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Psicofarmaci e psicoterapia in gravidanza: una discussione aperta

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Psicofarmaci e psicoterapia in gravidanza: una discussione aperta

L'articolo "Psicofarmaci e psicoterapia in gravidanza: una discussione aperta" parla di:

  • Psicofarmaci durante le fasi gestazionali
    Psicofarmaci durate l'allattamento
    Psicoterapie in gravidanza
Psico-Pratika:
Numero 171 Anno 2020

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Articolo: 'Psicofarmaci e psicoterapia in gravidanza: una discussione aperta'

A cura di: Rebecca Farsi
    INDICE: Psicofarmaci e psicoterapia in gravidanza: una discussione aperta
  • Introduzione
  • Benzodiazepine
  • Antidepressivi
  • Disturbi bipolari e stabilizzatori dell'umore
  • Antipsicotici
  • Allattamento e psicofarmaci
  • Psicoterapie in gravidanza
  • Conclusioni
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT
Introduzione

Assumere psicofarmaci in gravidanza costituisce un serio pericolo, data la stretta relazione che intercorre tra i principi attivi alla base degli stessi e l'insorgenza di rischio teratogeno ai danni del feto o dell'embrione. Nello specifico il termine teratogeno si riferisce a qualunque malattia, sostanza o altro agente ambientale che può danneggiare il feto o l'embrione in via di sviluppo, causando deformità fisiche, rallentamento della crescita, cecità, danno cerebrale e persino la morte. La lista dei teratogeni è cresciuta, negli ultimi tempi, ed è pertanto sempre più importante riuscire a svolgere un'azione educativa in grado di elicitare nelle gestanti un modello comportamentale in grado di garantire il benessere evolutivo del nascituro. V'è da aggiungere che l'effetto nocivo del teratogeno può risultare ulteriormente incrementato ove si manifesti nella seconda delle tre fasi gestazionali, delle quali si offre una breve descrizione:

  • Stadio preembrionale, che va dal 14esimo al 30esimo giorno dall'ultima mestruazione, periodo considerato abbastanza sicuro da rischi teratogeni perché i blastomeri che costruiscono l'embrione non si sono differenziati e risultano intercambiabili in caso di danneggiamento; il rischio teratogeno è alto;
  • Stadio embrionale, o organogenesi, corrispondente al primo trimestre di gravidanza, che va dal 31esimo al 70esimo giorno di gestazione, e vede la formazione organica del feto: dato il notevole aumento di cellule (iperplasia cellulare) gli organi vengono formati nella loro struttura, ma trattandosi di cellule non più interscambiabili, e in certo senso correggibili, il rischio di malformazione, aborti spontanei, ritardi nello sviluppo presenza di sostanza teratogene è molto elevato;
  • Stadio fetale, dal 71esimo giorno di gestazione al parto, nel quale l'organogenesi è ormai completata, e la presenza di sostanza tossiche nella placenta, più che causare malformazioni organiche, è in grado di provocare anomalie funzionali a carico del sistema nervoso e anomalie nell'accrescimento; il rischio teratogeno è più basso rispetto alle fasi precedenti (Cantelli Forti, G., Cuomo V., Galli C.L., 2003).

Per tutte queste ragioni il rigore prudenziale volto a tutelare il benessere della madre e del bambino imporrebbe di astenersi dall'utilizzo di tutte quelle sostanze in grado di alterarne l'integrità, con danni irreversibili sul breve e sul lungo termine.

D'altro canto si deve affermare come la gravidanza costituisca un periodo di forte mutamento fisico, ormonale ed emotivo per la donna, tanto che alla comparsa della stessa viene spesso associata l'insorgenza di psicopatologie di varia natura che richiedono di essere trattate con psicoterapia integrata a farmaci.

Ci si trova, pertanto, nella situazione di dover scegliere il male minore tra un mancato trattamento di sintomi psicopatologici a carico della madre e una cura farmacologica delle stesse, senza dimenticare il fatto che in entrambi i casi i rischi a danno del neonato non sono sottovalutabili.

Benzodiazepine

Trattando la materia nello specifico si evidenzia come l'assunzione di benzodiazepine, specie ove effettuata nel primo trimestre di gravidanza, possa provocare nel bambino l'insorgenza di palatoschisi o labbro leporino, ma anche di anomalie gastro-intestinali, basso peso alla nascita, anomalie cardiologiche e fisiologiche di varia entità (Maida, 2017). L'assunzione durante il secondo e il terzo trimestre di gravidanza è stata invece associata ad eventi quali tremori, cianosi, stress neonatale con ipotermia, ipotonia, distress respiratorio, basso peso alla nascita, ma anche basso indice al test di Apgar e parto pretermine. In particolare si specifica come l'alprazolam e il diazepam costituiscano il rischio maggiore per il verificarsi di aborti spontanei, mentre più alta correlazione è stata identificata tra l'assunzione di nitrazepam e insorgenza di malformazioni. I dati non identificano relazioni automatiche tra l'assunzione di benzodiazepine e danni al neonato, ma sarebbe preferibile astenersi dal trattamento perlomeno nelle primissime fasi di gestazione; ove non ne fosse possibile l'interruzione durante la gravidanza, si raccomanda di effettuare una terapia a basso dosaggio per il più breve tempo possibile, di valutare al momento del parto difficoltà respiratorie e ipotoniche nel bambino (floppy infant) e di valutare, infine, nelle successive due settimane, eventuale presenza di sintomi di ipereccitabilità, pianto stridulo e difficoltà di alimentazione, probabilmente dovuti alla sindrome da astensione.

Antidepressivi
Psicofarmaci e psicoterapia in gravidanza: una discussione aperta

Per quanto riguarda gli antidepressivi, gli SSRI risultano i più indicati per il trattamento in gravidanza. Gli inibitori della monoaminoossidasi sono, infatti, proibiti durante la gravidanza e l'allattamento a causa del pericolo di malformazioni e dei frequenti effetti collaterali.

I triciclici sono considerati forieri di rischio teratogeno per la maggioranza di effetti collaterali, ivi compresi quelli anticolinergici e sul sistema nervoso. L'assunzione degli stessi durante il periodo di gestazione è stato associato in particolare allo sviluppo di tossicità neonatale a carico del neonato (Siracusano et al., 2014); sussistono pericoli anche durante l'allattamento, dato come vi siano dati che collegano assunzione di triciclici ad episodi di depressione respiratoria, mentre per quanto concerne gli SSRI non si rilevano gli stessi rischi, fatti salvi alcuni episodi di diarrea, vomito e coliche addominali dopo alcune terapie base di fluoxetina durante l'allattamento. Nessun dato invece emerge a carico di paroxetina, fluvoxamina e sertarlina (Siracusano, 2014), che pertanto risultano le sostanze più sicure da assumere durante l'allattamento del neonato. Per quanto riguarda ancora i triciclici si sono riscontrati episodi di ritenzione urinaria e ostruzione intestinale e, specie con la somministrazione di clomipramina, effetti di irritabilità, pianto convulso e difficoltà di addormentamento e di alimentazione nel neonato, mentre altri studi evidenziano come i TCA, più degli SSRI, siano in grado di provocare l'insorgenza di rischio di iperglicemia e crisi convulsive, ma i dati sono contrastanti (Goracci et al., 2015).

Nemmeno gli SSRI sono esenti da rischio. La loro assunzione durante la gravidanza si è mostrata in grado di apportare al feto malformazioni fisiologiche, neurologiche e cardiache; per quanto si tratti di farmaci preferibili ai triciclici, è stato infatti identificato un aumento del rischio di 2, 5-3 volte circa l'insorgenza di malformazioni cerebrali, cardiache e dell'apparato digerente con l'assunzione di paroxetina e fluooxetina (Reefhius, Devine et al., 2015). La paroxetina e la venlafaxina, in particolare, sembrano in grado di aumentare il rischio di aborto spontaneo; la venlafaxina è stata inoltre identificata uno dei SSRI con maggiori capacità di attraversamento della barriera placentare e dunque di presenza del sangue fetale, così come si è riscontrato un passaggio consistente per fluvoxamina, fluooxetina, citalopram ed escitalopram; un minore passaggio nella placenta si è invece verificato con l'assunzione di paroxetina e sertrarlina, che da questo punto di vista sono considerate le più sicure a causa della scarsa concentrazione del metabolita a livello del cordone ombelicale (Goracci et al.). La sertralina subisce inoltre consistenti modificazioni cinetiche durante la gravidanza, con netta diminuzione durante il secondo semestre. Anche per questo si tratta della sostanza maggiormente prescritta durante la gravidanza, sia in fase di primo trattamento che di continuazione (Goracci et al., 2015). Un recente studio condotto di concerto da esperti finlandesi e americani ha confrontato quattro gruppi sperimentali dei quali uno comprendeva donne che hanno fatto uso di SSRI in gravidanza, uno comprendente donne che pur avendo sofferto di disturbi dell'umore in gravidanza non ne hanno assunti, un gruppo di donne che avevano assunto SSRI prima della gravidanza e infine un gruppo di donne che non aveva mai assunto psicofarmaci né aveva mai sofferto di psicopatologie. I risultati hanno dimostrato come i figli delle donne che avevano assunto psicofarmaci durante i nove mesi di gravidanza siano più vulnerabili allo sviluppo di disturbi dell'umore durante l'adolescenza rispetto agli altri gruppi: nello specifico la percentuale dei soggetti colpiti da depressione a 15 anni è risultata dell'8,2% contro il 2-2,8% degli altri gruppi (Zoli, 2016).

Disturbi bipolari e stabilizzatori dell'umore

Sui disturbi bipolari che richiedono l'utilizzo di stabilizzatori dell'umore i pareri sono contrastanti, e per quanto alcuni dati non siano certi e molti studi risultino ancora in atto, una politica prudenziale ne considera altamente rischioso l'utilizzo in gravidanza. Con particolare riferimento al litio, vediamo come il 72% delle malformazioni connesse al suo impiego durante la gravidanza riguardi espressamente l'apparato cardiovascolare del bambino, che viene colpito da una grave disfunzionalità al setto interatriale, denominata "Sindrome di Ebstein".
L'uso dei Sali di litio durante la gravidanza è stata inoltre messa in relazione con un maggior rischio di sviluppo di sindromi perinatali quali cianosi e ipertono (Fagiolini et al., 2009). Sebbene questi fenomeni non siano mai stati chiaramente correlati con più alti livelli ematici di litio, per limitare la tossicità dovuta alla rapida distribuzione dei liquidi circolanti che si verifica nel periodo perinatale, si consiglia la riduzione della dose di assunzione del 20-30%.

Per quanto riguarda l'utilizzo di carbamazepina e sodio valproato durante il primo trimestre, si è verificato un aumento di casi di difetti al tubo neurale, specie di spina bifida, che nel caso del valproato aumenta di 1-5% rispetto alla popolazione generale soprattutto a causa dell'alta concentrazione ematica tipica di questo farmaco e della sua capacità di inibire la formazione e l'attività di enzimi implicati nella sintesi dei folati; ove l'assunzione risultasse inevitabile e necessaria, sarebbe dunque opportuno supplire a tale carenza con un apporto di folati supplementari fino al fine del terzo mese di gravidanza (Fagiolini et al., 2009). Altre anomalie associate all'uso di anticonvulsivanti nel primo trimestre includono disgiunzioni oro-facciali, appiattimento del ponte nasale, riduzione delle dimensioni del naso, iperplasia del labbro superiore, abnorme rotazione delle orecchie, ipoplasia delle falangi (Fagiolini et al., 2009).

Antipsicotici

Gli studi sulla sicurezza degli antipsicotici in gravidanza sono ancora limitati e, sebbene case reports non abbiano evidenziato aumento dell'incidenza di malformazioni con l'utilizzo di clozapina e olanzapina, se ne raccomanda l'utilizzo prudenziale specie per l'alta concentrazione ematica che questi farmaci raggiungono nel feto rispetto a quanto fanno nella madre. Per quanto esista una sostanziale concordanza nel considerare limitato l'effetto teratogeno dei neurolettici, è stato riscontrato rischio di assunzione nel caso delle fenotiazine e della clorpromazina.

Si consiglia pertanto la sospensione di antipsicotici almeno una settimana prima della nascita, per ridurre gli effetti extrapiramidali (causati dall'antagonismo esercitato dagli antipsicotici sui recettori della dopamina D2, che si trovano nelle aree nigro-striatali del cervello e che vanno ad incidere sulla capacità di regolare i riflessi, di mantenere l'equilibrio corporeo e la flessibilità muscolare causando tremori, rigidità e bradicinesia), la sedazione e i fenomeni di astinenza che potrebbero colpire il neonato; ma questo punto di vista non collima con quello degli esperti che, al contrario, ne raccomandano l'utilizzo anche in questo periodo, allo scopo preciso di ridurre il rischio di recidiva tipico delle fasi di peri e di post partum (Fagiolini et al., 2009).

Allattamento e psicofarmaci

Anche la fase di allattamento si mostra particolarmente delicata, e sarebbe buona norma non assumere psicofarmaci per non correre il rischio di intossicare il bambino. Il latte materno è infatti ricco di enzimi e di ormoni prodotti direttamente dalla madre, con cui il neonato costruisce il sistema immunitario, consolida e struttura il proprio neurosviluppo. È quindi ovvio come la presenza di principi attivi come quelli degli psicofarmaci all'interno del colostro possa tramutare in nocività gli effetti benefici che sarebbero tipici del latte materno. Si aggiunga che i neonati sono circa dieci volte più sensibili ai farmaci degli adulti: il loro cervello è infatti più sensibile e il loro fegato meno capace di liberarsi dalle tossine. Un espediente in grado di mediare le esigenze di trattamento di una psicopatologia della madre con quelle di benessere nutrizionale del bambino sarebbe quella di sostituire una poppata con un pasto durante il giorno, di anticipare lo svezzamento o comunque di somministrare lo psicofarmaco subito dopo l'allattamento o prima della fase di sonno del bambino; fatta salva, naturalmente, il dovere di ricorrere a dosi di assunzione il più possibile basse. Secondo la Federazione dei Medici Pediatri si possono considerare somministrabili durante l'allattamento i farmaci a base di sertralina e paroxetina. La carbamazepina e l'acido valproico sono considerati abbastanza sicuri anche dalle Linee Guida stabilite dalla ACOG (American College of Obstreticians and Gynecologists), che li identifica come farmaci L2, e quindi ammissibili durante l'allattamento (Siracusano et al., 2014). Il litio è invece classificato come farmaco L4, ovvero ad alto pericolo di assunzione durante l'allattamento, e del quale si sconsiglia l'utilizzo: studi americani ed europei hanno riscontrato con risultati abbastanza unanimi come si manifestano episodi di tossicità nel bambino che assume latte materno dove è presente il litio, quali cianosi, sonnolenza, ipotonia. Alcuni studi recenti hanno tuttavia rilevato come la litiemia nel sangue del neonato non sia in grado di superare il 17%, anche durante l'allattamento, quindi un livello al di sotto del range terapeutico del farmaco stesso. Se ne potrebbe dunque consentire l'utilizzo anche subito dopo il parto e nella fase di allattamento, purché naturalmente si sottoponga il bambino a costante dosaggio e misurazione di litiemia nella madre e nel bambino (Siracusano et al., 2014; Cassano, 2009).

Psicoterapia in gravidanza

Se nell'utilizzo di psicofarmaci durante la gravidanza e il post partum sono presenti una serie di dubbi volti a valutare eventuali rischi per lo sviluppo del bambino degli stessi, non vi sono invece incertezze circa l'effetto altamente funzionale che può derivare alla madre, sia in stato di gravidanza che nel periodo seguente il parto, dalla sottoposizione a tecniche psicoterapiche specifiche.

Tra le tecniche non farmacologiche considerate più opportune durante la gravidanza vi è quella dei massaggi, il cui utilizzo si è rivelato in grado di diminuire i livelli di norepinefrina e di cortisolo dopo il parto, e di comportare un minor numero di complicazioni ostetriche e post natali (Field, Diego, Dieter et al., 2004).

È stata rilevata, inoltre, una buona efficacia della psicoterapia interpersonale, effettuata in gravidanza e nel periodo immediatamente successivo al parto, e avente ad oggetto l'analisi dei rapporti sociali che connotano la situazione della donna durante la gestazione. I problemi trattati durante le sedute sono inerenti ai vissuti di disagio connessi alla gravidanza, alla transizione di ruolo, ai deficit interpersonali e a problemi più specifici quali una gravidanza non desiderata o vissuta come genitore single, ma anche complicanze ostetriche, problemi congeniti e malattie. I risultati hanno messo in evidenza che la psicoterapia interpersonale è maggiormente efficace nel migliorare l'umore depresso e la qualità delle interazioni tra madre e bambino dopo la nascita, oltre che nel suscitare, nel vissuto emotivo della madre, sentimenti di flessibilità emotiva, resilienza, coping attivi e buone capacità relazionali anche verso il partner.

Risultati promettenti sono stati ottenuti anche dal counseling non direttivo, costruito sulla conduzione di un ascolto non giudicante e supportivo in grado di fornire alla donna sicurezza del Sé e del proprio ambiente di inserimento, ma anche strategie di coping attive in grado di affrontare le difficoltà ed eventuali empasse dovute ad eventi critici passeggeri. Il tutto nella prospettiva di focalizzarsi sul maternal mood per amplificare le potenzialità della donna e dell'ambiente in una finalità adattiva per se stessa e per il bambino (Monti, Dellabartola, Neri, 2014).

Durante la gravidanza viene considerata utile anche una tipologia di intervento psicodinamico breve, focalizzato sulla relazione diadica, sullo stile interattivo e sulle rappresentazione fantasmatiche materne riguardo la costruzione del bambino nella mente e il confronto dello stesso con la realtà. Finalizzata all'emersione di conflitti inconsci infantili derivati dall'infanzia e mai rielaborati né resi accessibili alla coscienza, la psicoterapia psicodinamica si propone il fine precipuo di sciogliere tali conflitti, inerenti soprattutto il rapporto della futura madre con le rispettive figure genitoriali, ai fini di impedire l'imposizione di copioni genitoriali disfunzionali, di costruire una genitorialità narcisistica, di preparare il terreno a situazioni di role reversal in cui il bambino viene investito del compito di compensare le deprivazioni affettive subite dal genitore prendendosi cura di lui. Si tratta di una tipologia psicoterapica che si è mostrata in grado non solo di migliorare la visione della donna come madre, ma anche il suo rapporto col nuovo nato, creando altresì aspetti interpersonali più funzionali nella diade materna: dunque maggiore attenzione condivisa, un più alto grado di responsività e sensibilità rispetto alle espressioni vocali e facciali, maggiore risposta al linguaggio del corpo del neonato, capacità di maneggiamento nel senso winnicottiano di holding e handling (Winnicott, 1970).

L'utilizzo di una psicoterapia ad approccio cognitivo-comportamentale è finalizzata all'insegnamento alla paziente di modalità cognitive di azione più corrette, sul presupposto che ne possieda di disfunzionali. Le madri avranno la possibilità di ricevere interventi di supporto, anche in gruppo, volti ad una rieducazione del pensiero, ad una ristrutturazione cognitiva inerente l'analisi e la risoluzione di problemi concreti, nella prospettiva di costruire un setting diadico in cui la consapevolezza e l'autoefficacia si sostituiscano a vissuti depressivi e di impotenza appresa.

Negli ultimi tempi si sta sperimentando, sulla donna incinta, anche il trattamento considerato d'elezione per la cura della depressione stagionale, ovvero la light therapy, il cui documentato effetto antidepressivo specifico sarebbe mediato dall'azione della fototerapia sui circuiti monoamminergici e sul ritmo circadiano (Parry et al., 2008), che sembra desincronizzato nelle donne con depressione post partum. Il suo utilizzo consentirebbe, inoltre, la remissione di sintomi come insonnia, affaticabilità e difficoltà di concentrazione, molto utili anche per lo sviluppo di un'adeguata capacità genitoriale da parte della madre. Senza considerare l'apporto finalizzato ad una migliore percezione del ritmo circadiano materno, disfunzionale nello specifico nei disturbi bipolari.

Per quanto si tratti di un trattamento non inserito tra le terapie evidence-based, si tratta pur sempre di un trattamento promettente e senza effetti collaterali per il feto, sebbene siano necessari studi futuri per valutarne ulteriormente l'efficacia. In particolare si ritiene che si tratti di una terapia utile sia in caso di depressione perinatale di grado lieve-moderato, sia come terapia di passaggio in fasi specifiche del periodo perinatale. Ad esempio, quando viene applicata nel primo trimestre di gravidanza sembra in grado di posticipare l'inserimento del farmaco alla fase fetale, quando ormai l'organogenesi è terminata e i rischi teratogeni sono minori; la sua mancanza di effetti collaterali la rende idonea altresì nella fase di allattamento, per favorire anche l'instaurazione dell'attaccamento diadico, fondamentale in queste primissime fasi di vita (Swain, 2018).

Tra le terapia non farmacologiche si sta diffondendo l'utilizzo di trattamenti integrati che, pur nelle loro rispettive differenze, condividono l'aspetto del setting domiciliare. Essi vengono, cioè, effettuati all'interno delle mura domestiche, che in questo caso prendono il posto del setting terapeutico, con tutto il vantaggio in termini di intimità, familiarità e sicurezza per la diade. Alcuni studi condotti in ambito internazionale hanno sperimentato l'efficacia di tali interventi a domicilio (home-based interventions) forniti da diverse figure professionali e paraprofessionali, adeguatamente preparate, che sono in grado di apportare alla madre e al bambino una serie di assistenze, da quelle materiali a quelle emotive, in una prospettiva supportiva-evolutiva di indubbia valenza (Monti, Dellabartola, Neri, 2014). Il maternal mood viene pertanto potenziato e deprivato di componenti disfunzionali da figure che effettuano visite domiciliari periodiche, proprio per fornire alle neo mamme una serie di competenze pratiche che siano in grado di sottrarle a vissuti di solitudine, di passività, di impotenza nei confronti di se stesse, del bambino e del partner.

Si tratta di terapie costruite sulla base di elementi derivanti da diversi modelli, quale quello degli health visitors, diffuso nel territorio anglosassone, la cui funzione fondamentale è quella di assistere la donna nelle fasi successive al parto, e di aiutarla a costruire una quotidianità domestica basata sul coping attivo e responsivo, ma anche su una percezione del S&ecute; in linea con le richieste della maternità, e dunque sulla costruzione della stima e della consapevolezza di Sé come madre, sentendosi al contempo assistita, supportata e non giudicata.

È la terapia dell'assistenza, della gentilezza, della presenza costante e discreta, grazie alla quale i sintomi ansioso-depressivi possono risultare depotenziati e in certi casi addirittura prevenuti.

Conclusioni

L'assunzione di psicofarmaci durante la gravidanza non è considerata opportuna per gli elevati rischi teratogeni che potrebbero derivarne. D'altro canto, il periodo della gestazione è considerato una fase ad alto rischio per lo sviluppo di patologie psichiatriche, in particolare dei disturbi dell'umore. Una depressione non adeguatamente trattata nella madre risulta in grado di aumentare il rischio di parti prematuri e basso peso alla nascita, senza considerare la accertata diminuzione di dover ricorrere al taglio cesareo, in particolare fatto sotto urgenza, e di emorragie durante il parto, basso indice di Apgar, travaglio precoce, basso peso alla nascita, nonché l'alterazione di sviluppo fetale e neonatale (Goracci et al., 2015). Una sospensione improvvisa dell'assunzione del farmaco, provocando un'ingravescenza della patologia, potrebbe inoltre comportare il relativo incremento dei disordini comportamentali, cognitivi ed emotivi alla stessa collegati, e dunque causare un peggioramento delle condizioni di vita della madre, e l'eventuale assunzione di comportamenti dannosi per il feto, come il ricorso a sostanze stupefacenti, un'alimentazione non consona al feto, un mancato monitoraggio della gravidanza con ecografie e controlli stabiliti. Elevati livelli di stress e ansia nel periodo precedente la gravidanza, indagati tramite misure self-report, risultano inoltre associati a livello di sviluppo cognitivo e motorio meno ottimali alle scale Bailey a tre, otto e dodici mesi (Brouwers, Van Baar, Pop, 2001). Sono stati inoltre riscontrati minori abilità cognitive visuo-spaziali a 6-9 anni (Buss, Davis, Hobel et al., 2011) e punteggi più bassi alla WISC. Senza contare che l'ansia materna può influire negativamente nel bambino anche durante il periodo post partum, attraverso pattern interattivi disfunzionali che si vanno ad instaurare a livello ambientale.

Inoltre, quanti sostengono l'importanza di continuare l'utilizzo degli psicofarmaci anche durante la gestazione, sottolineano come non esista ancora un algoritmo specifico che possa dare direttive precise in tutte le situazioni, e come sia pertanto necessario procedere caso per caso, nel tentativo di valutare, con effetto di bilanciamento, quale costituisca un rischio maggiore per la madre e per il bambino: se quello collegato all'assunzione di uno psicofarmaco o alla non trattazione di un disturbo dell'umore in grado di apportare disfunzionalità al feto, anche sul lungo termine, in alcuni casi tanto quanto il farmaco stesso. Nonostante l'importanza dell'argomento, tutt'oggi non esistono linee guida in merito, ma solo raccomandazioni e comportamenti prudenziali, data anche la scarsa eticità relativa al sottoporre donne incinte a sperimentazioni randomizzate. Dopo aver soppesato, caso per caso, la relativa corrispondenza rischio/beneficio tra le possibili alternative, in ogni caso in cui la terapia farmacologica si mostri indispensabile e non sospendibile con le donne in gravidanza, sarà opportuno tener presenti una serie di raccomandazioni relative al minimo dosaggio delle stesse, all'utilizzo dei farmaci considerati a più basso rischio teratogeno, a monitorare lo sviluppo del feto con un regolare monitoraggio strumentale, ad evitare trattamenti farmacologici associati, nonché ridurre gradualmente, fino possibilmente a sospendere, l'utilizzo degli psicofarmaci in prossimità del parto, per evitare quanto più possibile i rischi di tossicità neonatale, o quanto meno ridurli al minimo (Goracci et al, 2015). Il tutto nella prospettiva di tutelare il benessere della madre e quello del bambino, tenendo sempre presente come gli stessi, durante la gravidanza e la gestazione, risultino inevitabilmente inscindibili.

D'altro canto non si può pensare come, sia in caso di depressione insorta durante la gravidanza sia in caso di disturbi dell'umore pregressi alla stessa, la terapia farmacologica eventualmente prevista non debba venir debitamente integrata con un modello psicoterapico che sia in grado di potenziare la compliance alla terapia farmacologica stessa, di ridurre la sintomatologia organica correlata al disturbo depressivo, e che soprattutto sia in grado di rieducare il pensiero della donna in una prospettiva congrua al raggiungimento di una maternità globale e consapevole. Il lavoro della maternità comporta una serie di ridistribuzioni degli investimenti narcisistici e libidici, unita ad un'ampia fluttuazione della dimensione emotiva sia in gravidanza che nel periodo post-natale: è chiaro come, in un'operazione esistenziale così complessa e modificante, possano verificarsi dei fallimenti emozionali, dei pensieri disadattivi, disregolazioni emotive di varia natura cui è necessario porre immediata attenzione, per il bene della donna e del bambino. La prevenzione e la cura non possono d'altro canto limitarsi al monitoraggio medico o alla prescrizione farmacologica, essendo necessario, in questa fase della vita più che mai, partire dall'ascolto, dall'attenzione agli aspetti simbolici e psichici della madre, che solo con un'adeguata psicoterapia possono venir indagati e spinti all'esplicitazione. L'assistenza della donna che si prepara a diventare madre deve avere una valenza ampia, globale, omnicomprensiva, e deve pertanto mostrarsi in grado di superare le barriere tra specialisti del corpo e della psiche, di concedere tempo a tutti i soggetti che prendono parte a questo fondamentale processo trasformativo, comprendendo al contempo le tappe, le fluttuazioni e gli ostacoli del processo di maturazione che portano alla nascita di un bambino, di una madre e di un padre. In un'ottica di rieducazione globale e sistemica, dunque, la compresenza di un trattamento farmacologico e psicoterapico assume un fondamentale ruolo per riuscire a rispondere in maniera globale e adattiva a tutti bisogni della gestante, da quelli fisiologici a quelli emotivi, a quelli cognitivi, materiali, sociali. Questo rappresenta un'importante convergenza terapeutica, una zona di contatto tra aspetti diversi che, più di un punto di arrivo, disegna un fondamentale punto di partenza.

Bibliografia
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    www.farmacovigilanza.eu/content/nuovi-dati-sugli-antidepressivi-ssri-gravidanza
  • Zoli, S. (2016), Antidepressivi in gravidanza minano la salute dei figli? In Magazine, il portale di chi crede nella ricerca; neuroscienze, Fondazione Umberto Veronesi; risorsa informatica consultata il 3 gennaio 2020,
    www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/neuroscienze/gli-antidepressivi-gravidanza-influiscono-sulla-salute-dei-figli
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HT Psicologia - Psicofarmaci e psicoterapia in gravidanza: una discussione aperta

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