Comprendere se stessi attraverso i tasselli della memoria Il mosaico dei ricordi: un'esperienza terapeutica in gruppo
L'articolo " Comprendere se stessi attraverso i tasselli della memoria" parla di:
- Il percorso evolutivo del gruppo terapeutico: un caso
- Lavoro esperienziale e follow-up: racconti ed emozioni
- La "corale" tessitura della memoria e il "potere" del gruppo
Articolo: 'Comprendere se stessi attraverso i tasselli della memoria Il mosaico dei ricordi: un'esperienza terapeutica in gruppo'
INDICE: Comprendere se stessi attraverso i tasselli della memoria
- Introduzione
- Ricordare insieme: gruppo terapeutico esperienziale
- Marco e l'adolescenza ritrovata
- Dallo stare insieme al diventare un gruppo
- Raccontare se stessi: l'impasto tra passato e presente
- Otto a bordo: storia del gruppo
- Crescere in gruppo: un percorso per cicli di vita
- L'infanzia: le figurine di Norma
- L'adolescenza: Marco e la "tribù" degli amici
- L'età adulta: Lucia e la rincorsa al ruolo adulto
- Il secondo tempo del gruppo: il follow-up
- Il diario dei ricordi: Marco e i sapori che cambiano
- L'armonia delle parole di Carlo
- Ritrovarsi per ritrovare
- Considerazioni conclusive
- Bibliografia
Introduzione
In questo articolo viene trattato quello che possiamo definire un innato bisogno di ogni essere umano: rimanere in contatto con il proprio
passato attraverso "l'arte del ricordare".
Per arte del ricordare s'intende la ricostruzione anamnestica più o meno fedele di fatti ed eventi accaduti in epoche precedenti.
Viene messo in evidenza, nel corso dello scritto, come tale "ricostruzione" risenta di un "restauro" non completamente aderente all'originale,
in quanto falsato dalle interferenze del tempo trascorso e dalle trasformazioni percettive che il tempo stesso impone.
Nel momento in cui, attraverso la memoria, si ripercorre un evento accaduto in passato le trasformazioni che il ricordo subisce sul profilo
emotivo sono considerevoli.
Le emozioni originali, quelle cioè provate dal soggetto nel momento dell'accadimento dell'evento, possono essere ricordate, ma nel riportarle
alla memoria l'esperienza emotiva non potrà mai coincidere con quanto vissuto nel hic et nunc in cui l'evento si è realizzato.
A questo discorso si correla il fatto che ogni persona ha bisogno, più volte nel corso della vita, di percorrere a ritroso "il nastro
della memoria" per tornare, anche se per pochi istanti, in alcuni luoghi del passato degustandone, attraverso la rievocazione, sapori e odori
tipici a essi correlati.
Anche questo è un modo per volersi bene, rispettarsi, perché il passato di ciascuna persona fa parte del proprio bagaglio personale: di quello
che oggi è e di quello che oggi esprime, rendendo ogni donna e ogni uomo unici.
Ricordare insieme: gruppo terapeutico esperienziale
Il tema dei ricordi viene sviluppato nel corso dell'articolo attraverso la descrizione di un'esperienza fatta nella conduzione di un "gruppo
terapeutico esperienziale", che ho guidato in qualità di Psicologa e Psicoterapeuta familiare dal 2003 al 2006.
La traccia storica e originale del periodo in cui è vissuto il gruppo è riportata in quello che avevamo chiamato "Diario di Bordo",
nel quale venivano registrate le singole sedute (una sorta di quadernone facente la funzione di un diario in cui veniva riportato, per ciascun incontro,
la data e il sunto della seduta).
Il gruppo era composto da 8 persone di età compresa tra i 43 e i 49 anni.
Ciascuno condivideva con gli altri le proprie esperienze di vita presente, eventi significativi del passato o progetti per il futuro che, comunque,
dominavano i personali vissuti emotivi attuali.
Parlare di sé, delle proprie storie di vita, era quanto caratterizzava le sedute di questo gruppo, scandendone un percorso terapeutico
finalizzato alla crescita e all'evoluzione personale.
A distanza di qualche anno dalla conclusione del gruppo, sfogliando l'album delle sedute, pensai che sarebbe stato interessante organizzare
con gli ex membri un nuovo ciclo di incontri, un follow-up. E fu così che ci rincontrammo, tutti.
Erano passati 6 anni, e rincontrarsi su un piano diverso da quello del passato, in cui si era condiviso uno spazio terapeutico, fu importante
non solo per ricordare i vissuti del tempo, ma per parlare di oggi, dei cambiamenti avvenuti e di quegli obiettivi che si sarebbero voluti raggiungere.
Il follow-up serve infatti per fare una sorta di briefing a distanza di tempo, per valutare il raggiungimento di obbiettivi proposti
e realizzazione di cambiamenti avvenuti o meno.
Non tutto infatti si può ottenere nel tempo della terapia.
Ci sono aspetti e passaggi che hanno bisogno di tempi maggiori e, come sostiene Maurizio Andolfi (padre insieme a Luigi Cancrini
e al Gruppo di via Reno, come erano chiamati negli anni '70, della Psicoterapia familiare in Italia), la terapia a volte: «inizia
quando finisce».
Questo per dire che poi ogni individuo ha bisogno di dare in separata sede una collocazione a quanto attivato e stimolato dal ciclo terapeutico.
Nel corso di questo tempo "dopo il gruppo", nelle vite di ciascun partecipante, si erano registrati eventi importanti. Ad esempio c'era chi
era diventato nonno, e chi si era separato dopo anni di matrimonio.
Molte le tematiche emerse in questo nuovo breve ciclo, ma per lo più il vissuto storico del gruppo di quel tempo, del là ed allora,
prese il sopravvento sul "presente".
In tutti era ancora vivo il ricordo di alcune sedute.
Indelebili le tracce lasciate dai rapporti che si erano creati tra membri.
Frasi pronunciate, incomprensioni chiarite o rimaste in sospeso. Nonostante il tempo intercorso tutto questo era ancora dominante nelle emozioni
dei partecipanti.
Questo dimostra come le condivisioni all'interno di un gruppo terapeutico siano forti, come continuino a essere vive anche a distanza di anni.
Nel "secondo tempo" del gruppo i diversi partecipanti raccontarono i cambiamenti avvenuti nelle loro vite proprio riallacciandosi a quanto condiviso
insieme sei anni prima, come ad esempio fece Marco.
Marco e l'adolescenza ritrovata
Marco, nell'incontro di follow-up, si ricordò della seduta in cui sei anni prima aveva parlato della sua adolescenza come un momento
emotivamente molto carico, provando una sentita nostalgia di quegli anni.
Raccontò di aver avuto bisogno all'epoca del gruppo.
Per lui rappresentò il posto in cui poter parlare per rivivere in qualche modo la propria giovinezza attraverso il ricordo, l'esternazione
di quei vissuti rivisti ed espressi a distanza di circa 20 anni.
Marco proseguì il suo racconto condividendo un cambiamento avvenuto in questi anni, e cioè l'essersi potuto riavvicinare a quel
periodo della sua vita che tanto gli era rimasto nel cuore, attraverso contatti ritrovati con gli amici di allora.
"Galeotto" è stato uno strumento, nel frattempo diventato di diffusione, quale facebook che gli ha consentito di ritrovare i vecchi amici.
Marco è stato soddisfatto dal poter sentire amiche e amici di cui si erano perdute le tracce, ha potuto scoprire che anche in loro
vivevano la sua stessa nostalgia di quel periodo, scoprendo così un condiviso bisogno di ritrovarsi nonostante i loro cambiamenti e nuovi
stili di vita intrapresi.
Lo stesso facebook venne inquadrato dal gruppo di follow-up come lo strumento principe per ricongiungere persone, relazioni, e riformulare
possibilità d'incontro tra individui a distanza di anni, una sorta di "playmaker" nell'arte del ricordare e rivivere epoche precedenti.
Dopo aver cambiato il numero di telefono e l'indirizzo civico, per ritrovare gli amici di un tempo (compagni di scuola e vecchie frequentazioni)
basta digitare nel motore di ricerca nome e cognome di chi si vuol rintracciare.
Una sorta di carramabata a portata di tutti e a rendere possibile tutto questo, ancora una volta, il tanto amato e a volte bistrattato internet.
Dallo stare insieme al diventare un gruppo
In ogni gruppo, come in ogni altra esperienza terapeutica, c'è qualcosa di unico e irripetibile. Le ricchezze, le forze e capacità
contenute nel gruppo possono essere paragonate a un sistema estremamente complesso, come un universo in continua evoluzione e trasformazione.
Ma è anche vero che il gruppo può essere visto come qualcosa di molto piccolo, come un prezioso microcosmo.
Per le persone inserite in un gruppo ogni emozione, capacità e difficoltà di un'altra persona, diventano parte di tutti i membri,
questo costituisce un arricchimento per ciascun componente.
Come affermava Wilfred R. Bion:
«Solo con l'uscita da una mentalità individuale si crea una mentalità di gruppo dove le persone si fidano degli altri
e non si sentono costantemente giudicate».
È importante sottolineare che il gruppo terapeutico non nasce mai al primo incontro.
Perché più persone riunite possano costituirsi, considerarsi, come un gruppo bisogna lavorare insieme, condividere e imparare a fidarsi.
Il conduttore deve avere le idee chiare sugli obiettivi da proporre al gruppo.
Il passo successivo che deve fare consiste nello stabilire le regole di base per lavorare: orari, giorno e date degli incontri, il numero massimo
dei partecipanti.
Il tema principale dei primi incontri è l'esistere, ogni partecipante dovrà dimostrare a se stesso che può esistere
nel gruppo e per poterlo fare avrà bisogno dello spazio, del tempo e di un ambiente favorevole.
Ogni membro del gruppo deve essere lasciato completamente libero di scegliere cosa vuole portare di se stesso nel gruppo e il momento
in cui farlo.
Poi compito del gruppo, coordinato dal terapeuta, sarà quello di fornire una lettura del racconto condiviso, collegandolo a fantasie,
desideri,
bisogni e timori, che sono di uno ma anche di tutti.
Bisogna dare il tempo a ciascuno di sentirsi a proprio agio, offrendogli la possibilità di scegliere cosa raccontare, come e quando,
nulla sarà troppo o troppo poco.
Ciascuno è quel che vuol essere in un dato momento.
Sarà poi la restituzione gruppale, il confronto con gli altri e la crescita in gruppo a far crescere il singolo.
Il Terapeuta deve essere un conduttore, colui che stabilisce le regole e partecipa alle sedute insieme ai membri - senza centralizzare
se stesso - creando ad esempio un rapporto uno a uno con il paziente che parla di sé, ma ricordando quale è la ricchezza del gruppo
ovvero: più teste, più cuori, più occhi e più orecchie.
È poi importante tenere in considerazione che il gruppo ha un termine.
Ogni cosa ha un suo ciclo naturale e questo è vero anche per il gruppo.
A conclusione di un ciclo sarà sempre possibile, se si vuole, dare una diversa continuità all'esperienza vissuta insieme, con
la consapevolezza che il nuovo ciclo non sarà mai uguale al precedente, anche se i partecipanti sono gli stessi.
L'orientamento sistemico relazionale prevede una scansione temporale della terapia, quando la famiglia, la coppia o il singolo hanno
raggiunto obiettivi anche semplici ma concordati con il terapista all'inizio dei lavori, la terapia va verso un epilogo.
Poi magari ci si rincontra a distanza di tempo, sempre concordato, per vedere come tali obiettivi procedono.
Raccontare se stessi: l'impasto tra passato e presente
La biografia di ciascuno di noi rappresenta una faccenda molto delicata, a volte complessa da ripercorrere per tutto il carico emotivo che
porta con sé, ma altrettanto naturale come il raccontarsi ai posteri.
Quale nonno non ha raccontato eventi epici della sua giovinezza ai propri nipoti?
Così come quando ci si prepara a diventare genitori si immagina già, durante l'attesa del bimbo, quante cose abbiamo da raccontargli
e, magari, chissà quante altre pensiamo sarebbe meglio omettere.
Il passato, bello o meno bello che sia, è sempre qualcosa con cui dobbiamo fare i conti, o più semplicemente confrontarci,
in quanto è padre del nostro presente.
Anche il passato più carico di sofferenze e ferite, che vorremmo rimuovere a ogni costo, si ripropone a noi nel momento in cui ne prendiamo
le distanze.
Per essere più chiari, quante volte abbiamo fatto una scelta specifica proprio perché in passato, nella medesima situazione,
ne avevamo fatta un'altra.
Si tratta di una scelta non libera, ma condizionata da un evento precedente e quindi si entra in contatto con quel passato proprio nel momento
in cui si vorrebbe agire un distacco e un annullamento dello stesso.
Quando invece il passato di una persona è bello e glorioso, la persona stessa tende a riproporre per quanto possibile un comportamento
analogo, a fare scelte affini a quante ne aveva già fatte.
In questi casi è importante non rimanere imbrigliati nel passato, questo significherebbe costernare il presente e soprattutto non tenere
il ritmo di un tempo in costante evoluzione e cambiamento e, da tale dinamica, si creerebbero i presupposti per scivolare nell'anacronismo.
Sovente i ricordi affiorano spontaneamente senza un apparente motivo specifico, se non per l'automatico, quanto a volte inconscio, bisogno
di guardare alla nostra vita da tutte le angolazioni: frontale, ma anche dal retro.
Altre volte invece, il passato diventa un luogo nel quale rifugiarsi per trovare riparo creando una sorta di immunità da rischi e pericoli
generati nel qui e ora.
Resta comunque imprescindibile che tornare, a distanza di tempo, "sulle tracce del passato" è un modo per capire meglio se stessi e
riconciliarsi con parti della nostra sfera emotiva ancora attive e non sempre ben chiare alla nostra consapevolezza.
A volte si tratta di parti di sé rimaste abbandonate, dalle quali siamo scappati per paura di viverle e di entrare in contatto con intense
emozioni di sofferenza ma anche di gioia.
Altre volte invece, abbiamo solo aspettato che il tempo trascorresse e ci distanziasse da quelle circostanze, senza mai affrontarle veramente,
tanto da portarne ancora dentro i sedimenti con il loro peso e una mancata elaborazione.
La memoria emotiva, quella cioè che passa attraverso le emozioni, è un grande dono che, oltre a consentirci momenti di
piacevolezza nel rievocare, rappresenta un valido strumento di crescita attraverso l'osservazione di noi stessi consentendoci di mettere a confronto
alcune nostre parti in un rapporto dinamico tra il prima e il dopo, tra il nostro passato e il nostro presente.
Otto a bordo: storia del gruppo
I protagonisti del percorso "in" gruppo sono otto persone: quattro donne e quattro uomini.
Quando iniziammo la nostra avventura terapeutica correva l'anno 2003 e loro erano poco più che quarantenni, dunque persone giovani, in una
fase importante del ciclo di vita.
I quaranta sono infatti gli anni della realizzazione familiare e lavorativa.
A volte troppi carichi di responsabilità gravano sugli stili di vita di persone adulte, che guardano al loro passato con nostalgia
per gli anni trascorsi nella spensieratezza, ma al tempo stesso condividono la convinzione che l'oggi è condizionato dai vissuti precedenti
sia familiari che personali sia relativi al periodo sociale che li ha accolti.
Il gruppo si incontrava con frequenza settimanale per una durata di due ore a incontro.
Questo gruppo si chiamava "esperienziale" poiché aveva come obiettivo quello di lavorare sulle esperienze di vita di ciascuno, conoscere meglio
se stessi e imparare a esternare emozioni.
Ogni membro nel gruppo era sia protagonista, nel portare i propri vissuti per lavorarci con il contributo di tutti, sia co-protagonista nella
fase in cui interagiva insieme agli altri membri e al Terapista, nel mettersi a disposizione degli altri partecipanti, con la propria emotività
e razionalità, dopo averne ascoltato il racconto di vita.
Nel gruppo ogni partecipante - a turno - esternava un proprio vissuto emotivo importante e il Terapista - insieme al resto dei membri - forniva
una chiave di lettura e una riflessione condivisa sulla tematica portata.
La scansione delle singole sedute seguiva l'ordine delle tappe del ciclo di vita:
- infanzia,
- adolescenza,
- età adulta,
- maturità,
- vecchiaia.
Ciascun membro del gruppo - nel parlare di sé - sceglieva una di queste fasi e quindi l'ordine temporale definiva chi di volta in volta
avrebbe raccontato di sé e quale vissuto storico avrebbe condiviso.
Più membri a volte sceglievano di parlare della stessa fase evolutiva.
Racconti del passato e progetti per le tappe evolutive successive rappresentarono il canovaccio lungo il quale prese avvio e forma il percorso
evolutivo del gruppo terapeutico.
Norma, una componente del gruppo, in una seduta aveva parlato della sua infanzia spensierata, dei giochi preferiti e di quegli odori
che si collegavano al ricordo di quegli anni della sua vita.
Nella seduta successiva, Marco, quarantacinquenne, parlò della sua adolescenza e della nostalgia di quegli anni ormai lontani.
Crescere in gruppo: un percorso per cicli di vita
Il "percorso evolutivo" del gruppo esperienziale, da me condotto, ha seguito la matrice temporale del ciclo vitale.
Ripercorrere le tappe della nostra esistenza ha un grande valore educativo e terapeutico.
Il gruppo, fungendo da specchio in cui riflettersi e vedersi, e al contempo da cassa di risonanza in cui sentirsi, facilita la conoscenza
e l'espressione del sé individuale.
Ho scelto di illustrare qui ciascun ciclo vitale percorso attraverso l'esperienza condivisa da e tra i membri del gruppo, ognuna "incisa"
nel Diario di Bordo.
L'infanzia: le figurine di Norma
Norma, nel corso di una seduta, riporta un frammento della sua infanzia.
Le pagine del diario di bordo relative a questa seduta narrano così:
«Ricordo da bambina il divertimento e la dedizione con cui portavamo avanti la raccolta di figurine. All'uscita dalla scuola
elementare, era tappa fissa fermarsi in edicola per comperare chi due e chi anche 10 pacchetti di figurine Panini.
Ne ricordo ancora l'odore dolciastro della colla e le pagine bianche dell'album con le caselle numerate in ordine progressivo, si completavano
di colori e scritte, relative a paesaggi, personaggi dei fumetti e della tv.
Noi bambini eravamo contenti quando avevamo completato l'album che per lunghe settimane avevamo portato sempre con noi, era il primo quaderno
che la mattina tiravamo fuori dalla cartella per confrontarlo con i compagni e quindi scambiarci i doppioni delle figurine».
Ricordi di molti anni prima conservano immagini, odori ed emozioni tipiche di quel periodo, mescolate alle sensazioni che l'evocazione stessa
implica.
In particolari momenti della vita, ad esempio a seguito di importanti cambiamenti, si ha come la naturale esigenza di tornare in un altro
specifico momento della nostra esistenza precedente, di riappropriarsi di parti di sé per come sono diventate oggi.
In altri termini l'arte del ricordare ci piace, affascina tutti noi esseri umani, non tanto per ritrovare quello che eravamo un tempo
o quello che una certa circostanza ha determinato in noi in un'epoca precedente (come invece crediamo), ma per la sensazione che ci provoca
nel momento in cui la "pratichiamo".
Ripensare a un album di figurine dell'infanzia consente, ad esempio, di entrare in contatto con le esperienze e le motivazioni vissute durante
quegli anni, le quali hanno influenzato e determinato - e continuano a farlo - i rapporti dell'adulto "di oggi" con il mondo esterno, con i colleghi,
con le figure parentali, ma anche con parti di sé rimaste incontaminate dalla crescita.
Norma ha 44 anni quando porta in gruppo questo spaccato della sua vita, è sposata, ha una figlia di 5 anni e due giorni prima era
stato il terzo anniversario della morte di sua mamma.
La restituzione (ossia la spiegazione in merito al suo racconto) che il gruppo ha fornito a Norma è stata quella di mostrarle come
con la perdita della madre si sia sentita investita da un senso di fragilità.
Ripensare a un episodio della propria infanzia, in apparenza indipendente dalla perdita subita, le ha permesso di ritornare a vivere in luoghi
emotivi in cui tutto era diverso da oggi.
Diversi erano gli scenari, diversi i protagonisti, c'era lei bambina e la relazione con sua mamma, come lei stessa ha confermato dopo averglielo
fatto notare. Ogni mattina prima di andare a scuola era sua madre a darle duecento lire per comperare le figurine.
Per Norma ricordarsi le figurine è stato un modo per continuare a ricordarsi viva sua madre e per sentirsi meno fragile.
L'adolescenza: Marco e la "tribù" degli amici
Il protagonista di questa seduta è Marco (lo stesso di cui si è accennato all'inizio dell'articolo), il quale afferma che il periodo
della vita che ricorda con maggiore entusiasmo ed emozioni è quello adolescenziale.
Nel Diario di Bordo la seduta dedicata al racconto di Marco adolescente viene riportata così:
«Eravamo molto uniti e ci piaceva molto stare insieme, il tempo sembrava volare e forse era anche per questo che rientravamo
sempre in ritardo a casa per i pasti. I nostri genitori si arrabbiavano e ciascuno rimproverava il proprio figlio o figlia, accusandoci di aver
scambiato casa per un albergo!
Eravamo circa trenta amici che nel periodo estivo ci incontravamo nello stesso stabilimento balneare. Ci conoscevamo dall'infanzia, quando giocavamo
insieme e trascorrevamo le estati in quella località di mare, per lo più con i nonni, mentre i nostri genitori arrivavano nel fine
settimana. Eravamo cresciuti insieme anche se poi nei mesi invernali ci sentivamo solo telefonicamente e per lettera, come usava a quei tempi!
Ma la comitiva s'intensificò di emozioni e di condivisioni quando diventammo un po' più grandi, quando tutti avevamo tra i 15 e
i 17 anni ed andò avanti per ancora 10 anni. Quindi dalle prime uscite serali con motorini e poi motociclette, arrivammo a festeggiare
eventi importanti: la laurea di alcuni, il matrimonio di altri. Ad oggi - continua Marco - sono passati diversi anni, eravamo nei primi anni '90
e ancora i cellulari scarseggiavano, infatti comunicavamo con il telefono di casa, come si diceva un tempo e questo fu invalidante poiché,
cresciuti, ciascuno prese la propria via e il motto "stessa spiaggia stesso mare" all'improvviso decadde. Era finita la nostra adolescenza, eravamo
diventati uomini e donne, ma ancora oggi penso a quegli anni come! anni meravigliosi della mia vita e non posso non provare nostalgia, profonda
nostalgia!».
Il gruppo, terminata la fase del racconto del protagonista di questa seduta, riflette su ciò che caratterizza questo periodo del ciclo
vitale, l'adolescenza appunto.
Sono gli anni in cui il giovane vive l'appartenenza alla famiglia d'origine e il conflitto con essa, per dare spazio alla propria creatività
e alle proprie esigenze personali.
Sono gli anni in cui non esistono vie di mezzo, ma le scelte passano attraverso il bello e il brutto, il giusto o lo sbagliato, il bianco o il nero.
Il ragazzo adolescente desidera confrontarsi e interagire con il gruppo degli amici, quindi dei pari, con i quali identificarsi e crescere
insieme. Le uscite in comitiva, il senso dell'appartenenza e la fedeltà ai principi stabiliti, fanno del gruppo un micro mondo.
Per un verso, gli adolescenti cercano l'autonomia dalla famiglia e quindi avvertono il bisogno di sentirsi grandi, ma dall'altro riscontrano
in se stessi fragilità tali che al momento del bisogno vogliono sentire la mamma e il papà vicini, pronti a sorreggerli e accudirli.
Queste riflessioni, riportate dai compagni di percorso, consentirono a Marco di identificarsi ancora di più con quegli anni e con le esigenze
di quel tempo: appartenere alla famiglia, ma al contempo raggiungere una certa autonomia.
Ha 45 anni Marco quando porta nel gruppo la sua nostalgia per quegli anni, è un architetto ed è sposato con due figli.
Le sue responsabilità di "capo famiglia" lo portano a sentire intensamente l'esigenza di voler rivivere quegli anni attraverso il racconto
al gruppo.
Quando si racconta infatti, non solo si vanno a ripescare dalla memoria ricordi di vissuti ed emozioni, ma c'è anche qualcun altro
che ascolta, che è interessato a quel racconto e fa da cassa di risonanza fornendo pareri e opinioni.
Nel caso di Marco i contributi del gruppo hanno evidenziato aspetti di sé che, preso da altro, non aveva notato. È come se un
profondo bisogno di leggerezza si celasse dietro alla nostalgia per gli anni dell'adolescenza, questo in sintesi il gruppo rimandò in quella
seduta al suo protagonista.
Si tesse dunque a più voci la tela del ricordo, quando la rievocazione avviene in un gruppo.
L'età adulta: Lucia e la rincorsa al ruolo adulto
Per età adulta ci riferiamo a quella fascia di età che va dai 30 ai 45 anni circa.
Chi si trova in questa fase della vita attraversa un periodo denso di cambiamenti e molti sono gli obiettivi da realizzare, tra fatica ed entusiasmo.
Per chi ha studiato, l'università è finita, sono gli anni della definizione professionale, del desiderio di una famiglia propria.
Abbiamo quindi la scelta di una professione, l'uscita dalla famiglia d'origine (spesso in ritardo rispetto a quanto accadeva in passato),
la formazione di una nuova famiglia propria.
Lucia ricorda i suoi 28 anni e con lei si apre un altro capitolo del nostro Diario di Bordo. Racconta di essersi laureata in Giurisprudenza
nel mese di luglio e, a settembre dello stesso anno, si è sposata con Flavio, erano fidanzati da dieci anni.
«Mi sembrava - afferma Lucia ormai 44enne - di essere improvvisamente in ritardo nella mia vita, quindi nel giro di due mesi
discussi la tesi di laurea e mi sposai. Mi sentivo finalmente realizzata, forte, una donna che ora poteva avere una famiglia e la carriera,
tutto quello che avevo desiderato.
Passarono pochi mesi e, dopo quell'entusiasmo iniziale, non riuscivo ad identificarmi in quella nuova vita, a sentirla mia, l'avevo immaginata
ed idealizzata, ma al momento di viverla la sentivo lontana da me.
Dopo 6 mesi di matrimonio mi separai cadendo in una profonda depressione, mi sentivo incapace, fragile e nuovamente irrealizzata.
Per più di un anno non sono uscita di casa, neanche per andare a fare la spesa, ingrassai notevolmente e pensavo a quanto avessi fatto
del male al mio ex marito e ai miei genitori».
Lucia nel gruppo esperienziale ripercorse attraverso il ricordo quel periodo, di circa 15 anni prima, che segnò per sempre la sua vita.
Dopo questo durissimo periodo Lucia è diventata madre di due bambine, di 6 e 4 anni, e avvocato matrimonialista che lavora con successo.
Esprimere la confusione e la sofferenza di quegli anni la portò a un confronto con il resto del gruppo che le fece notare come grazie
a quel periodo, sicuramente doloroso della sua vita, era poi riuscita a crescere, a fare delle scelte sentite e non dovute, perché dopo molti
anni di fidanzamento bisogna sposarsi, magari per dare una soddisfazione ai propri genitori, oppure perché il costume sociale vuole così.
Possiamo concludere commentando questa esperienza vissuta nel gruppo, dicendo che i ricordi sono un po' come la descrizione di cicatrici
presenti nel corpo, basta guardarle e intorno a esse scorrono fiumi di parole ed emozioni.
Il secondo tempo del gruppo: il follow-up
Era il febbraio del 2011 quando ci rincontrammo e il fine era quello di parlare di se stessi e di come stavano procedendo le proprie vite rispetto
a quando ci salutammo sei anni prima.
Si trattò per il gruppo esperienziale, di due incontri organizzati a distanza di 6 anni dalla conclusione del ciclo terapeutico.
Tutti i protagonisti tornarono e il gruppo si ricostituì.
Questo aspetto fu per me una grande soddisfazione, significava che nella loro vita l'esperienza precedente aveva avuto un valore importante.
Nel concordare le date e gli orari non ci furono grossi problemi.
Si fece in modo di venirsi incontro per gli appuntamenti, a nessuno andava di saltare questi incontri. Ricordo che in molti presero permessi
dal lavoro, solo Norma ebbe delle difficoltà e il gruppo venne incontro a questo disagio e riuscimmo a incontrarci.
Avevo davanti a me persone ormai nella fase della "mezza età", avevano infatti tra i 50 e i 55 anni, anche se a vederli sembrava che
tutti avessero mantenuto una tempra di giovinezza sia nell'aspetto fisico che nel modo di porsi e di parlare, questo mi colpì prima di
ogni altro aspetto.
Alcuni di loro erano diventati nonni, due si erano separati dai rispettivi coniugi dopo molti anni di matrimonio (questi i cambiamenti più
eclatanti!).
Dal mio archivio tirai fuori il loro Diario di Bordo, strumento da cui partimmo e sul quale imbastimmo il nuovo lavoro insieme,
che si arricchì di nuove pagine.
Ecle, una delle partecipanti, prese per prima la parola e disse:
«Ci rivediamo dopo anni e siamo in un periodo sociale molto particolare, dove veramente ogni persona avrebbe bisogno di un
supporto psicologico considerate le crisi politiche, economiche e dei valori in generale. Le persone sono sempre più sole ed isolate,
si isolano in internet che è un mezzo invece molto valido se usato bene, l'informatica infatti è uno dei pochi settori che regge
il mercato.
Noi ad esempio attraverso facebook ci siamo tenuti in contatto e con alcuni ci siamo anche visti in skype, mentre non siamo riusciti ad incontrarci
dal vivo neanche per un caffè».
Questi adulti, ragazzi degli anni '80/90, nella loro giovinezza hanno conosciuto il benessere economico. Era un'Italia ricca di stimoli che
ha poi iniziato a vacillare fino ad arrivare a toccare difficoltà evidenti come quelle odierne.
Il gruppo sembrava condividere uno stesso assunto teorico dal quale partire nella loro fase di rincontro, e cioè di quanto sia difficile
mantenere oggi un equilibrio personale considerata l'instabilità sociale.
Con il discorso d'apertura di Ecle si è entrati nel tema del rapporto tra relazioni e nuove tecnologie. La riflessione che animava
il gruppo ruotava attorno al fatto di come sia possibile mantenere vivi rapporti, e quindi ricordarsi di persone con le quali si è condiviso
molto come appunto un gruppo terapeutico, attraverso il mondo dell'informatica.
Non è più necessario uscire di casa, ma si possono contattare e anche "vedere" altre persone rimanendo comodamente nella propria
abitazione.
Dunque regressione economica ed espansivo sviluppo dei mezzi telematici, questo caratterizzava il momento sociale in cui avvenne il follow-up.
Il diario dei ricordi: Marco e i sapori che cambiano
All'incontro di follow-up è presente anche Marco, che che abbiamo già incontrato nella rievocazione della sua adolescenza.
Marco si collega alle parole di Ecle e afferma:
«Noi abbiamo avuto la fortuna a differenza dei nostri di figli, di essere stati ragazzi in un momento in cui l'economia italiana
era forte, ma la telematica anch'essa in grossa espansione, non era ancora come oggi alla portata di tutti e per un uso pratico e quotidiano».
Per Marco la grossa novità da raccontare al follow-up è quella di essersi potuto ricongiungere ai compagni degli anni dell'adolescenza,
ormai diventati tanto noti al gruppo esperienziale, tutto questo grazie a facebook.
Nelle precedenti pagine del Diario di Bordo, lo avevamo lasciato con la nostalgia di quegli anni adolescenziali e spensierati, lo avevamo
ritrovato a distanza di sei anni come se, in parte, gli fosse stato concesso di riappropriarsi di quel periodo idealizzato della sua vita, ricucendo
un tessuto relazionale con gli amici dell'epoca.
Da amici di spiaggia e del cuore, come possiamo definirli negli anni in cui si sono conosciuti, si erano ora ritrovati - attraverso
una rete di comunicazione telematica - a essere amici in un social network.
Dunque non più sapore di mare, ma comunque sapore di un ricongiungimento a una parte della propria vita rimasta molto presente
nella mente di Marco che aveva continuato ad amare, guardando dentro di sé con nostalgia a quel ragazzo che era stato!
Come avvenuto durante il gruppo esperienziale, anche con gli amici ritrovati era ora possibile per Marco rimembrare il suo (e il loro) passato,
condividere ricordi ed emozioni attivando nel qui e ora parti importanti del sé, riassaporare le emozioni della libertà generate sì
dagli stimoli di un'epoca precedente, ma rivissute nel presente.
Marco continua il suo discorso affermando:
«Sono quindi stato fortunato e così da ormai due o tre anni, ho creato una mia pagina facebook dove sono andato a cercare
i miei vecchi amici perduti, li ho ritrovati quasi tutti. Non c'è il sentore del mare come un tempo, ma foto di ciascuno di noi riportate nell'album
del diario del social network che, come in un mosaico, ricompongono la storica comitiva.
Le foto scandiscono il tempo trascorso e le parole attraverso chat o messaggi privati, hanno inizialmente colmato il vuoto degli anni trascorsi
lontani, ci siamo raccontati ed aggiornati sulla nostra evoluzione di vita, poi ora ci sentiamo quotidianamente o quasi in una nuova complicità
attuale e rigenerata».
Quando Marco ci parla al follow-up del suo ricongiungimento con gli amici dell'adolescenza, esterna nuove emozioni che prendono forma da
una continuità o - come lui stesso dice - da una forma di evoluzione del passato nel presente.
Tutto il ciclo della nostra vita altro non è che una continuità, anche quando ci sono cambiamenti radicali e imponenti, il presente risente
sempre del passato, degli insegnamenti che esso ha dettato, delle nuove acquisizioni a cui ha portato.
L'armonia delle parole di Carlo
"L'armonia delle parole" è un altro titolo nel Diario di Bordo di una vecchia seduta del gruppo esperienziale.
Il protagonista di questa seduta è Carlo, che ritroviamo al follow-up all'età di 55 anni, rimasto recentemente solo dopo
la morte di sua moglie.
Anche lui durante il periodo del gruppo aveva parlato della sua infanzia, ne aveva riportato sensazioni e opinioni scritte.
Le sue parole erano rimaste impresse al gruppo per la poeticità e per le forti sensazioni che avevano suscitato, tanto che andammo a rileggerci
quelle pagine.
Con la voce di Tommaso (altro protagonista del gruppo storico), ascoltammo le parole di Carlo riportate nel diario di bordo:
«Gli anni passano, ma non i ricordi dell'infanzia.
Improvvisamente, mi do da fare per rivedere i luoghi di un tempo lontano e ripenso alle vicende della vita che spesso separano senza concedere
un ritorno. Ricordo un bisogno lontano di eclissare verso il nuovo, verso l'ignoto, come se l'abituale ed il noto fossero diventati piccoli e
limitati.
Ad oggi, mi rendo conto che il passato è solo un ricordo rimasto nella mia mente e nel mio cuore. Rivedo quel bambino che ero, quegli affetti
che mi confortavano, quei luoghi che mi ospitavano ed oggi non ci sono più.
Nulla è rimasto come allora, il paese, la gente, la natura, tutto è cambiato tanto da farmi sentire un estraneo».
Riascoltando la sua esternazione emotiva di quegli anni, Carlo si ritrovò con le lacrime agli occhi e aggiunse:
«Non mi sento più straniero nei luoghi dei ricordi più belli, con il ricordo vado nel mio paese natale, torno lì
non in carne ed ossa, ma con la memoria e con il pensiero, solo in questo modo ritrovo me stesso.
Grazie a questo percorso fatto e condiviso con voi sei anni
fa, oggi sento che tutto può appartenermi, senza strappi, senza sentirmi più estraneo dentro me stesso semplicemente perché
fuori è tutto cambiato».
Carlo fa questa considerazione a poco tempo dalla morte di sua moglie, affermando che l'allenamento fatto nel gruppo a rimanere in contato
con le proprie emozioni lo ha aiutato molto a vivere una fase tanto difficile quanto dolorosa della sua vita.
Il tempo trascorre e il mondo continua a girare, dentro le persone arrivano emozioni importanti che non sanno spiegarsi, credono che siano
inutili in quanto superate dal tempo stesso.
La mente s'impone facendo la forzatura di spostare tale pensiero e l'emozione che l'accompagna nell'oblio e ci si concentra su cose più
pratiche, più attuali e in contemporanea una inspiegabile sensazione di malessere prende il sopravvento.
Troppe volte non rispettiamo noi stessi, il bisogno di ascoltarci e capirci, tutto questo anche se sembra banale diventa invece causa di malesseri.
Per concludere vorrei mettere in risalto un ultimo aspetto e cioè che Carlo nella sua seduta arricchisce il gruppo con un nuovo assunto:
dopo aver perseguito per molti anni il culto del cambiamento, si diventa vessilli della continuità, della ricerca del legame tra passato
e presente nella propria storia di vita!
Ritrovarsi per ritrovare
Il follow-up fu per tutti noi un momento molto emozionante: eravamo veramente felici di rincontrarci e poter aggiungere nuove pagine a questo
capitolo della nostra storia di vita.
Come Terapeuta avevo una forte "ansia da prestazione".
Non pensavo che tutti avrebbero partecipato a questi nuovi incontri e rimasi sorpresa nel constatare che tutti serbavano ricordi così
importanti del periodo del gruppo.
Mi entusiasmò molto il fatto che noi, che avevamo lavorato tutti insieme sul vissuto storico individuale di ciascuno, potevamo parlare
ora del nostro passato, di un passato "comune".
Ci rincontrammo per ritrovare ciò che avevamo condiviso sei anni prima, che tutti ci ricordavamo vividamente, a cui guardammo non solo
con affetto - come ci venne facile - ma anche in maniera critica per capire a cosa ci aveva portato, in cosa ci aveva influenzato e come avevamo
vissuto la separazione.
La Terapia familiare si basa sull'assunto che tanto più si appartiene a un sistema, tanto più è semplice separarsi da esso,
senza sospesi e senza interruzioni.
Separarsi significa anche avere la forza di rincontrarsi e noi riuscimmo a realizzare tutto questo: una buona separazione e un rivedersi entusiasta
e ricco di energie.
Considerazioni conclusive
Tessere la trama dei ricordi aiuta a orientarci nel comprendere chi siamo oggi e che direzione stiamo seguendo. Poter condividere il nostro
passato, e il vissuto ad esso legato, all'interno di un gruppo consente di dare forma e voce ai nostri ricordi, quindi di vederli e ascoltarli,
saggiarne il peso.
Un gruppo composto di persone è fatto di tante storie e mentre i singoli membri si raccontano in presenza del Terapista - che diventa
con loro lettera e penna dello stesso foglio da inserire nel Diario di Bordo - si sta scrivendo un'altra storia, anch'essa fatta di vissuti
e di emozioni che rimarranno indelebili nelle memorie dei protagonisti del gruppo stesso.
Dunque non solo nomi, non solo parole, ma vissuti condivisi che hanno permesso a ciascuno di noi (me compresa e non solo dal punto di vista
professionale), di crescere grazie alla forza di confrontarci, di essere diventati nel corso del tempo una squadra collaudata con i suoi giocatori
e con il suo allenatore-terapista.
Il nostro schema di gioco era l'esplorazione delle emozioni contenute nel ricordo di fasi di vita vissute e quindi precedenti al presente.
Tutto questo fa parte della vita e fa parte di un percorso terapeutico fortemente arricchente non solo sul piano individuale, ma anche e soprattutto
relazionale.
Questo lavoro con "il mio" gruppo esperienziale è stata un'esperienza altamente formativa. Mi sono potuta sperimentare nell'essere parte
attiva del gruppo, parlando anche di me stessa, in riferimento a quanto esternato dai membri e stare più "a bordo campo" in altri momenti,
lasciando al gruppo la possibilità di giocare la sua partita.
Rifacendomi alle indicazioni di Carl Whitaker, nel lavorare con il gruppo sono stata l'allenatore che sa stare dentro e fuori dalla
partita.
Spero che tale articolo possa essere d'aiuto per i colleghi alle prese con la clinica al fine di avere chiaro che tanti più sono i membri
che partecipano a una terapia, tanti più stimoli su cui lavorare emergono. Ad esempio nel caso delle famiglie tanto più il Terapista
riesce a coinvolgere i familiari a partecipare, tanto più è bravo.
... avere come coterapeuta il gruppo non è cosa da poco!
Bibliografia
- Demetrio D., "Il gioco della vita. Kit autobiografico", Guerini e Associati Editore, Milano, 1997
- Malagoli Togliatti M., Telfener U., "Dall'individuo al sistema. Manuale di psicologia relazionale", Bollati Boringhieri, Torino, 1991
- Marchetti T., "Diversi colori del ruolo genitoriale. Un approccio sistemico-relazionale sul rapporto genitori figli in alcuni momenti critici della storia familiare",
Edizioni Kappa, Roma, 2001
- Pietropolli G., Riva E., "Adolescenti in crisi genitori in difficoltà. Come aiutare e capire tuo figlio negli anni difficili", Franco Angeli,
Milano, 1995
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