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L'interpretazione simbolica del disegno infantile

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L'interpretazione simbolica del disegno infantile
Realtà e simbolo nell'arte, nei bambini e nella malattia mentale

L'articolo "L'interpretazione simbolica del disegno infantile" parla di:

  • Simboli, "Strutture Universali" di Piaget e "Archetipi" di Jung
  • Regressione affettiva e psicosi. Errori "normali" e "patologici"
  • Arte: il linguaggio dell'infanzia, dell'inconscio... della "follia"
Psico-Pratika:
Numero 79 Anno 2012

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Articolo: 'L'interpretazione simbolica del disegno infantile
Realtà e simbolo nell'arte, nei bambini e nella malattia mentale'

A cura di: Aurora Capogna Collaboratore HT
    INDICE: L'interpretazione simbolica del disegno infantile
  • Premessa
  • Il simbolo tra clinica e arte
  • Il simbolo in Piaget e Jung
  • La figurabilità de' "l'inesplicabile" nell'arte moderna
  • La "conquista" della realtà attraverso la realizzazione simbolica
  • "Tratti" di realtà: l'evoluzione comunicativa e simbolica nei disegni dei bambini
  • Gli errori nei disegni come indici evolutivi: tra "normalità" e patologia
  • Conclusioni
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT
  • Appendice
Premessa

In un precedente articolo che ha per oggetto il disegno infantile [Ndr. "Il disegno infantile: dallo scarabocchio alla figura umana", pubblicato su HumanTrainer.com], mi sono occupata di comprendere il materiale grafico tenendo conto, prevalentemente, di come le capacità grafiche si evolvono e si riorganizzano in rapporto allo sviluppo cognitivo generale del bambino.

Tale "correlazione evolutiva" implica che i parametri utilizzati per "leggere" il disegno di un bambino non vanno mai considerati in modo assoluto.

Ogni bambino - oltre a disegnare ciò che "sente" - disegna anche ciò che "sa" di un oggetto, ossia esprime quanto conosce della realtà in rapporto al livello di sviluppo cognitivo, linguistico, motorio, affettivo e sociale raggiunto sino a quel momento, indipendentemente da ciò che effettivamente "vede", ossia percepisce direttamente.

Per usare le parole di Georges Henri Louquet (1927), il disegno del bambino è essenzialmente realista nell'intenzione fino a 8 o 9 anni. Ciò significa che la rappresentazione grafica corrisponde a una copia interna della realtà.

A seconda dell'età possiamo parlare di diverse fasi di realismo:

  • prima fortuito - è quello dello scarabocchio, il cui significato è scoperto man mano che il bambino lo fa,
  • poi mancato - o fase d'incapacità sintetica, dove gli elementi sono giustapposti anziché coordinati in un tutto: es. dei bottoni disegnati accanto al corpo,
  • quindi intellettuale - il disegno ha superato le difficoltà primitive, ma non tiene conto della prospettiva visuale: es. un volto visto di profilo avrà un secondo occhio poiché, sul piano concettuale, ogni persona è dotata di due occhi,
  • infine visivo - verso gli 8 o 9 anni un profilo non mostra più se non ciò che è dato di profilo, le parti nascoste degli oggetti non sono più rappresentate, gli oggetti in secondo piano sono gradualmente rimpiccioliti in rapporto a quelli in primo piano.

Fino ai 9 anni circa il disegno infantile è caratterizzato da una serie di "errori" universali che - vedremo in dettaglio nei prossimi paragrafi - testimoniano la progressiva maturazione e riorganizzazione sul piano cognitivo ed emotivo.

Gli stessi errori si riscontrano anche nell'arte, a partire dalle prime incisioni rupestri fino alle arti figurative contemporanee, come ci porta a riflettere Mario Lodi, che ancora oggi è il "maestro per antonomasia".

Autore di libri per bambini e di saggi sulla professione di insegnante, nel 1989 - anno in cui ha ricevuto la laurea honoris causa in Pedagogia - ha fondato a Drizzona (CR) la Casa delle Arti e del Gioco, dove ai piccoli viene insegnato a esprimersi con attività ludiche che stimolano la creatività.

Mario Lodi sottolinea che l'universalità degli errori assume uno specifico significato in base alla fase evolutiva del disegnatore, come d'altra parte l'arte degli adulti, nelle diverse epoche e civiltà, si è evoluta attraverso la ricerca di tecniche diverse (dall'arte rupestre degli uomini primitivi fino ai giorni nostri) in base all'evoluzione del pensiero umano.

Il simbolo tra clinica e arte

In questo lavoro è mia intenzione condurre i lettori attraverso una riflessione dinamica sull'arte moderna, in rapporto ad alcuni atteggiamenti prevalenti dell'essere umano nei confronti della realtà: del suo modo di pensarla, di sentirla e di vederla sotto diverse prospettive.

Lo scopo è quello di leggere i "messaggi" che l'arte ci trasmette a diversi livelli: psicologico, etimologico, antropologico, semantico, per trasferirli sui disegni di cui dobbiamo dare - oltre che una lettura "obiettiva" - anche un'interpretazione simbolica. Quest'ultima pervade, di fatto, ogni livello nella valutazione del disegno (grafico, formale e di contenuto).

Il disegno, come il sogno, è una delle vie principali per comprendere il mondo interno delle persone, i conflitti, le difese e le possibilità o meno di affrontare determinate difficoltà attraverso la terapia.

Se la via per comprendere il sogno passa attraverso le libere associazioni (impostazione del simbolo secondo Freud), la via per comprendere il disegno passa attraverso l'uso che il disegnatore fa dello spazio bianco del foglio.

Attraverso l'uso dello spazio il bambino dice: "Questo è ciò che tu mi hai dato" (qualità del contenimento emotivo e del rispecchiamento che ha ricevuto), mentre attraverso altri elementi egli dice: "Così invece sono io, questo vorrei, così io mi vedo" (reazioni del bambino al tipo di rispecchiamento ricevuto).

Questo secondo aspetto, più nascosto forse, sembra regolato da leggi analoghe a quelle che presiedono al lavoro onirico: si tratta di elementi nascosti, non evidenti nell'immediato, che spesso vanno collegati tra loro per coglierne il senso.

Tra i principali parametri che permettono di individuare il "senso del me" nascosto dal "senso che l'altro ha di me" abbiamo:

  • presenza del dettaglio
  • lapsus grafico
  • condensazione, bizzarrie
  • cancellature e correzioni
  • assenza di elementi costitutivi
  • colorazione o la non colorazione
  • ripetizione di un determinato numero
  • qualità del tratto
  • infine, l'elemento simbolico vero e proprio, cioè la presenza di simboli, quali sono quelli che compaiono nelle fiabe, nei miti, nelle produzioni fantastiche.

Per approfondire questo argomento consiglio un interessante articolo di Eleonora Fe' d'Ostiani [Ndr. vedi Bibliografia], oltre a un testo fondamentale per la valutazione dell'elemento simbolico in particolare, il "Manuale per l'Analisi del Sogno" di Emil A. Guthiel [Ndr. vedi Bibliografia].

Se una traduzione dei parametri grafici risente essenzialmente dell'età del disegnatore e del suo livello di sviluppo generale, l'interpretazione simbolica risente - a mio avviso - soprattutto della capacità di elaborare e di rappresentare o meno la realtà da parte della persona che abbiamo davanti.

Difatti un bambino di 3 anni, un ragazzino con insufficienza mentale, un'adolescente schizofrenica, un ragazzo con danno cerebrale... o semplicemente un soggetto con grande potenziale artistico presentano condizioni e modi molto diversi di porsi nei confronti della realtà.

A mio avviso l'arte e, in particolare, il pensiero di importanti artisti possono aiutarci a capire quella dimensione "altra" di ogni disegno che, in quanto tale, è partecipe sia del mondo onirico sia del mondo reale.

Non a caso infatti durante lo sviluppo cognitivo del bambino, il disegno si inserisce a metà strada tra il gioco simbolico, che esprime l'assimilazione del reale ai bisogni del bambino, e l'immagine mentale con la quale, al contrario, divide lo sforzo di imitazione del reale.

Sarà proprio attraverso l'analisi di queste due dimensioni - quella reale e l'altra onirico-simbolica - che cercherò delle chiavi di lettura per interpretare l'aspetto simbolico del disegno.

Per quanto riguarda la dimensione onirica, nei prossimi paragrafi riporterò alcune importanti riflessioni di noti artisti che hanno segnato il modo di vedere, penetrare, contemplare e anche rifiutare la realtà stessa.

Sul versante psicologico richiamerò citazioni tratte dal libro di Carl Gustav Jung "L'uomo e i suoi simboli". A fianco dell'interpretazione junghiana ho aggiunto alcune riflessioni che discendono dalla tesi di Jean Piaget sul progressivo costituirsi dell'Io e del mondo, nel periodo senso motorio [Ndr. vedi Appendice], ossia nei primi 18 mesi di vita.

Riallacciandomi a questa tesi piagetiana, esplorerò la dimensione reale del disegno attraverso la linea interpretativa di un celebre caso clinico, quello della giovane schizofrenica Renèe, guarita dalla propria Analista.

Secondo la sua Analista, Marguérite Séchéhaye (nota per aver applicato la teoria piagetiana al trattamento della schizofrenia), la regressione affettiva causata dalla malattia produce gli stessi effetti che un'insufficiente evoluzione mentale produce nel bambino, ovvero una perdita dei contenuti simbolici, fondamentali per un sano sviluppo del bambino, in quanto rappresentano il ponte tra la realtà e il mondo interno.

Non mancherò di dare uno sguardo anche agli "errori" tipici del disegno infantile che, in quanto "universali", sono pregni anch'essi di una certa forza simbolica.

Il simbolo in Piaget e Jung

Sia Piaget che Jung, in modi diversi, si sono occupati di simboli.

Piaget ha studiato la formazione del simbolo nel bambino implicando che lo studio del bambino in quanto tale si inquadra in una problematica più ampia, relativa alla genesi della conoscenza umana e alla scoperta di strutture "universali" comuni a bambini di ogni epoca e contesto geografico e culturale.

Ciò significa che un bambino cinese vissuto nel '800, nel corso del suo sviluppo, probabilmente ha attraversato le medesime fasi evolutive di un bambino africano dei giorni nostri. La presenza di queste strutture universali è visibile soprattutto in certi giochi di movimento tipici dell'infanzia, con caratteristiche comuni presso popoli lontani tra loro, sia sotto l'aspetto geografico che culturale.

Un esempio tipico è il gioco della "campana", che i francesi chiamano marelle e gli inglesi hop scotch. Il gioco mostra un crescendo difficoltà motorie, fondamentali per qualsiasi cucciolo d'uomo. Non è un caso che tali strutture universali, siano esse cognitive o motorie, vengano definite "sincroniche", proprio perché presenti contemporaneamente in diverse epoche e luoghi.

Questa sincronicità (termine inteso secondo un'accezione diversa da Jung, anche se in parte analogo) è il risultato della scoperta del cosiddetto anello mancante tra Psicologia e movimento, che nella teoria di Piaget sono strettamente correlati, facendo discendere il pensiero dall'azione, l'intelligenza rappresentativa da quella senso motoria.

Jung invece si è occupato di inconscio collettivo che, a differenza di quello personale, ha carattere "universale", nel senso che i suoi contenuti ineriscono a tutta l'umanità e ne ripetono le esperienze originarie con manifestazioni che trascendono particolari ambiti etnici e culturali, conosciute meglio come archetipi.

Jung racconta che una delle prime esperienze che lo portarono a formulare l'idea degli archetipi si verificò con un vecchio paziente schizofrenico che, sia di giorno sia di notte, aveva frequenti allucinazioni. Questo paziente una volta dichiarò al medico di guardia di vedere che il sole aveva un fallo, il cui movimento produceva il vento.

L'origine di questo strano delirio sembrava inesplicabile, finché non capitò nelle mani di Jung un (all'epoca) recente libro di uno storico delle religioni, che trattava della liturgia della religione mitraica, utilizzando le rivelazioni di un papiro greco fino allora non pubblicato. In questo testo si parlava dell'origine del vento e si diceva che esso nasceva da un tubo pendente dal sole.

L'eventualità che il paziente avesse letto il testo, recentemente scoperto, fu subito esclusa. Secondo Jung l'unica spiegazione era che esistessero simboli universali che potevano apparire sia nei miti religiosi sia nei deliri degli psicotici (esempio tratto da H.F. Ellenberger, "La scoperta dell'inconscio").

Quindi, mentre sul piano individuale assistiamo a un'evoluzione parallela tra le capacità grafiche e lo sviluppo cognitivo - in cui gli "errori" grafici testimoniano la progressiva riorganizzazione intellettiva e affettiva del bambino - sul piano collettivo possiamo osservare come l'evoluzione del "pensiero umano" abbia condizionato le varie tecniche artistiche che si sono susseguite nelle diverse epoche.

In particolare secondo Jung lo scopo dell'artista moderno è quello di esprimere le proprie visioni interiori, di individuare il fondo spirituale della vita.

«La moderna opera d'arte ha abbandonato non soltanto il piacere delle cose concrete, naturali, sensitive ma anche il piano individuale.
Ha assunto un carattere collettivo, e pertanto... tocca e interessa non pochi prescelti, ma la massa».
(C.G.Jung, "L'uomo e i suoi simboli", pag. 251)
La figurabilità de' "l'inesplicabile" nell'arte moderna

Gli inizi dell'arte moderna risalgono ai primi anni del 1900 e Vasilij Vasil'evic Kandinsky fu una delle personalità più importanti di questa fase iniziale.

Nel suo saggio "Sulla forma", molte sue idee si sono rivelate profetiche:

«L'arte di oggi esprime il mondo spirituale saturato fino al limite della rivelazione. Le forme di questa espressione si polarizzano intorno a due estremi: rigorosa astrazione e rigoroso realismo».
(C.G.Jung, "L'Uomo e i suoi simboli", pag. 251)

Rispettivamente il pittore russo Kazmir Malevich, che nel 1913 disegnò un rettangolo nero su fondo bianco, e il pittore francese Marcel Duchamp, che pose su di un piedistallo un oggetto scelto a caso (uno scolabottiglie), sono rappresentanti di "un'astrazione rigorosa" il primo, e di un "rigoroso realismo" il secondo.

Questa netta divisione fra concreto e astratto potrebbe essere interpretata in senso psicologico, come una più profonda "lacerazione collettiva" tra materia e spirito, tra fede e ragione, "fra mente e natura, fra conscio e inconscio", lacerazione che trovò la sua massima espressione negli anni che precedettero la "catastrofe della prima guerra mondiale".

Se potessi "tradurre" in termini piagetiani l'intelligenza dell'uomo, nei primi del '900, potrei dire che questa non si esprimeva più come un processo di «interazione tra assimilazione e accomodamento», ma era ora l'una o l'altra, passando da un'estrema adesione alla realtà a un rifiuto altrettanto forte della stessa.

Inoltre non si può sottovalutare il fatto che l'arte, in epoca moderna, sia stata anche molto influenzata dalla Psicoanalisi di Sigmund Freud e dalla scoperta dell'inconscio avvenuta appunto nei primi anni del XX secolo.

«In che modo viene espresso il rapporto tra conscio e inconscio nell'opera degli artisti moderni?».
(Jung, "L'uomo e i suoi simboli", pag. 257)

Una risposta a questo problema può essere quella del movimento surrealista, del quale il poeta francese André Breton è considerato il fondatore. Quando era studente di medicina, Breton ebbe modo di conoscere l'opera di Freud, così il sogno divenne determinante nella sua ideologia.

«Non potrebbero i sogni essere usati per risolvere i problemi fondamentali della vita? Io credo che l'apparente dissidio fra sogno e realtà possa risolversi in una specie di realtà assoluta, la surrealtà».
(Jung, "L'uomo e i suoi simboli", pag. 257)

Un altro punto di capitale importanza rispetto al rapporto tra arte e realtà è la connessione fra l'arte moderna e i risultati della ricerca nel campo della Fisica.
In particolare il parallelismo fra Fisica nucleare e Psicologia dell'inconscio collettivo è stato spesso oggetto di discussioni fra Jung e Wolfgang Pauli, premio Nobel per la fisica.

Solo pochi artisti si sono resi conto del rapporto fra le forme espressive, la Fisica e la Psicologia. Secondo Kandinsky:

«La disintegrazione dell'atomo fu la disintegrazione del mondo intero: tutto a un tratto caddero le mura più formidabili. Tutto si rilevò instabile, incerto, insicuro. Non sarei stato sorpreso se una pietra si fosse disciolta in aria davanti ai miei occhi».
(Jung, "L'uomo e i suoi simboli", pag. 263)

Il risultato di tale disillusione, ovvero che la scienza sembrava annichilita, fu il distacco dell'artista dalla realtà concreta, dalla natura, come se l'arte si sganciasse dalle cose.

Sempre per dirla in termini piagetiani, è come se l'uomo avesse perduto la «permanenza dell'oggetto», costretto a vivere in una realtà di quadri mobili e cangianti.
Non si sente più un "oggetto" in mezzo a un universo costellato di altri oggetti permanenti.

In questa realtà mobile le leggi di causalità, spazio e tempo sono dissolte, un oggetto sparisce ai nostri sotto i nostri occhi perché è stato "fisicamente" riassorbito, il rapporto fra oggetti non è determinato da un'azione di causa-effetto, ma da una causalità "magico-fenomenica".

Questa modalità di interagire con una realtà caratterizzata da scarsa "permanenza dell'oggetto" testimonia lo sviluppo intellettivo del bambino nei primi se mesi, in particolare IV e V stadio senso motorio, periodo in cui l'universo iniziale è solo un prolungamento del corpo e dell'azione del bambino.

Ciò comporta una regressione affettiva e cognitiva nello stesso tempo, per cui l'interesse per la realtà esterna è marginale, considerandola un prolungamento della propria persona, confondendola con le proprie azioni.

È quanto accade anche nella schizofrenia, ad esempio.

A questo proposito trovo emblematica la frase tratta dal "Diario" di Paul Klee del 1915:

«Quanto più terrificante diventa il mondo (come sta accadendo oggi) tanto più l'arte si fa astratta; un mondo retto dalla pace produce arte realistica».
(Jung, "L'uomo e i suoi simboli", pag. 265)

Direi proprio che si tratta di una vera e propria pillola di saggezza psicologica!

L'arte moderna agli inizi diventava così misticismo, a proposito della quale Kandinsky scrive:

«L'artista dovrebbe sempre tenere l'occhio fisso alla propria vita interiore, e l'orecchio sempre attento alla voce della necessità interiore.
Questo è il solo modo per dare espressione a ciò che la visione mistica imperiosamente ci indica».
(Jung, "L'uomo e i suoi simboli", pag. 263)

Appare evidente uno spiccato egocentrismo, per cui la prospettiva del singolo artista è sufficiente a comprendere come si muove la realtà intorno a lui, e che «al di là delle mutevoli forme naturali persiste l'immutabile realtà pura» (Piet Mondrian, citato in "L'uomo e i suoi simboli" di Jung, pag. 262).

Questo atteggiamento, questa sorta di ritiro "autistico" dell'artista dalla realtà esterna, per cui la contemplazione del mondo viene sostituita dalla penetrazione di se stessi, conduce a un altro modo di pensare, ossia:

«Non si tratta soltanto di riprodurre ciò che si vede... si rende visibile ciò che viene segretamente percepito».
(Paul Klee, citato in "L'uomo e i suoi simboli" di Jung, pag. 263)

L'uomo tende a riempire il mondo del mistero e dell'inesplicabile con i contenuti del proprio inconscio. Ciò di cui non si rendevano conto questi artisti secondo Jung era il fatto che essi, in tal modo, proiettavano nella materia o negli oggetti inanimati parte della loro psiche. Donde la "misteriosa animazione" che veniva suscitata nelle cose.

Questo ci riporta a una credenza universale dei bambini fino a 6 anni circa, indicata da Piaget col termine "animismo", per cui ogni cosa è dotata di intenzionalità umana, credenza che discende da un generale atteggiamento egocentrista.
Nel concludere la carrellata sulle correnti dell'arte moderna e la loro correlazione con la realtà è doveroso citare gli astrattisti "puri".

La loro profonda dissoluzione della realtà conduce a una perdita del suo contenuto simbolico, poiché il mondo conosciuto, veicolato dal simbolo, è completamente svanito. La loro arte è tesa verso qualcosa di ignoto, senza che residui niente che possa operare da ponte con ciò che è noto.

Un esempio potrebbe essere l'opera di Paul Jackson Pollock, "Ocean Greyness" (Grigiore dell'Oceano), del 1953 in cui vi è un'immedesimazione totale dell'artista con la propria opera.

A livello psicologico, tale dissoluzione mi fa pensare a una forma di "disintegrazione psichica" che può essere determinata sia da certe droghe che dalla schizofrenia, per cui i disegni si fanno via via più astratti in seguito alla sopraffazione dell'inconscio sul conscio.

Un esempio, già citato, è fornito da uno dei più notevoli e recenti pittori astratti, come Jackson Pollock, il quale dipingeva i suoi quadri come in stato di trance, quadri in cui il mondo conosciuto era completamente svanito.

Lo stesso artista affermava:

«Quando dipingo, non sono consapevole di ciò che sto facendo.
È solo dopo una specie di periodo di convivenza con il mio quadro che mi rendo conto di ciò che ho fatto».

Tuttavia i dipinti di Pollock dimostrano, a fronte di un'estrema astrazione, immagini più o meno esatte della natura stessa, non a un livello macrofisico, bensì a livello della struttura molecolare degli elementi naturali, organici e inorganici.

Particolare di "Number 23", Pollock

Un altro esempio è l'opera "Number 23" del 1948, sempre di Pollock.
La massa apparentemente confusa di linee e sgocciolamenti (il dripping) richiama forme ignote della materia, quali sono rivelate da alcune microfotografie (vedi Jung, "L'uomo e suoi simboli", pag. 265).

In generale un confronto fra dipinti astratti e microfotografie (che mostrano la struttura molecolare) dimostra che l'astrazione totale dell'arte è divenuta, in modo misterioso, sorprendentemente "naturalistica" dal momento che i suoi soggetti sono costituiti da elementi materiali, e non da una "massa confusa" come può sembrare a una prima occhiata.

Quindi "astrazione estrema" ed "estremo realismo", separati all'inizio del '900 si sono ancora una volta uniti anche se sotto una luce diversa.

Questo mi spinge a riconsiderare cosa dobbiamo intendere per realtà, e se la realtà di una persona schizofrenica sia soltanto la manifestazione di una disgregazione psichica o non sia anche l'espressione di una realtà che appartiene a ciascuno di noi, forse dimentica nel tempo o forse non direttamente visibile o forse, ancora, troppo controllata dal "principio di realtà".

La "conquista" della realtà attraverso la realizzazione simbolica

Già, ma cos'è la realtà per un bambino?
O più precisamente, la realtà che circonda un bambino di 18 mesi è la stessa di un bambino di 9 anni?

Anche i non addetti ai lavori risponderebbero, senza ombra di dubbio, negativamente.
Più difficile invece è spiegare esattamente cosa pensa, cosa sente e come percepisce la realtà un bambino durante i primi due o tre anni di vita.

Eppure, ritengo che ciò sia molto importante per capire a valutare con maggiore obiettività la schizofrenia come pure il ritardo mentale.

Pensiamo al celebre caso clinico della giovane schizofrenica Renèe di cui Marguérite Séchéhaye - l'Analista che la ebbe in cura - ha narrato prendendo come base il diario della paziente stessa.

Secondo l'Analista la regressione affettiva di Renèe, ascrivibile alla patologia che l'affligge, produce gli stessi fenomeni che un'insufficiente evoluzione mentale produce nel bambino.

Secondo l'Analista ciò non significa ridurre la mentalità schizofrenica a quella di un bambino, poiché troppe differenze le separano.

La stessa Renèe quando guarisce dalla schizofrenia e giunge - come lei dice - «a sistemarsi definitivamente nella bella realtà», riesce a comunicare le sue esperienze di malata.

Ciò nonostante, quando ci troviamo in presenza di una persona schizofrenica che come Renèe è regredita agli stadi primitivi della sua evoluzione, perché - si chiede l'Analista - non considerare i fenomeni che essa presente alla luce di Piaget?

In particolare, Renèe non riusciva a capire la prospettiva e la logica delle relazioni.

  1. Nel primo caso, ad esempio, quando vedeva una certa montagna in lontananza non la riconosceva più una volta che vi si avvicinava, dicendo: «ma allora è cambiata, perché ha assunto questa strana forma?».
  2. Nel secondo caso, invece, concepiva gli spostamenti e la posizione degli oggetti solo in rapporto a sé. Per esempio, si meravigliava che i punti cardinali fossero tanto mobili e variabili in rapporto alla posizione del suo corpo; infatti, se faceva mezzo giro su se stessa quello che era a nord diventava est, poiché l'est era determinato dal suo braccio sinistro.

Piaget ci dimostra che il bambino prende coscienza di essere un corpo mobile fra altri corpi mobili, situato in uno spazio immobile, nella misura in cui acquista coscienza di sé, ovvero supera l'egocentrismo del periodo pre-operatorio (da 2 a 7 anni, circa).
Infatti è necessaria l'acquisizione della componente operatoria per giungere a un'adeguata strutturazione spazio-temporale.

Ancora, Renèe non era in grado di riconoscere l'Analista se questa indossava qualcosa che camuffasse il suo volto, come ad esempio degli occhiali o il cappello.
Questo fenomeno era imputabile alla regressione mentale che non permetteva di "conservare l'identità" della persona, a fronte di piccoli cambiamenti.

Credo sia esperienza comune vedere bambini di due o tre anni che si spaventano nel vedere il proprio genitore che indossa una maschera, come se quella maschera potesse riassorbire l'identità del genitore, allo stesso modo in cui al terzo stadio senso-motorio (4-8 mesi), di fronte a un oggetto nascosto sotto una coperta, il bambino si comporta come se questo fosse ugualmente "riassorbito", non esistesse più.

Praticamente per Renèe le persone e le cose erano concepite come un prolungamento di se stessa, pur rimanendo diverse e distinte da lei.

A fronte di questi e di altri fenomeni osservati, l'Analista considera di capitale importanza per «la conoscenza dell'Io schizofrenico osservare la corrispondenza che esiste fra la costruzione dell'Io infantile e la ricostruzione dell'Io psicotico. Tutti e due attraversano stadi identici da un punto di vista fenomenologico e strutturale, ma differiscono profondamente da un punto di vista funzionale» (citato in "Diario di una schizofrenica", M. Séchéhaye, pagg. 114-115).

Infine, mentre nel bambino questi fenomeni fanno parte di un normale processo evolutivo sia sul piano intellettivo che affettivo, nella persona affetta da psicosi o da schizofrenia essi hanno la funzione primordiale di sottrarla a una penosa realtà che la delude.

Inoltre, a mio avviso, una buona conoscenza del rapporto tra le capacità grafiche e lo sviluppo cognitivo generale del bambino nei primi due-tre anni potrebbe aiutare a valutare queste condizioni mentali, poiché permetterebbe di entrare in contatto con una "realtà" dimenticata - che un tempo era anche la nostra - e di rendere possibile un intervento terapeutico che vada oltre l'osservazione e la modificazione del comportamento, come di solito accade in questi casi.

Come riportato nella presentazione di Cesare L. Musatti al libro "Diario di una schizofrenica" di Marguérite Séchéhaye:

«L'analisi di quella che è la vita interiore dello schizofrenico consente pertanto di controllare le ipotesi che formuliamo circa le prime fasi di sviluppo della personalità infantile; mentre a loro volta le osservazioni effettuate sul bambino consentono di chiarirci i processi regressivi che si constatano in questi ammalati mentali».

Marguérite Séchéhaye, in virtù dell'importanza che la rappresentazione simbolica della realtà occupa per la crescita intellettiva e affettiva di ogni essere umano - di cui il disegno è una manifestazione - pensò bene di introdurre la tecnica della realizzazione simbolica, la quale utilizza proprio quella attenuazione del senso di realtà che, nello schizofrenico, rappresenta uno dei principali sintomi regressivi.

Tale tecnica è fondamentalmente costruita sopra un unico caso, quello di Renèe.
Di fatto è stata la paziente stessa a indicare in certo modo all'Analista il procedimento della realizzazione simbolica, mostrandole la natura dei suoi desideri e il mezzo per soddisfarli simbolicamente.

Si tratta di risolvere un problema che si pone in termini contraddittori: da un lato la paziente rivive in forma intensa frustrazioni recenti o remote, mentre - dall'altro lato - vive determinate esigenze affettive che si presentano, per via del processo di regressione schizofrenica, con modalità tipiche dei primi mesi di infanzia.

Nel caso specifico del "miracolo delle mele" Renèe, tentando furtivamente di procacciarsi delle mele, esprime il suo desiderio di nutrimento affettivo, legato alla rappresentazione simbolica del seno della Madre-Analista: in tal modo indica all'Analista la natura dei suoi desideri (nutrimento affettivo) nonché il tramite per soddisfarli simbolicamente (mela).

Tuttavia, nell'applicare tale tecnica non si può generalizzare utilizzando per tutti i pazienti schizofrenici lo stesso significante (per esempio la mela) per rappresentare un certo significato. Deve essere sempre il paziente, con il suo comportamento, a indicare al terapeuta l'impulso originario che è stato contrastato, e l'Analista dovrebbe trovare, in base allo stesso comportamento, il linguaggio simbolico in cui l'azione può essere tradotta.

Tale traduzione permette quell'attenuazione del senso di realtà che riscontriamo nella stessa descrizione che Piaget riporta del gioco simbolico:

«Costretto ad adattarsi senza sosta ad un mondo sociale dei grandi... il bambino non riesce come noi a soddisfare i suoi bisogni affettivi e anche intellettuali... è dunque indispensabile per il suo equilibrio... che egli possa disporre di un settore dell'attività la cui motivazione non sia l'adattamento al reale, ma al contrario l'assimilazione del reale all'io, senza costrizioni né sanzioni».
(citato in "La psicologia del bambino", Piaget e Inhelder, pag. 56)

Molti giochi infantili hanno la stessa funzione, ossia consentire - attraverso una realizzazione simbolica di determinate situazioni non direttamente affrontabili - di superare gli ostacoli costituiti da quelle situazioni stesse, e quindi consentire di raggiungere progressivamente un adattamento a esigenze di realtà che si presentano inizialmente come non sopportabili.

Un esempio noto un po' a tutti è il gioco del rocchetto descritto da Freud.

Il bambino aveva legato a un filo un rocchetto, e ripetutamente lo lanciava sotto qualche mobile in modo che sparisse per poi, servendosi del filo, richiamarlo a sé facendolo riapparire. Questo gioco, come osservò Freud, era stato inventato dal bambino per superare l'angoscia di doversi adattare al fatto che la madre periodicamente usciva la sera.

Il rocchetto quindi rappresentava la madre, mentre il suo sparire e riapparire riproducevano l'allontanamento e ritorno della madre stessa. Ciò permetteva al bambino di trasformare una situazione subita passivamente in una situazione analoga ma controllata attivamente, il che la rendeva più tollerabile.

In altre parole, la semplice sostituzione della madre col simbolo del rocchetto costituisce, di per sé, una situazione attenuata, che mette progressivamente il bambino in condizione di accettare progressivamente anche quella originaria.

"Tratti" di realtà: l'evoluzione comunicativa e simbolica nei disegni dei bambini

Per descrivere la realtà del primo periodo dell'infanzia, farò riferimento alla nota opera di Piaget "La costruzione del reale nel bambino" del 1937:

«L'intelligenza sensomotoria porta ad un risultato... importante in ciò che concerne la strutturazione dell'universo... organizza il reale costruendo, tramite il suo stesso funzionamento, le grandi categorie dell'azione (ossia)... gli schemi dell'oggetto permanente, dello spazio, del tempo e della causalità... Nessuna di queste strutture è data in partenza e l'universo iniziale è interamente centrato sul proprio corpo e la propria azione in un egocentrismo... assoluto. Durante i primi diciotto mesi si effettua, invece, una specie di rivoluzione copernicana... tale che il bambino finisce per situarsi come un oggetto fra gli altri in un universo formato da oggetti permanenti, strutturato nello spazio e nel tempo e sede di una causalità contemporaneamente spazializzata e obiettivata delle cose».

In particolare il disegno - inteso come espressione della funzione semiotica (cioè della capacità di rappresentare mentalmente ciò che non c'è) - non compare prima di 18/24 mesi.

Durante il secondo anno appare un complesso di condotte che segnano l'evocazione rappresentativa di un oggetto o di un avvenimento assente e che presuppone di conseguenza la costruzione o l'uso di significanti differenziati.

Possiamo distinguere almeno cinque di queste condotte che appaiono, più o meno simultaneamente, secondo un ordine di complessità crescente:

  1. l'imitazione differita
  2. il gioco simbolico
  3. il disegno
  4. l'immagine mentale
  5. infine, l'evocazione verbale

Prima dei 18/24 mesi possiamo riscontrare la presenza di quattro stadi:

  1. Prescarabocchio - fino a 1 anno
    Il disegno, o meglio il segno, è l'espressione di una reazione circolare [Ndr. vedi Appendice], primaria e secondaria, ossia di un'abitudine, come imparare ad agitare un sonaglio, tirare uno spago per produrre un rumore, fare dei segni con la matita etc.
    Si tratta di condotte in cui la novità viene scoperta per caso e il bambino cerca di adattare i propri movimenti per ripetere l'esito di una certa azione. Nonostante la scoperta che esiste un mondo fuori di sé, il bambino concepisce la realtà come un prolungamento della propria azione, e non come un'entità a se stante.
  2. Scarabocchio I Fase - tra 12 e 18 mesi
    In questo periodo assistiamo a un incipiente uso degli strumenti.
    Compaiono le cosiddette reazioni circolari terziarie [Ndr. vedi Appendice] che, a differenza delle precedenti abitudini, sono esperienze per vedere, caratterizzate dall'interesse per la novità, come per esempio lasciar cadere una pallina dentro una vasca da diverse altezze, con diverso slancio, diversa inclinazione, etc. A 18 mesi il bambino è in grado di fare degli scarabocchi spontaneamente: si tratta di atti soprattutto motori, scarabocchi semplici.
  3. Scarabocchio I Fase - fra 18 e 24 mesi
    Questa è una fase di transizione, secondo Piaget, tra l'intelligenza pratica e quella rappresentativa. Il bambino non procede più per prove ed errori, ma compie un atto mentale, per cui è in grado di anticipare mentalmente l'effetto delle proprie azioni, oltre che di evocare azioni passate. Sulla scia della precedente fase, il bambino ama eseguire una varietà di scarabocchi, disegna vicino ad altri segni, esamina i segni e vede la superficie della carta.
  4. Forme di Base e Aggregati - 2-3 anni
    Durante il secondo anno appare un complesso di condotte che implica l'evocazione rappresentativa di un oggetto o di un avvenimento assente e che presuppone di conseguenza la costruzione o l'uso di significanti differenziati. Per rappresentare qualcosa, ovvero un significato (oggetto, avvenimento, etc.) il bambino si avvale di un significante (gesto simbolico, parola, immagine mentale e disegno).
    In altre parole a quest'età assistiamo a una fioritura delle capacità simboliche.
    I disegni includono cerchi, quadrati, croci e loro combinazioni.
    Il bambino colloca correttamente i caratteri salienti del disegno, ripete e varia le forme. Inoltre, a partire da questo periodo si evidenziano differenze individuali.

A partire da questa età, infatti, ogni problema che il bambino vive internamente viene sempre proiettato su un foglio. Pertanto se mettiamo a sua disposizione matita, carta e colori, offriamo a lui la possibilità di esprimere le sue emozioni, a noi quella di interpretarla.

Fino a 18 mesi, nell'analisi degli scarabocchi, i segni che vanno osservati sono soprattutto tre:

  1. l'occupazione dello spazio,
  2. la pressione sul foglio,
  3. la forma prevalente.

Lo scarabocchio esprime, a questa età, la necessità di afferrare, imbrattare, muoversi in un ambiente conosciuto. Per questo il bambino che scarabocchia con facilità ha un carattere socievole, adattabile, gioioso, sicuro e disponibile.

A quest'età il bambino esegue spesso gesti informi, che però in nuce contengono già il seme della struttura di personalità.

Nell'occupare lo spazio, ad esempio, il bambino muove la matita senza un perché, semplicemente per esplorare lo spazio e per misurarsi con esso (reazioni "circolari"), ma così facendo mette in luce il suo temperamento, il movimento che è in grado di compiere, la sua forza vitale.

Per esempio, quando il bambino occupa tutto il foglio con un gesto tondo, mette in luce un temperamento estroverso, ossia tende a vivere bene l'ambiente, è socievole, ma anche esigente nel cercare approvazione, coccole e sorrisi.

Al contrario, il bambino che scarabocchia con angoli, spigoli e con gesti contenuti denota un temperamento introverso, che non va confuso con la tristezza o con la chiusura, ma riflette una "innata" sensibilità del bambino.

Il gesto marcato, con forte pressione, ci segnale una personalità con una carica vitale e con una capacità di dominare l'ambiente. Al contrario il gesto leggero esprime una personalità sensibile, facilmente affaticabile, necessita di soste e di poche sollecitazioni, spesso dotato di una buona immaginazione.

La forma prevalente è il cerchio che esprime espansione, è espressione dell'adattamento, è la forma nella quale il bambino proietta la propria immagine conosciuta, il volto.

L'angolo è una forma che esprime tensione, resistenza, bisogno di essere accudito senza costrizioni, è un simbolo legato a qualcosa che ha ferito il bambino (per esempio, nascita di un fratellino).

Verso i 3 anni lo scarabocchio inizia a conformarsi a regole più precise, ad assumere forme più dettagliate e differenziate a seconda dei significati che a esso il bambino associa.

Queste forme particolari lo portano alla rappresentazione grafica vera e propria tipica degli anni seguenti: lo scarabocchio diventa disegno, che comprende due tipi di espressione, ossia le forme e le figure, alle quali associa verbalizzazioni e commenti che coinvolgono in modo attivo il bambino.

Il mondo è ora simbolicamente dominabile, in quanto lui lo può costringere entro i limiti del foglio di carta, così manifesta i suoi sentimenti e muove i personaggi a suo piacimento: li esclude, li ingigantisce, li annulla, li cancella.

Il commento verbale al disegno, unitamente all'intento rappresentativo e al perfezionamento delle forme, è il vero passo verso un grafismo maturo.

Gli errori nei disegni come indici evolutivi: tra "normalità" e patologia

Tra gli errori più significativi nei disegni dei bambini fra i 7 e gli 8 anni abbiamo:

  • le figure "ibride",
  • le sproporzioni tra parti del corpo e oggetti,
  • l'uso irrazionale del colore e la trasparenza.

Nel caso delle figure ibride, la figura umana può essere rappresentata contemporaneamente di faccia e di profilo, per esempio la testa posta di profilo e il corpo frontale, oppure profili in cui sono visibili entrambe gli occhi (Rouma, 1912).

Questo errore è abbastanza frequente fino a 6 e 7 anni circa, quando non è stata ancora raggiunta la componente operatoria dello sviluppo cognitivo, che permetterà al bambino di riprodurre immagini cinetiche o di trasformazione, come per esempio indicare su due bicchieri, disegnati in modo inclinato, il livello raggiunto dall'acqua nel momento in cui si inclina il bicchiere (Piaget, 1970).

Inoltre, sempre a partire da 6 e 7 anni, sul piano cognitivo si assiste a un passaggio dalle prime intuizioni spaziali topologiche - basate su criteri di chiusura, vicinanza, etc. - a quelle proiettive - basate sulla metrica euclidea (fa riferimento alle misure di lunghezza e superficie); mentre sul piano affettivo e sociale il bambino supera l'isolamento egocentrista e comincia a scoprire gli altri, sente di appartenere a un gruppo.

Per quanto riguarda le sproporzioni, queste non sono "sbagli" veri e propri poiché i rapporti che il bambino crea fra le cose non sono misure reali ma psicologiche.

Ad esempio, l'esagerata accentuazione di particolari o le sproporzioni fra elementi dello stesso disegno sono usate dal bambino per mettere in evidenza ciò che più lo ha colpito o interessato.

Questa tecnica potrebbe essere considerata una specie di "zoomata" o di primo piano o di dettaglio, come quella usata nei film per indirizzare l'attenzione dello spettatore su particolari importanti e significativi.

Ne' "L'arte del bambino" [mostra di disegni e dipinti della Pinacoteca dell'arte infantile, con sede presso la cooperativa "Casa delle Arti e del Gioco", Drizzona (Cremona), 1984-88), Mario Lodi mostra esempi dell'intento comunicativo delle sproporzioni, presentando i disegni di tre diversi bambini di 6 anni.

  1. Nel primo è rappresentato un toro con le zampe esageratamente lunghe che incorna un contadino, il quale giace ferito ai suoi piedi, dando alla scena una forza drammatica.
  2. Nel secondo, si può vedere il braccio esageratamente lungo di una bambina che offre un pezzo di torta alla maestra "golosa", evidenziando il gesto amichevole e affettuoso della bambina.
  3. Infine, nel terzo, il mazzo di fiori ricevuto in dono per il compleanno è veramente enorme, addirittura più grande della bambina, perché è il simbolo della sua festa e della sua felicità (pag. 25).

Rispetto al colore, la scelta dello stesso è in relazione al piacere emozionale e del bello che il bambino prova osservando o immaginando o ricercando le cose del mondo che sta scoprendo.

Infatti i colori dei bambini - fin verso i 7 e 8 anni - non sono quelli della realtà: possiamo trovare facce verdi, braccia blu, cieli rossi etc., dipinti con disinvoltura, in modo del tutto naturale.

A volte i colori sono usati per "materializzare" profumi, ossia per rappresentare l'invisibile all'occhio umano. In questo caso entriamo nella fase in cui il bambino - verso 9/10 anni - usa l'arte figurativa per ampliare la comunicazione al non visibile, per esprimere la realtà del mondo interno.

Infine, secondo Mario Lodi, una delle più interessanti "invenzioni" visive dell'arte del bambino è la trasparenza: se il bambino disegna una casa e sa cosa c'è in quella casa, egli ce lo racconta rappresentando sia l'interno che l'esterno, come se la casa fosse di cristallo, trasparente.

Questo a dimostrazione che - a differenza degli adulti che spesso disegnano ciò che vedono - il bambino disegna soprattutto ciò che sa.

Tuttavia tali errori devono essere considerati normali fino a una certa età, di solito fino a 7/8 anni, insoliti se non addirittura patologici in fasi più avanzate dello sviluppo, ossia probabili indici di scarsa maturazione intellettiva e affettiva oppure di una marcata regressione, come nella psicosi e nella schizofrenia.

Cosa mi fa pensare tutto questo?

Probabilmente che il livello intellettivo ed emotivo presente nella psicosi e nella schizofrenia, come pure nel ritardo mentale, possa presentare molte analogie con quello dei bambini fino a 7/8 anni, che tale livello sia espresso in modo altrettanto analogo attraverso i disegni, ma che - nel caso di psicosi, schizofrenia o ritardo mentale - venga espresso attraverso l'esperienza e il vissuto corporeo di una persona adulta.

Se consideriamo, per esempio, la convergenza degli indici riportata nel manuale di Vittorio Luigi Castellazzi e Maria Flavia Nannini, "Il disegno della figura umana come tecnica proiettiva", vediamo che esistono "errori", come ad esempio la trasparenza grossolana dell'intero disegno - normale nel bambino fino a 6 o 7 anni - che sono specifici di condizioni quali organicità, ritardo mentale, psicosi, schizofrenia.

Tutte condizioni che hanno in comune l'immaturità infantile legata a circostanze fisiologiche, organiche o perdita di contatto della realtà. Soltanto nel caso della schizofrenia però possiamo trovare rappresentati anche gli organi interni, nel disegno.

Un altro "errore" che accomuna organicità, psicosi, ritardo mentale e schizofrenia è la confusione tra profilo e posizione frontale che, come abbiamo già visto, è molto frequente tra i bambini fino a 6 o 7 anni.

Tuttavia, non bisogna confondere questo aspetto con quello indicato come testa di profilo e corpo frontale: in questo caso non si tratta di una forma "ibrida", ma semplicemente di un modo graficamente "normale" (ossia appropriato per l'età) per significare evasività, sentimenti di colpa nei contatti sociali.

Altri due aspetti su cui vorrei soffermare l'attenzione sono la presenza o meno del collo e le dimensioni della testa.

Normalmente, il collo può essere tralasciato nei bambini fino a 7 o 8 anni.
Questa omissione è stata riscontrata anche nel ritardo mentale e nelle situazioni di organicità, mentre nel caso della schizofrenia e della psicosi vediamo rappresentati dei colli lunghi e sottili, a giraffa, che sono interpretati come "senso di fragilità, con formazione reattiva e ricerca compensatoria di potere fisico e aggressività" (Urban, 1963, citato in Castellazzi e Nannini).

Personalmente tenderei a mettere sullo stesso piano sia l'adulto schizofrenico che il bambino il quale, pur avendo un'età inferiore a 8 o 9 anni disegna il collo: entrambi padroneggiano gli impulsi, riuscendo, così, a gestire i sensi di colpa, probabilmente a causa di una realtà difficile da gestire.

Per quanto riguarda la dimensione della testa, di solito i bambini tendono ad accentuare la circonferenza della testa, senza che sia esageratamente grande. La dimensione testa grande è presente in molte altre condizioni, quali: aggressività, dipendenza, tendenza alla fantasticheria, narcisismo, paranoia, psicosi, regressione, ritardo mentale e schizofrenia.

Quindi, anche se è presente l'analogia tra bambino e altre condizioni come ritardo mentale, psicosi e schizofrenia, evidentemente quest'indice è piuttosto aspecifico per sottolineare tale analogia.

Al contrario, l'omissione della testa è piuttosto rara nei disegni dei bambini, visto che è stata riscontrata solo nelle condizioni di organicità e di ansia di castrazione.

Riepilogando, i due indici che maggiormente pongono in risalto l'analogia tra il livello intellettivo ed emotivo dei bambini fino a 6 o 7 anni con quello tipico del ritardo mentale, della psicosi e della schizofrenia sono:

  • trasparenza grossolana dell'intero disegno,
  • confusione tra profilo e posizione frontale.

A questi due aggiungerei: presenza di sproporzioni, uso irrazionale del colore, mancanza di prospettiva.

Conclusioni

Per concludere, cito un brano del libro "Diario di una schizofrenica", tratto dalla presentazione di Cesare L. Musatti (Psicologo, Psicoanalista, fondatore della Psicoanalisi in Italia) che riassume la visione e l'impronta che ho ritenuto opportuno tracciare per questo articolo:

«Vi sono dunque anche nell'individuo normale elementi interiori suscettibili di risuonare alle descrizioni che Renèe ci fa: una parte di noi stessi alla quale il mondo dello schizofrenico non è totalmente estraneo... Ma questo in sostanza è quanto ci accade sempre di fronte a qualsiasi opera d'arte. La possibilità che l'arte ci offre di intendere, e di rivivere, situazioni che sono fondamentalmente lontane ed estranee alla nostra esistenza... non si comprenderebbe, infatti, se non si ammettesse che il linguaggio artistico parla a una parte di noi che ignoriamo. E l'ingenua impressione che talora abbiamo di fronte ad un dipinto, il senso cioè di aver sempre saputo quello che quest'opera dice, ha il suo fondamento di verità proprio nel fatto che noi disponiamo di un patrimonio di esperienze assai più ampio di quello che abitualmente ci riconosciamo: patrimonio di esperienze nostre che l'arte è capace di rivelare a noi stessi».

Attraverso l'arte possiamo ricostruire quella sottile trama della nostra esistenza intessuta di pensieri, esperienze e vissuti che da sempre hanno mediato il nostro rapporto con la realtà: ora come espressione di immaturità, ora come espressione di malattia mentale, oppure di potenziale artistico o, semplicemente come espressione di fuga dalla realtà o di ricerca di una realtà sostitutiva, invisibile, infinitamente piccola, come quella rappresentata dagli astrattisti puri.

Sia attraverso l'evoluzione dell'arte, dall'antichità fino a oggi, che attraverso l'evoluzione delle capacità grafiche nel bambino riscontriamo quegli stessi "errori" universali che hanno spinto artisti e persone comuni a superare dei limiti compiendo, nello stesso tempo, qualche passo indietro, come accade durante ogni fase di transizione decisiva della crescita.

Nello spingersi oltre, il bambino, così come l'artista, ha bisogno di trovare un modo di attenuare il senso di realtà, vuoi attraverso il gioco simbolico, il primo, vuoi attraverso la rappresentazione di una "surrealtà", ad esempio, il secondo.

Nella schizofrenia si ripresentano quelle stesse tappe evolutive del bambino, dalla nascita fino due anni circa, rendendo molto simili i processi intellettivi e affettivi del bambino piccolo a quelli dello schizofrenico.

Nel bambino tali processi sono sollecitati dal bisogno di superare le difficoltà che la realtà esterna man mano pone, mentre nello schizofrenico emergono come conseguenze di una realtà che li ha fortemente delusi.

Bibliografia
  • Piaget J., Inhelder B., "La psicologia del bambino", Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1970
  • Piaget J., "La formazione del simbolo nel bambino. Imitazione, gioco e sogno. Immagine e rappresentazione", edizione italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1992
  • Piaget J., "La costruzione del reale nel bambino", edizione italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1973
  • Ellenberger H.F., "La scoperta dell'inconscio", Vol. II, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, pag. 817
  • Lodi M., "L'arte del bambino", Casa delle Arti e del Gioco, Archivio del giornale periodico AeB, Cremona - 1984-1988 - mostra di disegni e dipinti della Pinacoteca dell'arte infantile, presso la cooperativa "Casa delle Arti e del Gioco", Drizzona (Cremona)
  • Fe' d'Ostiani E., Alcuni aspetti dell'interpretazione del disegno in età evolutiva, in "Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza", Vol. 54: 9-27, 1987
  • Jung C.G., "L'uomo e i suoi simboli", Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009, pag. 251
  • Séchéhaye A.M., "Diario di una schizofrenica", Giunti Editore, Firenze, 1989
  • Guthiel E.A., "Manuale per l'Analisi del Sogno", Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1972 (contiene le analisi di oltre 600 sogni)
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Appendice

Brevemente, l'intelligenza senso motoria - teorizzata da Piaget J. e Inhelder B. in "La psicologia del bambino" - si struttura prima dell'apparire del linguaggio ed è prelogica; la sua maturazione avviene nei primi 18 mesi, circa, di vita, attraverso sei stadi.


  1. Primo stadio: l'esercizio dei riflessi (0-1, 5 mesi): l'osservazione delle reazioni innate (suzione, prensione, fonazione, visione e audizione) preparano la comparsa di comportamenti di adattamento all'ambiente.
  2. Secondo stadio: le reazioni circolari primarie e i primi adattamenti acquisiti (1, 5-4 mesi); si formano le "prime abitudini" (per esempio, guarda le proprie mani mentre le muove, porta alla bocca oggetti che ha afferrato). Queste azioni si chiamano "primarie" poiché sono centrate sul corpo del bambino, e non c'è alcun interesse per la realtà esterna.
  3. Terzo stadio: le reazioni circolari secondarie (4-8 mesi); subentra l'interesse per la realtà. Un'azione provoca causalmente uno spettacolo interessante e induce nel bambino il bisogno di ripetizione. È così, ad esempio, che il bambino impara ad agitare un sonaglio o a tirare uno spago per produrre un rumore. In questa fase il bambino non è ancora in grado di ricercare oggetti scomparsi: se nascondiamo un gioco sotto il tappeto il bambino si comporta come se questo fosse stato "riassorbito" e non esistesse più.
  4. Quarto stadio: la coordinazione degli schemi secondari e la loro applicazione alle situazioni nuove (8-12 mesi); consente di stabilire relazioni spazio-temporali tra gli oggetti: il bambino comprende (sul piano pratico) che se un ostacolo è posto davanti al gioco che vuole prendere, questo deve prima venire rimosso, per afferrare l'oggetto desiderato. La scoperta che esiste un mondo fuori di sé, e il conseguente interesse per la novità, porta alla comparsa di comportamenti esplorativi, anche se la realtà viene ancora concepita come un prolungamento della propria azione: se il bambino ha ritrovato un giocattolo sotto un cuscino e poi noi lo nascondiamo, sotto i suoi occhi, dietro a una coperta, il bambino andrà a ricercare l'oggetto sempre sotto il cuscino, poiché è come se pensasse che sia la propria azione a materializzare l'oggetto.
  5. Quinto stadio: le reazioni circolari terziarie e la scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva (12-18 mesi); ora il bambino costruisce schemi nuovi ed è subito capace di applicarli a una varietà di situazioni (reazioni circolari "terziarie"), fa esperienze per vedere, per conquistare l'ambiente esterno, come in un vero e proprio esperimento pratico (per esempio, lascia cadere una pallina dentro una vasca da diverse altezze, con diverso slancio, diversa inclinazione, etc).
    Il bambino, ora, cerca correttamente un oggetto precedentemente nascosto, anche se non è ancora in grado di ricostruire spostamenti non direttamente percepiti.
  6. Sesto stadio: invenzione di mezzi nuovi mediante combinazione mentale (18-24 mesi).
    È il punto di transizione tra l'intelligenza pratica e l'intelligenza rappresentativa.
    Il bambino non procede più per prove ed errori, ma compie un atto mentale, vale a dire, è in grado di anticipare mentalmente l'effetto delle proprie azioni, oltre che di evocare azioni passate.
    Questo fenomeno segna la comparsa della rappresentazione. Ora, un oggetto può essere ritrovato anche in seguito a spostamenti non percepiti, ma solo inferiti: se nascondiamo un oggetto nella nostra mano e poi lo lasciamo cadere, non visti, dietro uno schermo, non ritrovando più l'oggetto nella mano, il bambino è in grado di rappresentarsi la nostra azione, andrà perciò a cercare l'oggetto dietro lo schermo (permanenza dell'oggetto).

Commenti: 2
1 gloria tarditi alle ore 19:19 del 06/06/2012

Ho trovato molto interessante l'accostamento tra Piaget e Jung. Ringrazio l'autore di aver messo a disposizione il testo

2 vittoria alle ore 12:24 del 07/06/2012

Davvero un articolo molto interessante, l'accostamento tra sviluppo infantile e schizofrenia aiuta molto a comprendere il mondo interiore di entrambi.

Grazie!

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