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Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisi

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Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisi

L'articolo "Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisi" parla di:

  • Definizione e meccanismo
  • Differenze con l'identificazione proiettiva
  • Conseguenze ed esempi
Psico-Pratika:
Numero 211 Anno 2024

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Articolo: 'Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisi'

A cura di: Rebecca Farsi
    INDICE: Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisi
  • Introduzione
  • Differenze con l'identificazione proiettiva
  • L'introiezione estrattiva in psicoanalisi: i "rischi" del setting
  • Bibliografia di riferimento
  • Altre letture su HT
Introduzione

"L'introiezione estrattiva avviene in tutti i casi in cui un soggetto, per un certo periodo di tempo, da pochi secondi a tutta una vita, ruba un elemento della vita psichica di un altro" (Bollas, 1989, p. 134).

Questa sorta di conquista del pensiero, operata senza una reale percezione cosciente, si compone di due manovre specifiche: in primo luogo, l'evacuazione di parti persecutorie del Sé all'interno della psiche altrui; secondariamente, l'estrazione dalla stessa degli oggetti psichici preesistenti, al fine di lasciare spazio espressivo a questi intrusi e indesiderati dominatori del Sé.

A un'introiezione si accompagna un'estrazione. All'aggiunta di materiale esterno, si unisce la privazione di quello preesistente, in una sorta di "furto psichico": "Per alcuni aspetti, se una persona invade il territorio psichico di un'altra, non solo deposita in essa un parte non desiderata di Sé, come nel caso dell'identificazione proiettiva, ma prende anche qualcosa" (Bollas, 1989 p. 137).

Non v'è nulla di reciproco in questa relazione decisamente manipolativa, ma solo un intento invasivo, finalizzato a impossessarsi della mente altrui, e uno depauperante, espresso attraverso l'eliminazione dei contenuti preesistenti.

Chi subisce questa subdola invasione viene deprivato di contenuti individuali, soggettivi, volitivi; è infine costretto a infrangere il legame esclusivo con i nuclei identitari più intimi e con quel Sé potenziale che deve "cedere" inconsapevolmente all'invasore, abdicando ad ogni pulsione creativa, trasformativa e vitale in esso custodita.

Differenze con l'identificazione proiettiva
Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisi

Per certi aspetti l'introiezione estrattiva rappresenta la degenerazione dell'identificazione proiettiva, meccanismo di difesa attraverso il quale parti indesiderate del Sé vengono proiettate in un soggetto esterno che le percepisce come proprie. Il processo di contagio identitario si svolge in maniera del tutto inconscia: l'altro si identifica con gli oggetti estranei in lui evacuati e se ne lascia agire collusivamente, comportandosi come se davvero gli appartenessero.

Poniamo l'esempio di un padre che, al fine di regolare la propria impulsività, la proietta in via inconscia nel figlio, accusandolo di essere impulsivo, ribelle e disobbediente, e limitandone per questo l'autonomia. Il figlio si identifica inconsciamente nella descrizione del padre e, nel tentativo di contrastarne le condotte proibitive, diventa ancor più disobbediente.

Cosa accade a livello inconscio?

Il padre controlla la propria impulsività evacuandola nel figlio, che la accoglie come una parte del Sé conformandosi adesivamente a quella che, di fatto, si presenta coma una violazione intersoggettiva. Profonda, grave, e tuttavia non unica nel suo genere.

"Credo esista un processo altrettanto distruttivo dell'identificazione proiettiva nel violare lo spirito di reciprocità ... si tratta di una procedura intersoggettiva che ne rappresenta l'esatto opposto e che chiamerò introiezione estrattiva" (Bollas, 1989, p. 134). In questo caso il proiettante non si limita ed evocare nell'altro condotte e stati emotivi che non gli appartengono, ma "ruba" letteralmente contenuti della sua vita psichica per sostituirli con i propri e saturarne i contenuti.

Il tutto in una modalità inconscia "Nel momento in cui viene operato il furto, il soggetto che lo subisce può rimanere anestetizzato e può essere incapace di recuperare la parte del Sé rubata" (Bollas, 1989, p. 134). Al massimo percepirà una sensazione di lutto inconscio, di perdita dolorosa per ciò che è svanito, nell'ostile e incomprensibile intuizione che qualcuno gli abbia portato via qualcosa di prezioso, privandolo al contempo della possibilità di riprenderselo (Bollas, 1989).

L'introiezione estrattiva amplifica i contenuti manipolativi dell'identificazione proiettiva. È più avida e crudele, e nel suo sadismo vorace si ciba letteralmente dei contenuti vitali che estrae dall'altro, deprivandolo del suo rapporto col Sé come oggetto (Bollas, 1989). Essa si accompagna sempre all'identificazione proiettiva, ma la supera degenerandone le conseguenze, a causa di un avido procedimento di estrazione in quest'ultima non riscontrabile.

L'identificazione proiettiva vuole difendersi dalle proprie parti minacciose evacuandole nell'altro, e si limita ad evocare in lui comportamenti e stati d'animo, senza portargli via nulla. L'introiezione estrattiva costringe invece all'incorporazione di parti estranee del Sé, prendendo ciò che esisteva prima di questa manovra depauperante, che non si accontenta di condizionare. Vuole rubare. Impossessarsi. Estrarre per impoverire e distruggere.

È una spinta invidiosa, ingrata in senso kleiniano, che non ruba tanto per arricchire il Sé, quanto per impoverire l'altro. E se nell'identificazione proiettiva si intravede ancora la volontà residua di instaurare un contatto, per quanto manipolativo, in questo caso l'istanza relazionale viene completamente azzerata. L'altro non viene visto come un oggetto nel quale controllare le proprie parti minacciose. Né come un oggetto nel quale evocare angosce e comportamenti non accettabili. Semplicemente l'altro non viene visto. Viene solo conquistato, e reso oggetto di un saccheggio psichico che lo priva di beni e risorse.

Esempi di introiezioni estrattive

Per quanto il concetto possa apparire piuttosto astruso, in realtà le introiezioni estrattive si verificano, nella realtà quotidiana, con sorprendente frequenza. E le sue conseguenze vanno di pari passo con l'importanza dell'obiettivo verso cui è rivolta. Si va da una semplice idea rubata durante una conversazione, a un'emozione sottratta durante una discussione, fino al furto di una pulsione motivazionale o di uno stato affettivo. Ma si può sottrarre anche di più, più a lungo e più pesantemente. Si può arrivare a rubare lo stesso Sé.

Vediamo come, tenendo in considerazione che l'introiezione estrattiva, nelle sue multiformi modalità espressive, può avere ad oggetto:

  • contenuti di pensiero: capita spesso, anche in una banale conversazione, che un soggetto si impossessi del contenuto mentale di un altro sostituendovi il proprio: magari rubandogli delle idee, o ponendo in essere atteggiamenti persuasivi manipolatori, a ragione dei quali l'interlocutore è inconsapevolmente costretto a cedere ad un altro i propri contenuti mentali, credendolo il "legittimo proprietario" di pensieri che è stato proprio lui a formulare.
  • Contenuti affettivi: in tutti i casi in cui la condotta di una persona influenza così profondamente le reazioni emotive di un'altra da modificarne, spesso totalmente, la natura e la direzione, e da impedirne una regolazione adattiva. Immaginiamo che qualcuno, durante una cena, urti involontariamente un bottiglia d'acqua rovesciandola sul tavolo. E immaginiamo che questo incidente procuri la reazione risentita di un altro commensale, seguita da un aspro rimprovero per l'errore commesso. Magari il soggetto che ha rovesciato la bottiglia, in preda alla mortificazione, desiderava scusarsi e rimediare alla gaffe. Ma dopo essere stato invaso dall'aggressività intransigente dell'altro, non solo si identifica totalmente in essa - ad esempio reagendo con stizza - ma l'intento riparativo in origine sperimentato, viene inconsciamente estratto e portato via dal Sé (Bollas, 1989).
    Ecco la manipolazione: il soggetto è stato inconsciamente colonizzato da oggetti aggressivi inseriti per mano di un altro, e negli stessi si è identificato, lasciandosi privare degli intenti "riparativi" sperimentati prima della colonizzazione e indebitamente rubatigli.
  • Strutture psichiche: in questo caso l'introiezione estrattiva si estende ad una delle tre strutture psichiche (Io, Super Io e Es) andando a sostituirsi in toto alla stessa. Ovviamente la gravità dell'evento manipolativo è maggiore, poiché ad essere estromesso in modalità depauperante non è solo un contenuto mentale, ma la stessa struttura psichica che ne consente la formulazione. Si verifica soprattutto all'interno di rapporti in cui un'asimmetria di ruoli favorisce il dominio di un soggetto rispetto ad un altro (rapporti gerarchici o educativi). Ad esempio, un docente che squalifica continuamente le prestazioni di un alunno lo indurrà a identificarsi con una visione squalificante del Sé, privandolo delle risorse superegoiche necessarie non solo a motivare il miglioramento, ma persino a riconoscere l'errore. Il motivo è semplice: corretto sempre dall'esterno, l'alunno non sarà più in grado di correggersi da solo, e non ne avvertirà la necessità né il desiderio. Questo perché l'estrazione manipolativa del docente lo ha privato del Super Io e delle funzioni allo stesso collegate, compresa quella di correzione, di contenimento e autovalutazione. Costretto a fare a meno del Super Io, il soggetto in questione dovrà o rispecchiarsi in quello altrui, creando un Falso Sé vuoto e compiacente, o agire in assenza di un'istanza superegoica in grado di correggerlo e contenerlo. Con conseguenze non certo irrilevanti. Anche sul lungo termine. "Un bambino vittima di costanti introiezioni estrattive può decidere di identificarsi con il genitore aggressivo e inserire nella sua personalità questa identificazione, facendola funzionare come un Falso Sé. Egli può così agire in modo vorace e aggressivo, continuando a sua volta ad estrarre elementi psichici dalla vita degli altri" (Bollas, 1989, p. 139).
  • Personalità e nucleo del Sé: sono i più gravi casi di introiezione estrattiva, in cui la colonizzazione si spinge fino al furto dell'identità, inteso come nucleo più autentico e profondo del Sé. Come intuibile, l'effetto è disastroso: non vengono rubate soltanto le idee, le emozioni o le strutture psichiche, ma è l'intero Sé ad essere privato di se stesso, per divenire la propaggine periferica da una sadica occupazione proiettiva. Ce ne offrono esempio tutte quelle dinamiche disfunzionali in cui un soggetto cerca di imporre ad un altro la propria personalità, spingendolo a una condotta emulativa che si estende alla dimensione emotiva, cognitiva, relazionale, sociale.
    La stessa capacità di formulare giudizi autonomi perde vigore, tramutandosi nell'eco riflettente della personalità del dominatore: "L'individuo perde le capacità di creare significati, ma anche la capacità di sperimentarsi come vivo e reale" (Ogden, 2022, p. 33). Fino a scomparire del tutto come individualità autonoma e consapevole.
    L'invaso collude totalmente con il punto di vista del manipolatore, convincendosi di non aver mai avuto, e di non poter avere, opinioni diverse dalle sue. Egli cessa di esistere come persona autonoma, diventando un'estensione del Sé dell'altro, una propaggine informe della sua personalità. Il colonizzante viola i suoi confini personali con aggressività maligna. Si introduce e ruba, senza voltarsi. L'obbedienza al furto è adesiva, totale, ego sintonica, e priva colui che ne è vittima di ogni possibilità di difesa.
    Classico esempio di questa manovra invasiva è la c.d. follia a due, in cui una personalità dominante si sostituisce totalmente alla personalità di un altro, fino a cancellarne i confini e i contenuti; o ancora la sindrome di alienazione parentale - la tanto discussa e non ancora pacificamente ammessa PAS - in cui uno dei genitori cerca di imporre al figlio il proprio vissuto emotivo nei riguardi dell'altro genitore, al fine provocare un allontanamento affettivo tra i due. Ma la colonizzazione è così vessatoria, persecutoria e reiterata che non si limita a influenzare il rapporto del figlio con il genitore screditato: con il tempo la personalità del genitore dominante prende letteralmente il posto di quella del figlio, creando una sorta di collusione relazionale simbiotica in cui l'uno agisce nell'altro e per l'altro, cancellando ogni possibile distanza identitaria (Montecchi, 1997). Si origina così una personalità per due, volta ad appagare un'istanza narcisistica che è prima di tutto pulsione sadica, forclusiva e distruttiva dell'altro. Gli effetti sono altamente dannosi, spesso irreversibili: "Se l'estrazione viene effettuata da un genitore sul figlio possono essere necessari anni di analisi perché questi possa recuprerare la parte del Sé che gli è stata rubata" (Bollas, 1989, p. 134).
L'introiezione estrattiva in psicoanalisi: i "rischi" del setting

"Ogni introiezione estrattiva è accompagnata da una corrispondente identificazione proiettiva; quando viene sottratto qualcosa al posto di ciò che è stato tolto rimane un vuoto, una lacuna. Qui si depositano la disperazione e un insopprimibile senso di vuoto" (Bollas, 1989, p. 139) ... potremmo definirla una rabbia inconscia per aver perduto parti preziose del Sé, che non si placa neppure quando questo vuoto viene colmato con oggetti imposti dall'esterno. Si tratta infatti di corpi saturanti ma non nutritivi, oggetti amorfi, sconosciuti e minacciosi, da cui l'apparato psichico vorrebbe immunizzarsi e che invece lo violano profondamente, inducendolo a sperimentare un'aggressività rivendicante che può essere annullata solo restituendo quanto ha subito.

Il soggetto che attua l'identificazione estrattiva, impossessandosi dei contenuti mentali altrui per sopprimerli, molto probabilmente si è trovato a doverne subire gli effetti in passato, facendosi carico del senso di vuoto e annichilimento dalla stessa derivanti (Bollas, 1989).

La sua è una sorta di legge del taglione che, violando i confini identitari di un altro, favorisce il temporaneo controllo di una rabbia vendicativa, oltre a consentire il ripristino di un equilibrio indebitamente violato. Il "deprivato diventa così deprivante", in una sorta di identificazione con l'aggressore che limita la frustrazione e il senso di vuoto.

L'utilizzo dell'introiezione estrattiva è inconscio, e per questo difficile da identificare, per quanto diffuso e frequente. Neppure il setting ne viene risparmiato. Anzi, è possibile che, una volta giunto in terapia, il paziente se ne serva a scopo prettamente difensivo, in una sorta di resistenza che gli consente di invalidare l'alleanza terapeutica e perpetrare il sintomo fagocitante. Nello specifico, egli manifesterà l'inconscio desiderio di recuperare la parte della propria mente sottratta cercando di impossessarsi, in via compensativa, degli oggetti mentali contenuti nel terapeuta.

Il terapeuta avrà il compito di resistere a tale manipolazione, fronteggiando il saccheggio emotivo e cognitivo di cui il paziente cercherà di renderlo vittima. Soprattutto dovrà resistere alla tentazione di interpretare immediatamente gli atteggiamenti manipolativi del paziente, imparando a rispettare la presenza di quella capacità negativa che sospende tempi e linguaggi, disegnando una spazio di riflessione costruttiva tutt'altro che silenziosa.

Riempire i vuoti dell'analisi con le proprie interpretazioni costituisce una tentazione controtransferale indubbiamente "seduttiva", perché consente di appagare esigenze saturanti, pretese di sintesi egoica, pulsioni di certezza frustrate dal silenzio e dall'impotenza. Ma se non riuscirà a respingere questo canto delle sirene, il terapeuta otterrà il solo effetto di replicare il processo introiettivo-estrattivo commesso sul paziente, e lo costringerà a introdurre di nuovo nel Sé significati e contenuti emotivi, ideativi, interpretativi, derivanti dalla mente di un altro. E dunque non suoi.

Quando la psicoanalisi mette in guardia il terapeuta dal "sapere troppo", è proprio a questo che si riferisce: astenersi da interpretazioni immediate e contaminanti al solo fine di riempire i vuoti e le incertezze del setting, sostituendosi al paziente nell'attribuzione di significati a esperienze e vissuti pregressi.

Saturare lo spazio psichico del paziente con significati propri significa non lasciargli il tempo sufficiente per creare da solo una valenza emotiva a quanto ha vissuto. Per significare in autonomia le proprie esperienze. Oltre a non apportare nessun effetto terapeutico, ciò creerebbe i presupposti per quell'analisi infinita - in cui terapeuta e cliente, ostaggio di una collusione distruttiva - amplificano ciò che non funziona anziché ridurlo.

Al contrario, quell'attesa che parte dalla capacità di "sostare nel dubbio" e di abitare l'incertezza dei significati, consente la gestazione della creatività, in una poiesi tutta personale che restituisce al paziente quanto gli è stato tolto, mostrandogli come, quelle parti del Sé che credeva perdute, non siano poi così irrecuperabili.

Bibliografia di riferimento
  • Bollas C. (1989), L'ombra dell'oggetto, Raffaello Cortina, Milano
  • Cavicchioli G., Rosa S. (2017), Emozioni e relazioni nella separazione genitoriale. Aspetti teorici e d'intervento, Franco Angeli, Milano
  • Freud S. (1937), L'analisi finita e infinita, Davide Radice (a cura di), Polimnia Digital Editions, eBook
  • Freud S. (1938), Compendio di psicoanalisi, Opere di Sigmund Freud, Bollati Boringhieri, Torino 1967, vol. 11
  • Klein M. (1921-1958), Scritti 1921-1958, Bollati Boringhieri, Torino, 1978
  • Klein M. (1955), La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato, in Klein M., Heimann P., Money-Kyrle R. (a cura di), Nuove vie della psicoanalisi, Il Saggiatore, Milano, 1966
  • Klein M. (1957), Invidia e gratitudine, Giunti, Firenze, 2012
  • Klein M. (1958), Sullo sviluppo dell'attività psichica, in Scritti 1921-1958, Bollati Boringhieri, Torino, 1978, pp. 540-550
  • Klein M. (1955), Sull'identificazione, in Il nostro mondo adulto ed altri saggi, Martinelli, Firenze 1972, pp. 139-172
  • Lingiardi V., Madeddu F. (2002), I meccanismi di difesa, Raffaello Cortina, Milano
  • Montecchi F. (2016), I figli nelle separazioni conflittuali e nella (cosiddetta) PAS (Sindrome di Alienazione Genitoriale). Massacro psicologico e possibilità di riparazione, Franco Angeli, Milano
  • Ogden T. (1997), Rêverie e interpretazione, Astrolabio, Roma, 1999
  • Ogden T. (2022), Prendere vita nella stanza d'analisi, Raffaello Cortina, Milano
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