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Terapia della Gestalt e caso clinico: le relazioni interpersonali e la storia di LuisaL'articolo "Terapia della Gestalt e caso clinico: le relazioni interpersonali e la storia di Luisa" parla di:
Articolo: 'Terapia della Gestalt e caso clinico: le relazioni interpersonali e la storia di Luisa'A cura di: Valentina Sbrescia
IntroduzioneLa terapia della Gestalt nasce ufficialmente nel 1951, ad opera di Perls, Hefferline e Goodman e con la pubblicazione del loro testo "Teoria e pratica della psicoterapia della Gestalt". In questo testo trovano una sintesi diversi filoni filosofici (fenomenologia ed esistenzialismo), scientifici (leggi gestaltiche della percezione), clinici (psicoanalisi) ed esperienziali (approcci corporei), creando con il loro incontro un approccio alla psicoterapia del tutto nuovo. D'altra parte in Gestalt si dice che la creatività è una funzione della riorganizzazione del campo percettivo, allo stesso modo i contributi precedentemente citati hanno dato vita ad un approccio nuovo alla sofferenza umana che vede nell'esperienza diretta ed immanente (e quindi nella ristrutturazione del campo percettivo) la via migliore per raggiungere una maggiore autoconsapevolezza ed una maggiore capacità di gestione della realtà e della propria capacità di farvi fronte in modo adeguato. La mia intenzione ora è quella di rivedere velocemente i presupposti teorici della teoria (anche se non in maniera esaustiva ma solo relativamente alle mie argomentazioni) così da permettere al lettore di seguire un filo che lo condurrà poi a comprendere meglio quanto esporrò in seguito sulle relazioni interpersonali (oggetto dell'articolo) e su come queste vengono trattate in un colloquio di psicoterapia gestaltica. I principi fondamentali in psicoterapia della GestaltUn concetto fondamentale della visione gestaltica delle esperienze umane fa riferimento alla legge percettiva della relazione dinamica tra figura e sfondo. Si parte dalla constatazione che 'il tutto è diverso dalla somma delle sue parti' e ci si chiede quindi attraverso quali meccanismi percettivi questo accada: psicologi come Max Wertheimer, Wolfgang Köhler e Kurt Koffka osservarono, attraverso studi di laboratorio, che il cervello tende, per sua natura, a percepire complessità, configurazioni, 'totalità' in grado di organizzare i singoli elementi in forme definite ed organizzate, chiamate appunto "gestalt". Inoltre, queste gestalt, riorganizzando gli elementi tratti da uno sfondo confuso ed indistinto, tendono a 'mettere ordine' e a contrapporsi percettivamente a ciò che continua a presentarsi come uno sfondo poco distinto e poco chiaro. Altro concetto portante in gestalt, derivato dalle leggi percettive, è quindi il fatto che la percezione, in quanto tale, può avvenire esclusivamente nel "qui e ora" del momento presente; tutto il resto è riconducibile a ricordi, che creano effetti nel presente, oppure a fantasie e produzioni immaginative, che a loro volta condizionano o trovano origine nel modo in cui la persona vive al momento presente. Ci si chiederà che rilevanza può avere questo tecnicismo. Lo spiego subito, inserendo in questo discorso due elementi: ogni esperienza può essere trattata solo nel qui e ora della relazione terapeutica, in riferimento ai suoi effetti attuali, altrimenti è fuori dal campo di azione di chiunque, e d'altra parte non avrebbe motivo di presentarsi all'attenzione del terapeuta se i suoi effetti non fossero disturbanti per chi li porta; in secondo luogo vorrei richiamare all'attenzione dei lettori l'aspetto noto ai gestaltisti come "la profondità della superficie". Mi piace immaginare quest'ultimo come le bollicine prodotte da una persona che si trova sotto il livello dell'acqua, in apnea, e che collegano in linea retta il nuotatore subacqueo con la superficie da cui le bollicine affiorano. Le esperienze presenti, quindi, rappresentano le bolle in superficie e, attraverso questo, è possibile ripercorrere a ritroso la scia verso l'esperienza che le ha prodotte e che rappresenta una 'gestalt incompleta', permettendo dunque alla persona di chiudere quella gestalt diminuendo o annullando i suoi effetti disfunzionali nel presente. Secondo questo approccio psicoterapeutico, infatti, utilizzando ancora le leggi percettive, le gestalt incomplete tendono costantemente a riproporsi, anche a sproposito, con l'intento di essere finalmente chiuse in maniera ragionevole e potersi nuovamente dissolvere nello sfondo, lasciando i propri elementi disponibili per la formazione di gestalt nuove. L'esperienza dunque tende ad assumere una modalità ciclica di passaggio continuo dallo sfondo alla gestalt e poi, dalla risoluzione di questa nuovamente allo sfondo, in un ciclo continuo che, se tutto va bene, porta costante novità alla vita ed è in grado di organizzarsi in modo creativo in forme sempre nuove e sempre rispondenti alle esigenze personali e contestuali realmente in atto nel momento presente, momento dopo momento. Ricapitolando, le esperienze, le quali racchiudono in sé sia aspetti cognitivi, che emotivi, che corporei o non verbali, fatte nel qui e ora della relazione terapeutica, riconducono inevitabilmente per filo diretto ad esperienze e situazioni in cui qualcosa è rimasto irrisolto o non elaborato. Compito del terapeuta è aprire la porta del qui e ora e consentire alla persona, nella sua stessa autonomia e responsabilità personale, di chiudere le gestalt irrisolte e così potersi volgere creativamente ed adattivamente alla vita presente. Ogni esperienza, infine, si apre e si chiude secondo uno schema ciclico che parte da uno sfondo indistinto, si compie esprimendo il proprio potenziale, per poter poi rientrare nello sfondo e lasciare lo spazio creativo alla nuova esperienza. Si tenga a mente questo mente si legge il seguito. Le relazioni nell'esperienza umana e nella teoria gestalticaPasso ora al tema relazionale, specificando che intendo questa come un'esperienza fondante dello sviluppo umano in genere: come osservava Winnicott, la relazione umana, affettivamente valida, in special modo con una madre sufficientemente buona, permette all'individuo di 'diventare umano', pienamente umano e non solo in senso potenziale, come invece è alla nascita. Altra funzione importante delle relazioni interpersonali è quella di permettere la sopravvivenza, cioè la soddisfazione dei bisogni individuali all'interno della società in cui si vive (basti pensare alla necessità di procurarsi soldi, tetto e viveri, che non si può soddisfare al di fuori di qualsiasi relazionalità). Infine, le relazioni sono il mezzo per percepire soddisfazione rispetto alla propria vita, cioè di 'Vivere' anziché meramente sopravvivere (si pensi all'esperienza gratificante di sentirsi utili, o stimati o amati da qualcuno). Secondo la teoria della gestalt, anche le relazioni interpersonali seguono l'andamento ciclico accennato precedentemente, che i gestaltisti chiamo "Ciclo di contatto", intendendo per contatto la capacità di formare buone gestalt e di farle poi riassorbire nello sfondo, assicurando quindi esperienze complete e gratificanti alle persone. Solo nel buon contatto è possibile realizzare relazioni interpersonali autentiche e realmente soddisfacenti per entrambi i partecipanti alla relazione. Questo contatto, come già abbiamo visto, si svolge in forma ciclica e prevede alcune fasi, o stadi, che si possono ridurre alle quattro fondamentali: sensibilizzazione, movimento, contatto e post-contatto. Riassumo velocemente il significato di queste fasi.
Lo stesso ciclo è perciò valido per ogni tipo di contatto poiché tutto è relazione e le relazioni, perché siano soddisfacenti, necessitano di un contatto pieno e soddisfacente. Vorrei però sottolineare alcuni aspetti del ciclo di contatto in riferimento alle relazioni interpersonali, e cioè che il contatto, per essere pieno, dev'essere fortemente percepito, desiderato, motivato. Deve essere cioè consapevole ed essere la risposta giusta al bisogno percepito, altrimenti lascerà comunque un senso di non appagamento. Inoltre, deve essere intenzionale: non si può essere costretti ad un rapporto non desiderato, poiché questo sarà di ostacolo ad ogni contatto. Una buona relazione presuppone la capacità della persona di unirsi, di confluire con l'altro. In questo senso parliamo di empatia, di 'sentire' l'altro con cui siamo in relazione. Tuttavia non tutti sono capaci di lasciarsi andare in questa fase del ciclo di contatto, poiché percepiscono la paura di non sapersi più riprendere, di non saper ritornare individui singoli ed unici. Infatti, perché una relazione sia autentica, è necessario sapersi ritirare, saper tornare 'da soli' a godere di quanto vissuto un attimo prima, sentirsi liberi e disponibili per un nuovo incontro. Una buona relazione e una buona unione può, infatti, esserci solo tra individui distinti: non si può stare bene insieme se non si sta bene separati. Gli ostacoli alla relazionalità e le interruzioni di contattoIl processo dinamico appena descritto è però parecchio fragile e può interrompersi in una qualsiasi delle fasi che lo costituiscono, creando quindi insoddisfazione e relazioni disfunzionali che, invece di nutrirci, ci portano sofferenza. Per questo motivo lo scopo principale del terapeuta non è tanto analizzare le relazioni delle persone o fare in modo che egli riconosca le inadempienze degli altri o del contesto, quanto invece individuare e sanare le interruzioni al contatto ristabilendo la capacità personale di ognuno di svolgere la propria esistenza nel modo più naturale possibile. Attenzione: non ho detto spontaneo, ma 'naturale'. La spontaneità è infatti in antitesi con la responsabilità, mentre in gestalt ognuno necessita di recuperare la piena responsabilità di sé stesso e delle proprie reazioni e relazioni. Quali possono essere allora le interruzioni del ciclo di contatto e quali effetti possono avere sulla vita quotidiana delle persone? Ora, per
rispondere a questa domanda cercherò di essere schematica, perdonatemi, per soddisfare la mia stessa esigenza di essere il più chiara
possibile in questa fase dell'articolo. Quando l'interruzione si verifica nella fase di sensibilizzazione, si assiste ad una errata o vaga
valutazione dei bisogni, propri o altrui. Mi viene in mente per esempio una persona che, mal valutando il proprio bisogno di ricevere cura e protezione,
si dedica invece alla ricerca continua ed infruttuosa di amanti, cambiandoli come i calzini, poiché nessuno è in grado di rispondere
al reale bisogno della persona, che cerca un particolare tipo di amore che non corrisponde però a quello sentimentale o sessuale. La buona relazione nella GestaltIn gestalt posso dire che il modello di una buona relazione sia racchiuso tra le righe di quella che noi affettuosamente chiamiamo la 'preghiera della Gestalt', scritta direttamente da Perls e che riporto qui di seguito: «Io sono io. Tu sei tu. Come si può notare, in queste poche righe sono presenti due individualità distinte eppure capaci di stare insieme oppure di separarsi, ma in ogni caso entrambe secondo la propria responsabilità personale e senza il bisogno di invadere o di soverchiare l'altro. Altro elemento rilevante ai fini dell'oggetto di trattazione odierno è, a mio avviso, il riferimento alle aspettative. Nelle relazioni interpersonali, le relazioni sono un tremendo ostacolo al reale incontro tra individui. Infatti sono solita definirle come dei comandi impliciti: all'interno della relazione le aspettative si configurano infatti come richieste perentorie all'altro, non esplicitate verbalmente, che si pretende fortemente l'altro non solo capisca ma a cui addirittura voglia spontaneamente rispondere con 'Sì, Signore!'. L'aspettativa quindi non rende giustizia né a chi ce l'ha, in quanto è destinata a fallire, a nascondere i bisogni reali e quindi a lasciarli insoddisfatti, né a chi ne è vittima che, nonostante tutta la buona volontà del mondo, non è messo in condizione di poter scegliere se accondiscendere all'invito oppure rifiutarsi. In questo caso sarebbe più opportuno e più utile alla relazione trasformare una pretesa implicita in ciò che è realmente, cioè un desiderio esplicito. Così avrebbe maggiori possibilità di essere soddisfatto, con gentilezza e per amore. Se vogliamo, le aspettative nascono, a mio parere, da un blocco nelle fasi di sensibilizzazione e/o di movimento del ciclo di contatto. Il lavoro relazionale in terapia della GestaltNel setting (ambiente) terapeutico, il lavoro relazionale si sviluppa su due livelli distinti: uno è quello relativo alle difficoltà relazionali della persona che porta la sofferenza da esse causata, uno invece è relativo alla relazione tra il terapeuta stesso e la persona che gli si rivolge in colloquio. Entrambi i livelli vengono comunque considerati nel qui e ora dell'esperienza terapeutica in atto. A questo punto vorrei che ricordaste cosa è stato scritto sopra rispetto alla 'profondità della superficie'. Quando qualcuno si rivolge ad uno psicoterapeuta, lo fa in quanto non è riuscito, da solo, a risolvere e gestire le sofferenze che si porta dietro nella vita e che, nel presente, gli rendono difficile viverla con soddisfazione. Per quanto possano essere vari i problemi che portano le persone ad affrontare una psicoterapia, questa è l'unica motivazione reale: il desiderio di vivere anziché sopravvivere. Ricordate quando dicevo che le relazioni sono il mezzo per percepire soddisfazione rispetto alla propria vita? Vi invito a ricordare, inoltre, che un buon contatto necessita di essere desiderato ed intenzionale, in quanto altrimenti, non è possibile si possa costruire, con il terapeuta, un rapporto realmente autentico e quindi utile e proficuo. Inoltre, il lavoro terapeutico, come sopra ricordato, non ha l'obiettivo di estinguere le fiamme della sofferenza individuale, ma di assistere la persona mentre si prende essa stessa la responsabilità della propria sofferenza e diventa in grado di guarirsi da sola. In altre parole il terapeuta accompagna la persona sofferente 'attraverso' la propria sofferenza, guidandola 'dall'altra parte', non 'da un'altra parte'. Per questo è necessario che il legame tra i due attori sia solido, autentico e fiducioso. E questo richiede desiderio di arrivare all'autosostegno e ferma intenzione di arrivarci, sebbene assistiti, nel farlo, da una persona competente e degna di fiducia. A questo scopo, il terapeuta ha la responsabilità della propria modalità di entrare in relazione, in contatto con l'altro, poiché il suo ruolo è anche quello di proporre l'esperienza di una relazione autentica, nutriente, non invasiva e non sostitutiva della responsabilità dell'altro. Credo di poter dire che la modalità relazionale del terapeuta dev'essere, in questo caso, di tipo socraticamente maieutico: una paziente, una volta, dopo un lavoro impegnativo in cui lei cercava in tutti i modi di evitare il contatto, mi disse che si sentiva come se avesse partorito, e ringraziava me di averla contemporaneamente spinta e sostenuta quasi come un'ostetrica. L'obiettivo, ricordo, nella profondità della superficie, è quello di guidare la persona a ripristinare la dinamica figura-sfondo delle gestalt rimaste aperte a causa di interruzioni del ciclo di contatto, facendo esperienza, nel qui e ora della relazione terapeutica, di un contatto sufficientemente buono con il terapeuta. Ricordo ancora che questa relazione deve coniugare vicinanza e distacco, come nella preghiera della Gestalt: "Io sono io. Tu sei tu...", proponendo dunque una "esperienza emozionale correttiva" che sia di supporto alla persona. Esempio clinico: LuisaLuisa ha 43 anni. È una donna fragile in questo momento della sua storia, poiché, dopo aver affrontato tante vicissitudini, si trova ora a non avere la forza di accudire i suoi due figli. Ma andiamo per gradi. Luisa è la seconda di tre figlie, nate dal matrimonio dei suoi genitori. Quando aveva circa 10 anni, per motivi di infedeltà di coppia, la madre se ne va di casa per un periodo, al termine del quale il padre chiede a lei di prendere la decisione circa il rientro a casa della madre. Luisa accetta il ritorno della madre (cos'altro avrebbe potuto fare in un'età tanto giovane ed essendo tanto desiderosa del suo amore!) e da allora in poi osserva una netta preferenza della madre per la sorella minore, la quale si era invece rifiutata di farla tornare. Il rapporto di Luisa con la madre non è mai migliorato, semmai è peggiorato con il tempo poiché la figlia, con l'avvento dell'adolescenza e combattuta tra amore ed odio, ha assunto un comportamento spesse volte provocatorio e sfidante nei suoi confronti, preferendole sempre di più il padre. All'età di 15 anni Luisa ha un incidente in motorino e rimane invalida poiché subisce l'amputazione di un arto inferiore. Questo non la ferma minimamente e Luisa fa tutte le sue esperienze accompagnata dalle stampelle. Più tardi i suoi genitori divorziano mentre lei conosce il marito, cui è rimasta sempre fedele e devota nonostante tutti i problemi che lui le ha causato. Tiziano, il marito, ha avuto per anni problemi di droga e poi numerose altre patologie che l'hanno portato 6 anni fa a morire. Dal momento della perdita del marito, Luisa cade in uno stato ansioso depressivo, di costante lutto, da cui non è ancora riuscita a riprendersi e che permea con un senso di morte la vita sua e dei suoi figli. A quel tempo era già nato il figlio maggiore (ora diciassettenne), mentre la figlia minore (ora settenne) aveva appena 17 mesi e si può dire che non abbia mai conosciuto il padre se non attraverso i racconti della madre e del fratello. Purtroppo Tiziano è stato ed è tutt'ora motivo di scontro tra Luisa e sua madre. Inoltre Luisa, che non ha mai lavorato e che quindi non è finanziariamente autonoma al di fuori della sua pensione di invalidità, vive in campagna, in una parte a lei dedicata della villa della madre, con cui necessariamente è sempre in stretto contatto, sia per questioni economiche che pratiche, in riferimento all'accudimento dei figli minori: la nonna, infatti, ingerisce spesso nella cura dei nipoti perché la loro madre, vedova, invalida e non autosufficiente, non è spesso in grado di gestirli nel modo corretto. Luisa tende ad evitare fortemente qualunque problema e qualunque necessità di un suo intervento autorevole presso i figli, tanto meno è in grado di arginare le invadenze dei suoi genitori nella sua vita familiare, continuando quindi a coltivare rabbia e risentimento soprattutto nei confronti della madre, che lei ha rivoluto a casa ma da cui si sente svalutata e a cui deve così tanto della sua quotidianità. Poco dopo aver conosciuto Luisa, proprio a causa di questa disastrosa situazione nelle relazioni interne alla famiglia, nonché della sua disattenzione circa lo stato del figlio maggiore che stava sviluppando gravi patologie a sua insaputa, quest'ultimo viene inserito, nel maggio scorso, dai servizi sociali in una comunità residenziale socio-educativa, dove rimane fino all'aprile di quest'anno quando la madre, con un colpo di testa ed in preda ad una crisi ansiosa e quasi paranoica, lo riprende con sé nel cuore della notte. Nonostante tutto, non appena il figlio ritorna a casa, si ripresentano tutte le dinamiche disfunzionali che precedevano la sua istituzionalizzazione. Scusate la lunghezza ma ho ritenuto necessario descrivere per sommi capi la complessità della situazione. Ora vengo al punto, e purtroppo la sua trattazione sarà più breve della descrizione che ha preceduto in quanto di per sé molto semplice. Dopo un lungo lavoro con Luisa, di costruzione di un rapporto di fiducia tra di noi, dopo un altrettanto lungo lavoro sulla consapevolezza di Luisa rispetto alla sua coazione ad evitare le esperienze, dopo un lungo lavoro sulla sua consapevolezza rispetto al vissuto dei figli, Luisa arriva, proprio partendo dall'ultimo tema, a verbalizzare il suo fastidio rispetto al modo che ha di reagire di fronte alle ingerenze di sua madre: "Trovo estremamente fastidioso che, quando discuto con lei, io chiudo la conversazione strillando come una quattordicenne e andandomene sbattendo la porta dietro di me!". A questo punto le propongo di lavorare con la 'sedia calda' (tipica tecnica gestaltica), invitandola a posizionare la madre davanti a sé e a verbalizzarle il suo sentire nei termini di una quattordicenne arrabbiata. Luisa cerca anche qui di evitare e deflettere la richiesta in tutti i modi che le sono possibili. Contemporaneamente io cerco di motivarla, sostenerla e bloccarle tutte le vie di fuga, allo scopo di accompagnarla fermamente ma gentilmente a riattivare il suo ciclo di contatto con la rabbia che sente. Le suggerisco anche alcune frasi che, per intuito, possono aiutarla ad esprimere correttamente il suo sentire, ad esprimerlo tutto, mantenendo una modalità rispettosa sia di sé che della madre, che definisca i fatti e non ammetta giudizi, né positivi né negativi. Esaurita la spinta assertiva, accompagno Luisa a riconoscere la situazione che si è presentata, ossia il fatto, oltremodo naturale, che i figli siano portati, mentre assumono il latte dalla madre, anche a morderla e a farle male. Questo è successo con i suoi figli, allo stesso modo lei lo fa con sua madre: mentre prende l'aiuto che lei le dà, contemporaneamente nutre astio nei suoi confronti e se ne sente svalutata. Al di là della correttezza o meno dei comportamenti reciproci, tra di loro accade questo. A questo punto Luisa si rende conto che fare la madre può essere difficile e causa di sofferenza, qualunque tipo di madre si sia. Infine, pur non perdonando la madre, ne riconosce comunque il sacrificio e la dedizione. Questo la rende maggiormente libera di rendersi conto che in fondo anche lei, nonostante la disprezzi, ama sua madre più di quanto immaginasse. Devo aggiungere, con grande soddisfazione personale, quello che Luisa mi ha detto a conclusione del lavoro, quando, come al solito, le ho chiesto come si sentisse. Mi ha risposto: "Mi sento come se avessi partorito: stessa fatica, stessa leggerezza e stessa soddisfazione! Se ci sono riuscita è perché tu mi sei stata accanto a spingere con me". Chiusa una gestalt se ne apre subito un'altra, ed il ciclo ricomincia. Ma questo è successo dopo ed esula da questa trattazione. Quello che invece è di interesse è stato l'improvviso cambiamento degli equilibri familiari che si è verificato entro pochi giorni dopo. Luisa ha cominciato a porre confini con la madre la quale, a onor del vero, ha saputo farsi da parte, e ad essere autorevole con i figli, soprattutto il grande, il quale, in un momento di stizza e dopo aver cercato di provocare la madre in tutti i modi, le ha detto esasperato: "Ma che cosa ti ha fatto quella psicologa? Non ti riconosco più!". Che soddisfazione! ConclusioneIn conclusione, posso affermare che il lavoro sulle relazioni interpersonali sia uno dei punti caratterizzanti l'approccio terapeutico gestaltico, sia nel merito che nella forma. Altrettanto tipica è anche la tecnica terapeutica utilizzata in Gestalt, che fa largo uso di modalità espressive. Ma questo è tema per un futuro articolo. Altre letture su HT
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