di sogni.

È come se la personalità, attraverso compensazioni successive che bilanciano atteggiamenti unilaterali, si muova verso un fine.
Questo processo inconscio viene definito da Jung come "Processo di Individuazione".

In questo senso i sogni partecipano di quella che per Jung è la finalità ultima dello sviluppo umano, cioè il "diventare individui".

Infine Jung osserva come con il procedere del trattamento si ha l'impressione che i sogni cambino aspetto: se in principio si rivelano straordinariamente trasparenti e ben definiti, succede poi che col proseguire diventino sempre più oscuri e meno trasparenti.

Questo è talmente frequente che nel caso in cui non accada - dice Jung - si può ritenere per certo che l'analisi non è ancora giunta a sfiorare una parte essenziale della personalità. Quando questo avviene, invece, il Terapeuta arriva al punto in cui, in realtà, non domina più la situazione.

Infatti, quando i sogni diventano più oscuri e frammentati, lo diventano agli occhi di chi non li comprende: Jung ritiene cioè che per se stessi i sogni continuino a essere chiari, cioè come devono essere date le condizioni, semplicemente il Terapeuta raggiunge il suo limite di comprensione e viene spinto dai sogni del paziente ad andare oltre.

Questo vuol dire che se il lavoro analitico si fa più difficile non è da attribuirsi ai sogni in quanto tali e nemmeno a supposte resistenze da parte del paziente, quanto invece a una fase di incomprensione del Terapeuta stesso.
Può succedere invece che la comprensione sia unilaterale, cioè il Terapeuta comprende mentre il paziente no, e non si lascia persuadere dalle insistenze del Terapeuta:

«Ma io preferisco in tal caso, quando cioè la comprensione è unilaterale, dire tranquillamente che non capisco: infatti la comprensione del terapeuta, in fondo, non conta e tutto dipende invece dal fatto che comprenda il paziente. L'intendere dovrebbe quindi essere piuttosto un "intendersi", frutto di riflessione comune. [...] Non si tratta infatti di istruire il paziente intorno a una verità, ma di far sì che il paziente stesso pervenga a quella verità: non si tratta di rivolgersi alla sua mente, ma di conquistarne il cuore: ciò incide più profondamente e agisce con maggiore efficacia».
(Jung C.G., "L'applicabilità pratica dell'analisi dei sogni", pag. 243)

Quindi, quando l'interpretazione non riceve il consenso del paziente, deve ritenersi errata per evitare il rischio di una suggestione cosciente.

Considerazioni conclusive

Ciò che soprattutto apprezzo in Jung è la sua forte curiosità, che lo spinge non solo ad avere una conoscenza enciclopedica, ma soprattutto a mettere costantemente in discussione i risultati raggiunti, alla ricerca di un ulteriore avvicinamento al cuore del funzionamento psichico; egli quindi non cerca di strutturare una dottrina in base alla quale identificare il bene o il male, chi sia ortodosso e chi apostata.

Nel suo pensiero si riconosce il senso profondo di una identità che consente di rivolgersi continuamente verso ciò che è sconosciuto, con la consapevolezza che in ogni caso è del Sé che si sta parlando; in altre parole la sua capacità di andare con spirito da esploratore incontro all'ombra, lo spinge a raggiungere addirittura i limiti di ciò che può essere verosimile.

È esattamente a questo atteggiamento che riconduco la capacità di avvicinarsi al fenomeno del sogno quasi come fosse un bambino, cioè un individuo che - consapevole di non conoscere il mondo - si avventura in territori sconosciuti descrivendo semplicemente quello che vede poiché, non avendo precedenti conoscenze, deve creare nuove categorie di pensiero e non può piegare le nuove informazioni ai vecchi concetti; può semplicemente lasciarsi stupire da ciò che vede.

È vero che molti sono i punti di contatto con la teoria freudiana, ma come ho evidenziato nel corpo del testo sono ancora di più le differenze. Quella fondamentale, ai miei occhi, è sicuramente la considerazione della propria umanità di fronte a quella del paziente, poiché se è vero che esiste una differenza fondamentale rispetto alla formazione e al ruolo, entrambi appartengono comunque alla stessa realtà psicologica e sono quindi costituiti della stessa sostanza.

Se per Freud l'analista è in qualche modo dotato di abilità particolari e soprattutto ha la conoscenza della verità al di là dell'ipocrisia sociale, e quindi è al di sopra della media comune, Jung stabilisce con i pazienti una relazione rispettosa dell'individualità e del cammino di individuazione di ciascuno, utilizzando, come lui dice, una certa «intelligence du coeur».

Al di là di questo, Jung oppone alla visione statica di Freud una concezione dinamica della psiche in genere, in quanto ogni volta lo scopo della funzione psichica (finalismo) ristruttura l'intero campo (anche questa visione processuale del funzionamento psichico si avvicina alla concezione gestaltica); allo stesso modo gli elementi del sogno, dalla struttura alla forma ai simboli utilizzati, sono comprensibili solo in riferimento all'intero campo psichico ed esperienziale del sognatore.

Condivido con Jung l'idea che il sogno sia il territorio neutro in cui due polarità, lo spirito e gli impulsi, hanno l'occasione di dialogare tra loro, di giungere a una reciproca integrazione o, per parafrasarlo: "i sogni sono l'espressione di una tendenza inconscia all'equilibrio".

Ancora una volta questa comunicazione tra gli opposti permette al sognatore di raggiungere un più stabile punto di equilibrio, almeno fino al prossimo sogno, in un percorso che tende allo sviluppo della personalità originale di ciascuno.

Attraverso l'osservazione scientifica e il metodo dell'amplificazione antropologica, Jung arriva quindi ad attribuire alle «cose trasparenti» una funzione di sviluppo, di analisi e rispecchiamento della situazione reale, ma anche la capacità di intervenire nella realtà - anche se per via "secondaria" - attraverso quella che lui chiama «autoregolazione del sistema psichico», che i moderni gestaltisti definiscono invece - facendo riferimento alla totalità dell'esistenza umana, a un tempo quindi sia psichica che organica - «autoregolazione organismica».

Grande dunque è il debito, o comunque sono tanti i punti di contatto, tra la Psicoterapia della Gestalt e la Psicologia analitica junghiana.

Bibliografia
  • Bucelli D., I sogni, in Carotenuto A., "Trattato di psicologia analitica", Utet, Torino, 2000
  • Gullotta C., Gli antecedenti psichiatrici, in Carotenuto A., "Trattato di psicologia analitica", Utet, Torino, 2000
  • Jung C.G., Associazione, sogno e sintomo isterico, in "Opere", Vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino, 1976
  • Jung C.G., Considerazioni generali sulla psicologia del sogno, in "Opere", Vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino, 1976
  • Jung C.G., Contributo alla conoscenza del sogno di numeri, in "Opere", Vol. 4, Bollati Boringhieri, Torino, 1998
  • Jung C.G., L'analisi dei sogni, in "Opere", Vol. 4, Bollati Boringhieri, Torino, 1998
  • Jung C.G., L'applicabilità pratica dell'analisi dei sogni, in "Opere", Vol. 16, Bollati Boringhieri, Torino, 1981
  • Jung C.G., L'essenza dei sogni, in "Opere", Vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino, 1976
  • Jung C.G., Recensione critica a Morton Price, Il meccanismo e l'interpretazione dei sogni, in "Opere", Vol. 4, Bollati Boringhieri, Torino, 1998
  • Jung C.G., Simboli onirici del processo di individuazione, in "Opere", Vol. 12, Bollati Boringhieri, Torino, 2001
  • Tarantini L., La psiche complessa, in Carotenuto A., "Trattato di psicologia analitica", Utet, Torino, 2000
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Commenti: 2
1 giuseppe caserta alle ore 22:33 del 04/09/2013

Molto interessante, collega! Condivido le tue riflessioni, penso che la "marcia in più" che Jung ha sia essenzialmente condensabile in un'ottica esistenziale di approccio alla persona, al contrario di Freud che, bontà sua, forse un pò ossessionato dal dimostrare che la psicoanalisi era una scienza al pari della biologia, è scivolato in una concezione molto "medicalizzata" dell'individuo. Credo che Freud sia forse uno degli ultimi esponenti del Positivismo, ma questo come si vede nella pratica clinica non basta a cogliere l'essenza dell'animo umano!

Un saluto

Giuseppe

2 Valentina alle ore 12:15 del 05/09/2013

Grazie Giuseppe,

è vero! Nella clinica non bisogna mai dimenticare l'umanità di chi abbiamo davanti, e forse questa è la lezione più importante che, nella mia formazione, ho imparato da Jung e dalla Gestalt.

Ciao,

Valentina

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