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CSM: analisi dei disservizi di un Servizio Sanitario La Psicologia del lavoro (e le terapie alternative) al servizio della Psichiatria
L'articolo " CSM: analisi dei disservizi di un Servizio Sanitario" parla di:
- "Dentro" un CSM italiano: carenze strutturali e di cura
Analisi delle criticità e possibili soluzioni con la PNL Progetto alternativo tra utopia e realtà
Articolo: 'CSM: analisi dei disservizi di un Servizio Sanitario La Psicologia del lavoro (e le terapie alternative) al servizio della Psichiatria'
A cura di: Roberta Riccato
CSM: analisi dei disservizi di un Servizio Sanitario La Psicologia del lavoro (e le terapie alternative) al servizio della Psichiatria
PREMESSA
Sono una Psicologa che si riconosce nel modello antipsichiatrico di matrice basagliana, diffuso in Italia da ormai cinquant'anni.
Era infatti il 1961 quando tutto iniziò a Gorizia e, diciassette anni dopo, le lotte combattute dallo Psichiatra veneziano produssero
la chiusura dei manicomi a seguito dell'approvazione della legge 180, più nota come Legge Basaglia.
Per quanto la legge abbia compiuto passi enormi nella sua attuazione, molto ancora resta da fare.
Nel nostro Paese il modello basagliano trova applicazioni eterogenee, per cui contiamo regioni virtuose che hanno organizzato i servizi sulla
scia di quanto previsto dalla legge e altre invece che ancora si attardano in questo senso.
Purtroppo ho esperienza diretta dei disservizi del sistema che gravano su persone già sofferenti rallentandone, se non impedendone,
i processi di guarigione.
In questo testo oltre a "denunciare" le carenze e i limiti che ho incontrato - meglio dire in cui mi sono scontrata - personalmente, voglio
evidenziare la necessità di sviluppare ulteriormente i processi operativi, all'interno dei servizi psichiatrici, attraverso gli strumenti
della Psicologia del lavoro e delle terapie alternative, per favorire il benessere dei pazienti e degli operatori.
La formazione universitaria con il professor Giuseppe Dell'Acqua, collaboratore di Basaglia ed ex-Direttore del Distretto di Salute
Mentale di Trieste; il contatto diretto con le modalità di gestione di un Centro di Salute Mentale italiano, in quanto parente di un
paziente in cura; il contesto culturale familiare in cui sono cresciuta, impregnato dalle riflessioni basagliane (per conoscenza personale da
parte dei miei genitori del dottor Basaglia e del suo staff ai tempi dell'esperienza goriziana), e infine la partecipazione a convegni e riunioni
operative sull'abuso degli psicofarmaci e sulle terapie alternative, mi hanno consentito di integrare molte informazioni sui meriti della
rivoluzione promossa da Franco Basaglia.
L'esperienza professionale nell'ambito dei contesti organizzativi complessi, propri delle pubbliche amministrazioni, mi ha permesso inoltre
di riscontrare alcune criticità nell'attuale applicazione del modello originario.
L'ipotesi che vorrei proporre è che non sia il modello a essere inadeguato ma che, invece, sia il modo in cui è applicato a
richiedere una rivisitazione complessiva.
Dare forma al sogno di una Psichiatria più umana ed efficace attraverso l'unione armonica di punti di vista differenti - pazienti e
famiglie da un lato, società psichiatrica dall'altro - con la mediazione di Psicologi formati professionalmente e umanamente per raccordare
le due diverse, e a volte antitetiche, prospettive esistenziali in un progetto volto al miglioramento del benessere individuale e collettivo.
Questo articolo vuole essere l'incipit per la realizzazione di una visione futurista.
IL PROCESSO DI PROBLEM SOLVING PSICHIATRICO
Prima di essere una Psicologa, sono una parente di un paziente di un CSM italiano, per questo motivo ho potuto osservare da utente il servizio
offerto ai malati psichiatrici.
Semplicemente passeggiando per gli stabili adibiti alla cura e ascoltando il personale e i familiari dei pazienti - che liberamente esprimevano
le proprie opinioni sull'organizzazione del lavoro - ho riscontrato una serie di anomalie strutturali e funzionali che necessiterebbero
di un monitoraggio e di una supervisione costanti ai fini del mantenimento della qualità del servizio erogato.
Il mio modus operandi nel lavoro e nella vita è basato sul processo di problem solving che è costituito da una
sequenza di atteggiamenti e comportamenti, finalizzati alla scoperta di soluzioni alternative in situazioni critiche, quali:
- Problem finding: rendersi conto del disagio.
- Problem setting: definire il problema.
- Problem analysis: scomporre il problema principale in problemi secondari.
- Problem solving: eliminare le cause e rispondere alle domande poste dal problema.
- Decision making: decidere come agire in base alle risposte ottenute.
- Decision taking: passare all'azione.
Per questo motivo riporterò i fatti e le osservazioni in modo quanto più oggettivo possibile. Per onestà intellettuale,
devo però precisare che quanto descritto sarà comunque filtrato non solo dagli occhi del professionista Psicologo ma anche della
figlia preoccupata per il servizio fornito al padre.
Cercherò, tuttavia, di ottimizzare questa duplice condizione nella quale mi trovo, per integrare il punto di vista degli addetti ai
lavori con quello dell'utenza.
Inizierò, quindi, con una descrizione degli avvenimenti, di cui sono stata testimone, suddividendoli in due categorie di contenuto:
caratteristiche strutturali e funzionali di un CSM italiano.
Riporterò inoltre, a titolo esemplificativo, alcuni casi osservati.
Continuerò con un'analisi delle cause delle criticità rilevate, scomponendo il problema principale in sotto-problemi, al fine di
ipotizzare alcune risposte operative, importate da altre strutture pubbliche italiane, non necessariamente appartenenti al Sistema Sanitario
Nazionale.
1. PROBLEM FINDING: INTERCETTARE IL DISAGIO DI PAZIENTI E PERSONALE. RILEVAZIONI STRUTTURALI SUL CSM
Di seguito riporto le criticità strutturali rilevate:
- Vetustà della struttura del servizio psichiatrico.
Le vetrate delle porte d'ingresso all'atrio sono rotte, parimenti a quelle delle porte rivolte sulla tromba delle scale che collega al piano
terra dell'edificio.
L'illuminazione esterna e interna è inadeguata, non ergonomica (effetto luci al neon), improvvisata (piccole lampade da
tavolo appoggiate a terra nelle stanze), se non addirittura fuori uso. Le persone che entrano ed escono dal CSM di sera rischiano di cadere
dalle scale perché i lampioni nell'atrio sono bruciati da mesi.
Le prese della corrente nelle stanze non sono tutte funzionanti e, in alcuni casi, i cavi degli apparecchi elettrici sono sospesi nell'aria
perché gli attacchi della corrente sono collocati a due metri e mezzo di altezza.
Riscaldamento guasto per mesi, con impossibilità di usufruire di acqua calda oltre che di spazi temperati. Gli arredi della
sezione degenti sono rotti, sporchi e scarsi.
Manca l'impianto di climatizzazione. Corsie austere e buie che necessitano di un restyling in chiave moderna che vada oltre la
tinteggiatura policromatica delle porte di accesso alle stanze. Tre piani dello stabile sono abbandonati perché obsoleti e inadatti a
ospitare strutture sanitarie.
- La mancanza di montascale all'ingresso rende impossibile l'accesso a pazienti o parenti dei ricoverati affetti da disabilità.
- Il giardino antistante non è attrezzato per l'accoglienza dei degenti e dei familiari.
La mancanza di supporti dove sedersi, ad esempio, comporta che i pazienti utilizzino le panchine alla vicina fermata dell'autobus, essendo
quindi costretti a uscire dalla struttura di accoglienza.
- La mancanza di panche e seggiole nell'atrio d'ingresso, dove è presente la macchinetta del caffè o in altri locali
comuni, impedisce ai parenti dei pazienti di avere un luogo dove potersi riunire assieme ai loro familiari.
- Mancanza di una "sala musica e relax" parallelamente alla stanza della tv.
- Disomogeneità tra la sezione accoglienza diurna e la sezione degenze: arredi e spazi più curati nella prima, degrado
nella seconda.
A questo riguardo va segnalato il benevolo intervento di un'associazione dei familiari dei pazienti che, dopo aver raccolto i fondi necessari,
ha regalato un nuovo divano alla struttura da inserire nella sala comune per compensare, almeno parzialmente, gli arredi che risultavano
insufficienti e, in alcuni casi, fatiscenti.
L'ambiente così com'è organizzato, a mio parere, non stimola la guarigione ma può, al contrario, essere
un fattore coadiuvante degli stati depressivi.
Avendo condiviso queste riflessioni con il Direttore del CSM e con il Direttore Sanitario, la risposta scontata che ho ricevuto è stata
che il reparto doveva essere trasferito e che, per questo motivo, non erano stati eseguiti lavori di ristrutturazione poiché antieconomici.
Le condizioni di degrado, tuttavia, permangono ormai da più di dieci anni e rimane il fatto che un malato di cuore non sarebbe curato
in queste condizioni.
Allora, perché il paziente affetto da disturbo mentale deve essere trattato diversamente?
Confrontando il reparto di Cardiologia, sezione di Terapia intensiva, con il CSM dell'Azienda Sanitaria ho visto e percepito, con i miei sensi,
la differenza: clinica privata svizzera versus ghetto medioevale.
Il reparto, in ultima analisi, avrebbe dovuto essere trasferito già da qualche tempo, in una struttura adeguata alle esigenze dei
pazienti che, dati i disturbi da cui sono affetti, hanno bisogno di un ambiente accogliente e confortevole che li faccia sentire protetti
e accuditi con cura e compassione, invece che "ammalati di seconda categoria", esattamente come avrebbe voluto Franco Basaglia.
Il progetto per la ristrutturazione dello stabile, dove il CSM avrebbe dovuto essere, è pronto ormai da sei anni. Sono
già stati stanziati e spesi molti soldi per l'avvio dei lavori, ma ci vorranno almeno altri quattro anni prima che la struttura sia
terminata.
Nel frattempo, a mio avviso, una soluzione alternativa dovrà essere trovata.
«Un buon luogo di cura è un luogo curato e per essere curato deve essere valorizzato come luogo di vita per le
persone».
(Ota de Leonardis, Sociologa dell'Università di Milano, Intervento alla "Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo",
Trieste, 9 - 13 febbraio 2010).
CASO I: MA CHE FREDDO FA... IN QUESTA OSCURITÀ
Le amministrazioni comunale, provinciale, sanitaria e universitaria di una città italiana, operando in sinergia, hanno dato vita a
una serie di iniziative in onore dell'opera basagliana, terminate con un convegno di due giorni.
In quell'occasione sono state spese molte parole dai rappresentanti politici quali il Sindaco della città, il Presidente della
Provincia, i Direttori generale e sanitario dell'Azienda Sanitaria locale nonché il Direttore dell'ateneo, in onore della rivoluzione
psichiatrica.
In particolare, i Direttori generale e sanitario dell'Azienda Sanitaria, entrambi Psichiatri, hanno rilevato la modernità
dell'approccio basagliano anche dopo cinquanta anni.
Poco tempo prima dell'organizzazione di questo tributo alla memoria, è andato in avaria l'impianto di riscaldamento del CSM
della città, perché ubicato in uno stabile vecchio e cadente, ormai abbandonato da tutti gli altri servizi sanitari precedentemente
inseriti.
Dopo tre mesi risultava ancora fuori servizio, nonostante le petizioni e le lamentele dei dipendenti e del direttore del Centro.
I degenti, quindi, non potevano usufruire dell'acqua calda e di una temperatura ambientale consona ai rigori dell'inverno.
Uno degli strumenti utilizzati nei manicomi, per sedare i pazienti agitati, prima dell'intervento del dottor Basaglia, erano proprio i bagni
nell'acqua gelata.
A distanza di cinquanta anni, sono tutti i malati a dover usare l'acqua fredda giacché, se non possono lavarsi autonomamente, sono
obbligatoriamente lavati dagli infermieri che, ovviamente, usano l'acqua di cui dispongono: gelata (potrebbe, in effetti, essere riscaldata
sul fuoco, usando dei pentoloni, come si faceva una volta, ma questa è una condizione utopistica, credo).
Un'altra anomalia riguardava l'impianto di illuminazione all'ingresso della struttura, che non funzionava sempre da qualche mese, lasciando
al buio le persone che - recandosi al Centro di Salute Mentale di sera - dovevano salire due rampe di scale quasi completamente alla cieca.
Per risolvere entrambi i problemi a titolo personale - non lavoro infatti per alcuna amministrazione pubblica - ho contattato l'assessore
del Comune competente in materia, che ha riportato il problema al Direttore sanitario che, a sua volta, ha dato immediatamente ordine di avviare
i lavori di manutenzione.
Il giorno successivo alla telefonata, il riscaldamento veniva così finalmente aggiustato in un paio d'ore e, una settimana dopo, veniva
sostituita la lampadina bruciata sulle scale d'ingresso.
È stato quindi necessario che un cittadino comune segnalasse il disservizio alle Autorità affinché si
trovasse una soluzione al problema.
Le Istituzioni, forse, avrebbero dovuto ascoltare le segnalazioni del personale medico e infermieristico della struttura e monitorare con
maggiore puntualità le condizioni ambientali del reparto di Psichiatria, per valutare se fossero rispettate o meno le norme sanitarie e
di sicurezza o, forse, non avrebbero dovuto ignorare il problema di cui erano già a conoscenza.
IMPLICAZIONI SANITARIE, ETICHE E PRAGMATICHE
Se non comprendiamo che chiunque possa arrivare, in un momento particolare della propria vita, a manifestare una determinata patologia
psichiatrica, esattamente come chiunque possa ammalarsi di una delle altre molteplici malattie, non riusciremo a sviluppare una società
etica ma, invece, ci allontaneremo sempre più dal senso di umanità che dovrebbe caratterizzarla.
Possiamo essere d'accordo con queste riflessioni nate cinquanta anni fa oppure no, tuttavia, durante le cerimonie ufficiali saremo costretti a
celebrare questi concetti per consolidare l'immagine che vogliamo dare di noi stessi al pubblico che, a sua volta, apprezzerà i contenuti
espressi, anche se li considererà utopistici e irrealizzabili ma pur sempre degni di essere vagheggiati.
Il dottor Basaglia aveva sognato un modello psichiatrico diverso, nuovo e assolutamente rivoluzionario che è riuscito a realizzare
nonostante tutto e nonostante tutti.
I detrattori diranno che il modello basagliano non funziona ma, in realtà, non è il modello a non funzionare ma il metodo con
cui esso è applicato.
All'interno del Dipartimento di Salute Mentale, ora siamo in difficoltà perfino nel cambiare le lampadine quando si bruciano o ad
aggiustare l'impianto di riscaldamento se fuori uso. La sfida è eliminare le cause che impediscono la realizzazione completa del progetto
originario.
BENESSERE ORGANIZZATIVO
Un'ultima constatazione strutturale attiene al famigerato benessere organizzativo che tutte le aziende pubbliche e private devono monitorare
per intraprendere azioni correttive, in caso di disfunzioni strutturali o organizzative che possano nuocere al personale.
I medici, gli infermieri, gli operatori sociosanitari e tutto il personale di servizio, sono sottoposti alle stesse condizioni ambientali
dei pazienti: troppo freddo o troppo caldo, luce al neon inadeguata, uffici obsoleti, "ghettizzazione".
Questi sono tutti elementi che favoriscono l'insorgere di patologie da stress che - negli ambienti medici in generale e in quelli psichiatrici
in particolare - sono più comuni e ben citati in tutti i documenti e pubblicazioni che parlano di rischi psicosociali legati allo stress
da lavoro.
Da un breve ma indicativo ascolto delle testimonianze che il personale mi ha rilasciato spontaneamente quando mi recavo al CSM per trovare
mio padre, dal lamento espresso, si evince un malcontento generalizzato e diffuso tra medici e infermieri, per essere stati abbandonati
a se stessi e non rispettati nelle esigenze, più volte segnalate con documenti ufficiali (lettere controfirmate da tutto il personale)
ai vertici sanitari.
RILEVAZIONI FUNZIONALI DELLA SEZIONE DEGENZE DEL CSM
Nel mio incontro con il servizio ho potuto constatare le seguenti disfunzioni:
- Pazienti della sezione degenze lasciati tutto il giorno da soli a fumare nella sala dove è presente la televisione. La
visione libera degli attuali programmi televisivi, invece di favorire uno stato di benessere nelle persone ricoverate, potrebbe - a mio
parere - far insorgere stati d'ansia, stati depressivi e comportamenti aggressivi per emulazione.
- Mancanza di relazioni strutturate tra personale e pazienti, se non durante la somministrazione della terapia o in caso di richiesta
di aiuto da parte dei ricoverati.
Non sono infatti previsti momenti quotidiani d'intrattenimento e di comunicazione con il paziente, eccezion fatta per il momento della
somministrazione della terapia e della valutazione del dosaggio da parte dello Psichiatra.
Manca completamente la dimensione dell'ascolto finalizzato alla cura.
Non si evince quale sia la terapia psicologica e/o occupazionale di supporto alla terapia farmacologica.
Scarsi i colloqui terapeutici strutturati.
Assenza di personale medico che supervisioni i degenti durante la giornata per accertarsi, da un lato, sulle loro condizioni e, dall'altro,
per consolidare una relazione terapeutica basata sulla vicinanza e sulla comprensione emotiva.
Gli Psichiatri, infatti, hanno l'ambulatorio in un'ala differente della struttura e i degenti vi si recano su richiesta del Medico.
- Pazienti paranoici in stanza assieme si scaricano addosso le loro fobie perché non è previsto nessun momento di
condivisione delle loro ansie con il personale.
- Non sono previste attività educative, psicoterapiche o manuali per le persone ricoverate.
- La presenza di un unico Psicologo - peraltro assente per maternità - che si occupa esclusivamente di terapia di gruppo lascia
prive di supporto le persone che necessitano di un intervento individualizzato.
- La specializzazione manageriale del Direttore del Centro non consente ai pazienti di usufruire delle competenze psicoterapiche
possedute dallo stesso, che non effettua più alcuna attività operativa, fatta eccezione per i colloqui con i familiari.
- Mancanza di strumenti programmati, concordati o in fase di sperimentazione, per gestire i pazienti ricoverati che tendono
ad allontanarsi dalla struttura.
- Critiche dai familiari dei pazienti alle cure fornite perché considerate non sufficienti.
- Mancato aggiornamento della scheda di un paziente.
Per due volte consecutive, lo Psichiatra curante ha omesso di indicare due argomenti importanti riguardanti il degente, segnalati dalla famiglia,
impedendo così agli infermieri di turno di gestire le criticità in modo appropriato.
Lo Psichiatra curante aveva anche assicurato ai familiari che avrebbe provveduto ad avviare le modalità concordate di gestione del
paziente, senza tuttavia realizzarle effettivamente e senza condividerle con l'équipe.
- Problemi di comunicazione interna o di superficialità nella gestione del rapporto con i familiari che non sono ascoltati
con dovizia, nonostante le assicurazioni fornitegli. Gli accordi intercorsi tra familiari ed équipe non sono rispettati, per quanto
riguarda la gestione degli allontanamenti volontari di un paziente dal CSM.
Non è il CSM che avvisa la famiglia ma, al contrario, sono i familiari che avvertono la struttura del suo allontanamento.
- Mancanza di coordinamento da parte dell'Azienda Sanitaria delle associazioni di volontariato e di auto-mutuo aiuto operative in
ambito psichiatrico.
- Mancanza di gruppi di auto-mutuo aiuto per i pazienti affetti da patologie medio-gravi come, ad esempio, i disturbi del tono
dell'umore perché non presenti figure in grado di gestire questi casi, che così rimangono privi di supporto psicologico sia da
parte del CSM sia da parte delle strutture satellitari.
- Discrepanza tra comunicazione pubblica delle condizioni organizzative e realtà operativa. «L'Azienda
Sanitaria prosegue nei suoi insegnamenti di rispetto del malato (psichiatrico), basato sull'abbattimento delle barriere e il reinserimento del
paziente in una rete di relazioni legate al territorio». (Impianto di riscaldamento guasto per mesi durante l'inverno, struttura
vetusta, illuminazione bruciata).
CASO II: LA DISATTENZIONE È LA PEGGIOR "MALATTIA"
Un paziente è ricoverato tramite T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) per un episodio maniacale in atto legato a un disturbo
bipolare, già diagnosticato nove anni prima.
Il T.S.O. è convertito in ricovero volontario dopo tre giorni, perché il paziente è collaborativo e accetta di seguire
la terapia prescritta dallo Psichiatra che conferma, comunque, che il paziente si trova ancora in uno stato ipomaniacale.
Rimane, quindi, in ospedale sotto controllo medico, con il permesso di uscire accompagnato dal personale o da parenti e amici di fiducia.
La famiglia avverte lo Psichiatra curante che il loro familiare non riesce a contenersi con gli acquisti - sintomo comune nei casi maniacali
- e ha ormai accumulato un debito elevato sul conto corrente della famiglia, di cui è l'unico intestatario.
Al paziente è comunque consentito di uscire accompagnato dagli infermieri per recarsi in banca, dove riesce a prelevare allo sportello
- poiché il bancomat era stato trattenuto dalla famiglia - ulteriori 250 euro, aumentando il debito verso la banca e lasciando la moglie
senza soldi per fare la spesa.
I familiari chiedono spiegazioni al personale che l'ha accompagnato all'esterno che, per quanto mortificato dall'accaduto, dichiara
di non essere stato avvisato della situazione critica e di aver, anzi, ricevuto indicazioni che confermavano il nulla osta all'uscita.
Controllando la scheda del paziente hanno poi visto che non era segnalata la difficoltà dello stesso a gestire il denaro a causa di
una visione distorta della liquidità di cui poteva disporre.
Il personale coinvolto afferma che lo Psichiatra curante era di turno nella giornata in cui la vicenda incresciosa si è verificata
e non aveva indicato la revoca del permesso.
Il problema può essere stato, nella migliore delle ipotesi, a livello di comunicazione interna: non è stata aggiornata la
scheda clinica e, durante il briefing mattutino che l'équipe svolge per discutere sulle condizioni dei pazienti, non è stato
affrontato l'argomento.
Un'altra ipotesi, forse più grave, potrebbe essere che lo Psichiatra curante abbia sottovalutato, da un lato, la segnalazione del
problema da parte della famiglia e, dall'altro, abbia sopravvalutato le condizioni psicologiche del paziente considerandolo ormai in grado di
controllarsi in modo equilibrato.
Qualcosa comunque non ha funzionato nel processo operativo, che nei Sistemi di Gestione della Qualità (ossia l'insieme delle
attività tra loro collegate e interdipendenti che determinano e definiscono la Qualità di un prodotto o di un servizio) equivale
a una non conformità rispetto al modello gestionale acquisito.
Questo caso può essere un indizio a conferma dell'ipotesi iniziale: non è il modello basagliano a non funzionare ma il modo
in cui è applicato.
Per due giorni consecutivi, lo stesso paziente esce da solo senza che gli infermieri se ne accorgano e arriva a casa della famiglia che avvisa
l'ospedale.
Sono chieste spiegazioni all'équipe che dichiara di non poter intervenire perché, se un paziente non in T.S.O. vuole andarsene
dal Centro, per legge può farlo a suo rischio e pericolo, in quanto la responsabilità di eventuali azioni o comportamenti lesivi
ricadrebbe completamente su di lui, anche se in condizione di disagio psichico.
Un CSM ha le porte aperte e ciò significa che i degenti, avendo libertà di movimento, non possono essere bloccati. Nessuno
si è accorto della scomparsa del paziente perché l'équipe non può monitorare i degenti ininterrottamente, nemmeno
nei casi in cui i posti letto complessivi siano otto e non tutti occupati e il numero di infermieri per turno sia di quattro unità.
Quest'ultima è una riflessione personale.
In questo caso può essere rilevata un'altra anomalia organizzativa o non conformità, usando il termine tecnico della
Qualità Totale (intesa come il coinvolgimento e la partecipazione attiva del personale aziendale-sanitario tutto nel raggiungimento
dell'obiettivo, in questo caso la cura).
Di fronte a una situazione critica abituale per un CSM - diversi pazienti hanno infatti l'impulso ad abbandonare la struttura - non sono
state previste misure d'intervento, preventive e di soccorso, nel momento in cui l'evento si manifesta.
Gli infermieri, interrogati su questo punto, hanno ironizzato sulle loro possibilità d'intervento, dicendo che eventualmente
possono usare delle cinghie di pelle per legare alle sedie chi tenta di uscire, cosa peraltro impedita dalla legge.
Un altro paziente abituale, probabilmente affetto da disturbo psicotico, entra nella segreteria dove si trova l'équipe dicendo
di avere un attacco di panico in corso e che, per questo motivo, dovrebbe essere accompagnato fuori dalla struttura.
Gli infermieri rispondono di essere impegnati ma che possono, comunque, dargli una fiala di ansiolitico, se voleva.
Il paziente acconsente, l'infermiere si reca immediatamente a prendere il farmaco senza chiedere nulla al paziente riguardo al suo stato:
«Cos'è successo? Vieni nell'altra stanza che ne parliamo e mi racconti tutto?». O semplicemente dicendo:
«Caspita mi dispiace molto, ora vediamo cosa possiamo fare assieme».
Immediatamente dopo aver preso l'ansiolitico il paziente è andato alla macchinetta a bere un caffè che, sommato a tutti gli
altri già presi nel corso della giornata, rendeva notevole la quantità di caffeina nel sangue, contribuendo così a elevare
lo stato di eccitazione.
In questo CSM, fortunatamente, non è utilizzata la contenzione fisica.
L'impiego continuo e costante di psicofarmaci come unico strumento d'intervento può essere, tuttavia, indice di una terapia
basata esclusivamente sul controllo dei sintomi e quindi del paziente, ma lontana dall'occuparsi del benessere psicofisico complessivo della
persona.
È più probabile infatti che un miglioramento delle condizioni di salute possa essere raggiunto aumentando il numero e
il tipo di strumenti utilizzati, attraverso un progetto integrato centrato sulla persona che si articoli in: terapia farmacologica,
psicoterapia e terapie alternative oltre ai gruppi di mutuo aiuto, alle attività educative, lavorative e ricreative, peraltro organizzate
al Centro Diurno del CSM.
Ogni tipo d'intervento efficace poggia, così come strenuamente sostenuto e caldeggiato da Basaglia, le proprie fondamenta sulla
relazione interpersonale sincera tra operatori e pazienti.
Quando questa componente si riduce o è addirittura annullata, sarà difficile che siano fatti reali e significativi passi avanti
nella strada verso la guarigione o, quanto meno, verso un miglioramento della qualità della vita del paziente.
I Centri di Salute Mentale sono un luogo in cui, potenzialmente, la dimensione relazionale umana può essere valorizzata e diventare
veicolo di nuovi messaggi costruttivi per i pazienti ma anche per il personale.
La comunicazione infatti è sempre bidirezionale: se vogliamo ascoltare e osservare l'altro, chiunque esso sia, potremo vedere
rispecchiate alcune parti di noi o, da un'altra prospettiva, potremo proiettare sull'interlocutore parti della nostra personalità
focalizzandole in modo vivido.
Mantenere un contatto quotidiano con la sofferenza umana, invece di mistificarla facendo finta che non esista, consente al personale di
adottare uno stile comunicativo più semplice, autentico e affettuoso, caratteristiche quasi inesistenti in altri ambienti professionali
(uffici pubblici o aziende private, orientate all'aumento delle vendite).
Il CSM si presenta, quindi, come un luogo privilegiato, dove poter implementare pochi ma efficaci strumenti gestionali,
scelti accuratamente per migliorare i processi senza distorcere il clima interno, contribuendo a diffondere una nuova cultura
organizzativa e sociale in cui il malato mentale sia inserito come membro attivo e non come elemento di disturbo.
Queste parole sono state ripetute ininterrottamente da cinquanta anni, prima da Basaglia e poi dai suoi collaboratori ed è importante
che continuino a essere diffuse per non dimenticare ma, soprattutto, per continuare a sperare che un contributo effettivo possa essere fornito
a chi ha bisogno di un sostegno emotivo e di un indirizzo pragmatico.
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