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Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisiL'articolo "Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisi" parla di:
Articolo: 'Tra furto e invasione: l'introiezione estrattiva in psicoanalisi'A cura di: Rebecca Farsi
Introduzione"L'introiezione estrattiva avviene in tutti i casi in cui un soggetto, per un certo periodo di tempo, da pochi secondi a tutta una vita, ruba un elemento della vita psichica di un altro" (Bollas, 1989, p. 134). Questa sorta di conquista del pensiero, operata senza una reale percezione cosciente, si compone di due manovre specifiche: in primo luogo, l'evacuazione di parti persecutorie del Sé all'interno della psiche altrui; secondariamente, l'estrazione dalla stessa degli oggetti psichici preesistenti, al fine di lasciare spazio espressivo a questi intrusi e indesiderati dominatori del Sé. A un'introiezione si accompagna un'estrazione. All'aggiunta di materiale esterno, si unisce la privazione di quello preesistente, in una sorta di "furto psichico": "Per alcuni aspetti, se una persona invade il territorio psichico di un'altra, non solo deposita in essa un parte non desiderata di Sé, come nel caso dell'identificazione proiettiva, ma prende anche qualcosa" (Bollas, 1989 p. 137). Non v'è nulla di reciproco in questa relazione decisamente manipolativa, ma solo un intento invasivo, finalizzato a impossessarsi della mente altrui, e uno depauperante, espresso attraverso l'eliminazione dei contenuti preesistenti. Chi subisce questa subdola invasione viene deprivato di contenuti individuali, soggettivi, volitivi; è infine costretto a infrangere il legame esclusivo con i nuclei identitari più intimi e con quel Sé potenziale che deve "cedere" inconsapevolmente all'invasore, abdicando ad ogni pulsione creativa, trasformativa e vitale in esso custodita. Differenze con l'identificazione proiettivaPer certi aspetti l'introiezione estrattiva rappresenta la degenerazione dell'identificazione proiettiva, meccanismo di difesa attraverso il quale parti indesiderate del Sé vengono proiettate in un soggetto esterno che le percepisce come proprie. Il processo di contagio identitario si svolge in maniera del tutto inconscia: l'altro si identifica con gli oggetti estranei in lui evacuati e se ne lascia agire collusivamente, comportandosi come se davvero gli appartenessero. Poniamo l'esempio di un padre che, al fine di regolare la propria impulsività, la proietta in via inconscia nel figlio, accusandolo di essere impulsivo, ribelle e disobbediente, e limitandone per questo l'autonomia. Il figlio si identifica inconsciamente nella descrizione del padre e, nel tentativo di contrastarne le condotte proibitive, diventa ancor più disobbediente. Cosa accade a livello inconscio?Il padre controlla la propria impulsività evacuandola nel figlio, che la accoglie come una parte del Sé conformandosi adesivamente a quella che, di fatto, si presenta coma una violazione intersoggettiva. Profonda, grave, e tuttavia non unica nel suo genere. "Credo esista un processo altrettanto distruttivo dell'identificazione proiettiva nel violare lo spirito di reciprocità ... si tratta di una procedura intersoggettiva che ne rappresenta l'esatto opposto e che chiamerò introiezione estrattiva" (Bollas, 1989, p. 134). In questo caso il proiettante non si limita ed evocare nell'altro condotte e stati emotivi che non gli appartengono, ma "ruba" letteralmente contenuti della sua vita psichica per sostituirli con i propri e saturarne i contenuti. Il tutto in una modalità inconscia "Nel momento in cui viene operato il furto, il soggetto che lo subisce può rimanere anestetizzato e può essere incapace di recuperare la parte del Sé rubata" (Bollas, 1989, p. 134). Al massimo percepirà una sensazione di lutto inconscio, di perdita dolorosa per ciò che è svanito, nell'ostile e incomprensibile intuizione che qualcuno gli abbia portato via qualcosa di prezioso, privandolo al contempo della possibilità di riprenderselo (Bollas, 1989). L'introiezione estrattiva amplifica i contenuti manipolativi dell'identificazione proiettiva. È più avida e crudele, e nel suo sadismo vorace si ciba letteralmente dei contenuti vitali che estrae dall'altro, deprivandolo del suo rapporto col Sé come oggetto (Bollas, 1989). Essa si accompagna sempre all'identificazione proiettiva, ma la supera degenerandone le conseguenze, a causa di un avido procedimento di estrazione in quest'ultima non riscontrabile. L'identificazione proiettiva vuole difendersi dalle proprie parti minacciose evacuandole nell'altro, e si limita ad evocare in lui comportamenti e stati d'animo, senza portargli via nulla. L'introiezione estrattiva costringe invece all'incorporazione di parti estranee del Sé, prendendo ciò che esisteva prima di questa manovra depauperante, che non si accontenta di condizionare. Vuole rubare. Impossessarsi. Estrarre per impoverire e distruggere. È una spinta invidiosa, ingrata in senso kleiniano, che non ruba tanto per arricchire il Sé, quanto per impoverire l'altro. E se nell'identificazione proiettiva si intravede ancora la volontà residua di instaurare un contatto, per quanto manipolativo, in questo caso l'istanza relazionale viene completamente azzerata. L'altro non viene visto come un oggetto nel quale controllare le proprie parti minacciose. Né come un oggetto nel quale evocare angosce e comportamenti non accettabili. Semplicemente l'altro non viene visto. Viene solo conquistato, e reso oggetto di un saccheggio psichico che lo priva di beni e risorse. Esempi di introiezioni estrattivePer quanto il concetto possa apparire piuttosto astruso, in realtà le introiezioni estrattive si verificano, nella realtà quotidiana, con sorprendente frequenza. E le sue conseguenze vanno di pari passo con l'importanza dell'obiettivo verso cui è rivolta. Si va da una semplice idea rubata durante una conversazione, a un'emozione sottratta durante una discussione, fino al furto di una pulsione motivazionale o di uno stato affettivo. Ma si può sottrarre anche di più, più a lungo e più pesantemente. Si può arrivare a rubare lo stesso Sé. Vediamo come, tenendo in considerazione che l'introiezione estrattiva, nelle sue multiformi modalità espressive, può avere ad oggetto:
L'introiezione estrattiva in psicoanalisi: i "rischi" del setting"Ogni introiezione estrattiva è accompagnata da una corrispondente identificazione proiettiva; quando viene sottratto qualcosa al posto di ciò che è stato tolto rimane un vuoto, una lacuna. Qui si depositano la disperazione e un insopprimibile senso di vuoto" (Bollas, 1989, p. 139) ... potremmo definirla una rabbia inconscia per aver perduto parti preziose del Sé, che non si placa neppure quando questo vuoto viene colmato con oggetti imposti dall'esterno. Si tratta infatti di corpi saturanti ma non nutritivi, oggetti amorfi, sconosciuti e minacciosi, da cui l'apparato psichico vorrebbe immunizzarsi e che invece lo violano profondamente, inducendolo a sperimentare un'aggressività rivendicante che può essere annullata solo restituendo quanto ha subito. Il soggetto che attua l'identificazione estrattiva, impossessandosi dei contenuti mentali altrui per sopprimerli, molto probabilmente si è trovato a doverne subire gli effetti in passato, facendosi carico del senso di vuoto e annichilimento dalla stessa derivanti (Bollas, 1989). La sua è una sorta di legge del taglione che, violando i confini identitari di un altro, favorisce il temporaneo controllo di una rabbia vendicativa, oltre a consentire il ripristino di un equilibrio indebitamente violato. Il "deprivato diventa così deprivante", in una sorta di identificazione con l'aggressore che limita la frustrazione e il senso di vuoto. L'utilizzo dell'introiezione estrattiva è inconscio, e per questo difficile da identificare, per quanto diffuso e frequente. Neppure il setting ne viene risparmiato. Anzi, è possibile che, una volta giunto in terapia, il paziente se ne serva a scopo prettamente difensivo, in una sorta di resistenza che gli consente di invalidare l'alleanza terapeutica e perpetrare il sintomo fagocitante. Nello specifico, egli manifesterà l'inconscio desiderio di recuperare la parte della propria mente sottratta cercando di impossessarsi, in via compensativa, degli oggetti mentali contenuti nel terapeuta. Il terapeuta avrà il compito di resistere a tale manipolazione, fronteggiando il saccheggio emotivo e cognitivo di cui il paziente cercherà di renderlo vittima. Soprattutto dovrà resistere alla tentazione di interpretare immediatamente gli atteggiamenti manipolativi del paziente, imparando a rispettare la presenza di quella capacità negativa che sospende tempi e linguaggi, disegnando una spazio di riflessione costruttiva tutt'altro che silenziosa. Riempire i vuoti dell'analisi con le proprie interpretazioni costituisce una tentazione controtransferale indubbiamente "seduttiva", perché consente di appagare esigenze saturanti, pretese di sintesi egoica, pulsioni di certezza frustrate dal silenzio e dall'impotenza. Ma se non riuscirà a respingere questo canto delle sirene, il terapeuta otterrà il solo effetto di replicare il processo introiettivo-estrattivo commesso sul paziente, e lo costringerà a introdurre di nuovo nel Sé significati e contenuti emotivi, ideativi, interpretativi, derivanti dalla mente di un altro. E dunque non suoi. Quando la psicoanalisi mette in guardia il terapeuta dal "sapere troppo", è proprio a questo che si riferisce: astenersi da interpretazioni immediate e contaminanti al solo fine di riempire i vuoti e le incertezze del setting, sostituendosi al paziente nell'attribuzione di significati a esperienze e vissuti pregressi. Saturare lo spazio psichico del paziente con significati propri significa non lasciargli il tempo sufficiente per creare da solo una valenza emotiva a quanto ha vissuto. Per significare in autonomia le proprie esperienze. Oltre a non apportare nessun effetto terapeutico, ciò creerebbe i presupposti per quell'analisi infinita - in cui terapeuta e cliente, ostaggio di una collusione distruttiva - amplificano ciò che non funziona anziché ridurlo. Al contrario, quell'attesa che parte dalla capacità di "sostare nel dubbio" e di abitare l'incertezza dei significati, consente la gestazione della creatività, in una poiesi tutta personale che restituisce al paziente quanto gli è stato tolto, mostrandogli come, quelle parti del Sé che credeva perdute, non siano poi così irrecuperabili. Bibliografia di riferimento
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