|
HT Psicologia Network
Psicologia-Psicoterapia.it
GRT Gruppo Relazioni Transculturali - Istituto Transculturale SaluteCorso di perfezionamento per operatori socio-sanitari - L'approccio transculturale alla persona - Milano e Online Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Analitico Transazionale - PerFormatScuola di specializzazione in Psicoterapia - Pisa, Catania e Genova ANIRE - Associazione Nazionale Italiana di Riabilitazione EquestreCorso di formazione avanzata per Preparatore e ausiliario del cavallo/partner terapeutico - Therapeutic Horsemanship - Milano Centro CoMeTe - Istituto di Terapia FamiliareCorso: 'Conflitto genitoriale e violenza domestica' - Online e Firenze
PsicoCitta.it
Dott.ssa Luisa MerialdoPsicologo Psicoterapeuta Riceve a: Savona Centro di Psicoterapia Il Ruolo TerapeuticoCentro di Psicoterapia Riceve a: Milano Dott.ssa Chiara Di VanniPsicologo Psicoterapeuta Riceve a: Pisa Dott.ssa Viviana BertiPsicologo Psicoterapeuta Riceve a: Camposampiero (PD)
|
Il controllo della rabbia e il punto di vista di chi la subisce Intervista a G. S.: storia di una relazione violenta
L'articolo " Il controllo della rabbia e il punto di vista di chi la subisce" parla di:
- Il controllo della rabbia
Intervista ad una vittima di comportamenti violenti Trattamento per vittime di violenza
Articolo: 'Il controllo della rabbia e il punto di vista di chi la subisce Intervista a G. S.: storia di una relazione violenta'
INDICE: Il controllo della rabbia e il punto di vista di chi la subisce
- Il controllo della rabbia
- L'intervistato
- L'intervista
- Conclusioni
- Bibliografia
- Altre letture su HT
Il controllo della rabbia
La rabbia è una delle emozioni basilari presenti in ogni individuo, che ha la funzione di permettergli di adattarsi e sopravvivere
all'ambiente (Schacter 1964, Plutchik 1980, 1993, Izard, 1977, Izard e Buechler 1980).
È comune, spesso, associarla con le nozioni di "violenza", di "aggressività", ma, in realtà, la rabbia è anche
quella che permette di superare ostacoli in vista di un obiettivo; scaricando adrenalina, è risoluta nel voler rimuovere le ingiustizie
nei confronti della propria persona, senza però arrecare alcun danno al prossimo. Ad esempio, se tra amici si è fuori a cena e
uno dei commensali non partecipa alla conversazione ma ascolta con gli auricolari l'andamento di una partita di calcio, è normale
alterarsi e farglielo notare per far sì che non si riproponga un'altra volta lo stesso comportamento, ma non per questo si entrerà
in conflitto né si feriranno i sentimenti altrui.
Quindi, è naturale essere arrabbiati quando si viene traditi, minacciati, derubati o insultati, tuttavia, a volte, la rabbia può
acquisire una connotazione negativa quando diventa "disfunzionale", ad esempio quando diventa eccessiva rispetto alla reale condizione scatenante,
compiendo azioni a danno degli altri e compromettendo, così, le relazioni sociali. In questi casi si parla di rabbia patologica, non
per il grado di intensità ma per la volontà di nuocere all'altro; essa diventa totalmente ingestibile poiché si entra
in un circolo vizioso dove le reazioni violente accendono i sentimenti di colpa e vergogna, che a loro volta incrementano la rabbia e
così via. Sarebbe necessario, il prima possibile, imparare a gestirla, intendendo non inibirla, ma modulare la risposta emotiva in
modo da organizzare l'esperienza e le risposte comportamentali adeguate allo specifico contesto (Gross e Munoz, 1995). Per raggiungere questo
obiettivo, sono presenti diversi tipi di intervento, come la psicoterapia cognitivo-comportamentale, la terapia di gruppo o apposite tecniche
di rilassamento per alleviare la tensione.
L'ostacolo più grande per ogni terapia è il soggetto stesso se si ostina a non voler attuare un cambiamento; in genere, essi
si sentono frustrati e incompresi e, se cercano aiuto, lo fanno per ricevere un supporto, qualcuno che possa capire che il problema è
dato da chi li circonda e non da loro stessi.
L'intervistato
Il 25 Novembre, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, ho partecipato ad una seduta di terapia di gruppo condotta da
una collega; questa mi ha presentata come una Psicologa Clinica che, tra le altre cose, scrive articoli per una rivista on-line e così,
a fine incontro, mi si è avvicinata una ragazza, chiedendomi se, a mio parere, sarebbe stato utile scrivere un articolo sulla sua storia
(ovviamente tutelando la sua privacy). L'ho ascoltata e ho pensato che trascriverla tramite un'intervista sarebbe stato più personale
e vicino a coloro che hanno subito le stesse intimidazioni.
La destinataria dell'intervista è G. S., ragazza di 21 anni intelligente e brillante, che sta conseguendo la Laurea nella Facoltà
di Lettere, vincendo inoltre la borsa di studio.
G. ha perso entrambi i genitori in un incidente d'auto all'etì di 16 anni e da quel momento si è preso cura di lei il fratello
maggiore, di 23 anni. Ha avuto un'unica relazione importante con M., durata 4 anni, che si è conclusa con un tradimento nei suoi confronti.
Nonostante i vari eventi traumatici vissuti e subiti, G. ha sempre dimostrato una grande forza di carattere, un grande orgoglio, una grande
determinazione.
Perché, allora, una ragazza così ambiziosa e consapevole del proprio valore finisce con l'accettare comportamenti violenti?
L'intervista
- Come hai conosciuto N.?
- Era il ragazzo di una mia compagna di corso. Spesso, quando ci riunivamo in gruppo per studiare, lui passava e chiacchieravamo un po'.
Era piacevole parlare con lui perché mio fratello e il mio ex ragazzo parlavano solo di sport, moto e finanze, mentre lui frequentava
la facoltà di filosofia. Mi sembrava che avesse una sensibilità superiore agli altri ragazzi che mi circondavano.
- Ti sentivi sola?
- Sì, però ero determinata a concentrarmi solo sullo studio. La mia prima (e ultima) storia era appena terminata a causa di
un tradimento nei miei confronti, quindi ero delusa e non avevo alcuna intenzione di intraprenderne una nuova.
- E invece?
- E invece da cosa nasce cosa e così le nostre chiacchierate si sono fatte sempre più frequenti, finché mi ha dichiarato
di essersi invaghito di me. La verità è che anch'io provavo una forte attrazione, sia a livello fisico che mentale. Entro poco
tempo ha lasciato la sua ragazza e abbiamo iniziato a frequentarci.
- Erano evidenti da subito i comportamenti aggressivi/violenti
- No, anzi... Dalla morte dei miei genitori non mi ero mai più sentita così protetta e "al sicuro". Lui si prendeva cura di
me; era dolce, servizievole, premuroso. Mi faceva sentire la persona più importante al mondo.
- Qual è stato il primo episodio di violenza?
- È avvenuto quando la mia coinquilina si è fidanzata. A lui non piaceva il fatto che il suo compagno passasse tempo nella casa
in cui c'ero anche io, voleva prendere un appartamento in affitto e voleva che io andassi con lui. Io mi trovavo bene con la mia coinquilina,
studiavamo insieme, ci recavamo insieme all'Università e non vedevo la necessità di stravolgere tutto in così breve tempo.
È stata la prima volta che mi sono opposta alla sua volontà. Lui, inizialmente, non ascoltava le mie ragioni; successivamente
aveva preso l'appartamento in affitto nonostante io non volessi, poi era venuto a casa mia, tirando fuori tutta la mia roba da cassetti e
armadi per preparare gli scatoloni. Quando gli ho detto esplicitamente che non mi sarei mossa da lì, mi ha tirato un ceffone e quando,
sconvolta, gli ho girato le spalle per uscire dalla stanza, mi ha strattonata per il braccio, slogandomelo. In quel momento era rientrata la
mia amica e quindi lui se n'era andato.
- Hai raccontato l'episodio a qualcuno?
- No, sia alla mia amica che a mio fratello avevo detto di essere scivolata, però ero decisa a non volerlo più vedere, nonostante
le innumerevoli telefonate e messaggi lasciati in segreteria.
- Cosa ti ha fatto cambiare idea?
- Lo avevo incontrato circa una settimana dopo in Università e mi aveva chiesto 5 minuti per parlare. Mi aveva spiegato di aver perso
il controllo perché aveva avuto paura di perdermi. Aveva paura che io lo stessi lasciando e lui non avrebbe potuto affrontare qualcosa
di simile perché mi amava follemente. Ha detto che non avrebbe mai voluto farmi del male e che non sarebbe successo mai più. Era
geloso che ci fosse un altro uomo a condividere l'appartamento con me e pensava che io preferissi avere in casa uno sconosciuto piuttosto che
stare con lui.
- Hai creduto alle sue parole?
- Sì, mi parlava con le lacrime agli occhi e mi guardava come se esistessi solo io al mondo. Mi sono detta che mai nessuno mi aveva
amata così tanto e mi sono trasferita da lui.
- E a questo punto le cose sono cambiate?
- No... Pochi giorni dopo avevo incontrato fuori dall'Università il mio ex ragazzo e ci eravamo fermati a prendere un caffè.
Mi aveva detto che aveva sentito brutte voci sulla mia attuale frequentazione, intimandomi di stare attenta e chiedendomi se N. avesse avuto
atteggiamenti maneschi nei miei confronti. Ovviamente avevo negato, ma qualcuno ci aveva visti insieme e lo aveva riferito a N., così,
appena aperta la porta di casa, c'era stato un ceffone ad attendermi. Gli avevo spiegato che non era previsto, che avevo incontrato M.
casualmente e lui continuava ad urlarmi che non era né stupido né paranoico, che io dimostravo di non tenere a lui. "Dovresti
capire il mio stato d'animo! Tu non hai capito niente dell'amore!". A quel punto credevo di essere dalla parte della colpa, di avere sbagliato
io ad essermi fermata a parlare con il mio ex e gli avevo chiesto scusa.
Tra l'altro M., nonostante le mie smentite, aveva raccontato le voci che giravano su N. anche a mio fratello, ma io ero riuscita a convincerlo
che lo facesse solo per gelosia. Un giorno, però, mentre ero in un parco con N., avevamo incrociato M. e, prima che ci potessimo
scambiare un saluto, N. lo aveva aggredito, riempiendolo di pugni. Le persone intorno, spaventate, avevano chiamato polizia e ambulanza,
provando poi a separarli. M. era conciato davvero male e N. si era preso una denuncia, ma io continuavo a difenderlo. Pensavo che M. si
sarebbe dovuto fare gli affari suoi e non volevo che N. finisse nei guai per causa mia. "Allora ci dobbiamo lasciare" mi disse N., ma
io la vedevo come una punizione e non volevo perderlo. Era colpa mia di tutto, lui era il ragazzo giusto, non aveva nulla di sbagliato e non
era cattivo; mi piaceva come si prendeva cura di me, nessuno prima aveva mai capito di cosa avessi bisogno. Così gli proposi di andare
insieme in terapia per comprendere cosa sbagliavo io per renderlo così nervoso e aggressivo.
- N. accolse con entusiasmo questa idea?
- No, ma accettò di venire con me. Solo che il terapeuta si era concentrato maggiormente su di lui, cercando di scavare nel suo passato,
facendogli molte domande circa la relazione con suo padre e la sua infanzia. Emerse che "il padre lo criticava sempre, era sempre arrabbiato";
lo psicologo chiese se il padre lo picchiasse. No, ma traspariva un'ostilità intensa nei suoi confronti. Lo psicologo cercò di
spiegare che a tutti capita di essere arrabbiati, ma che il problema sorge quando non si è in grado di gestire tale emozione. N. si
rifiutò di rispondere ad altre domande dicendo che eravamo lì per me perché lui non aveva alcun problema e se ne
andò via.
A casa mi spiegò che la terapia lo rendeva solo più irascibile, il terapeuta lo faceva sentire un criminale, lo umiliava. Lui
doveva semplicemente evitare la rabbia e per poterlo fare dovevamo essere "solo noi due" eliminando tutti gli amici e i familiari, che
avrebbero potuto minare la nostra tranquillità.
- E così avete fatto?
- Sì, ho iniziato a non rispondere più al telefono né a mio fratello, né alle mie amiche; studiavo a casa, non
partecipando più a gruppi di studio; mi recavo all'Università solo per dare gli esami e venivo accompagnata da lui. Dopo qualche
settimana mio fratello, probabilmente fomentato anche da M., aveva cominciato a credere che ci fosse realmente qualcosa che non andasse ed
era venuto a casa nostra. N. era sotto la doccia e mio fratello voleva semplicemente parlare, mentre io volevo che se ne andasse, prima che
N. uscisse dal bagno e si accorgesse che fosse arrivato qualcuno. Mio fratello si rese conto che ero strana, spaventata e mi disse di andare
via con lui, ma io iniziai a piangere dicendo di lasciarmi in pace, che io amavo N. ed era vero che aveva un piccolo problema con la rabbia
ma che stavamo andando in terapia per risolverlo.
Lo cacciai ma, a causa del trambusto, N. aveva sentito tutto e, uscito dal bagno, mi aveva colpito allo zigomo, facendomi cadere e sbattere
contro lo spigolo del comò. Anche quella volta pensai che, come sempre, fosse colpa mia, colpa di mio fratello, condizionato dal mio
ex, che non mi lasciava in pace. Il giorno dopo avevo la prova di esame e la ex ragazza di N., nonché mia compagna di corso, vide il
mio zigomo viola perciò mi raggiunse in bagno per chiedermi il motivo. Raccontai che ero caduta, ma lei sapeva la verità,
perché N. si comportava così anche con lei. "Non è colpa tua. È lui che è malato" continuava a
ripetermi, "devi lasciarlo o continuerà a farti del male", ma io volevo convincermi del fatto che fosse solo invidiosa che fosse
innamorato di me molto di più di quanto non lo fosse mai stato di lei.
- Quando ti sei resa conto che la vostra relazione non era una "relazione sana"?
- Già sapevo che non era un rapporto convenzionale, ma mi sentivo comunque più fortunata di tutte le coppie che mi circondavano.
La verità è che anche a me bastava solo lui, ma una sera avevo detto alla mia ex coinquilina di passare da casa nostra a prendere
dei libri e, invece, quando era arrivata, avevo sentito lui dirle che non ero in casa e di andarsene. Mi arrabbiai perché aveva deciso
per me. So che sembra stupido perché già lo faceva, ma prima mi manipolava in modo che sembrava essere una mia scelta, invece
in quel caso mi aveva proprio esclusa dalla facoltà di decidere da sola. Gli avevo chiesto perché lo avesse fatto "Cosa non
ti è chiaro nell'eliminare tutte le minacce circostanti? Sei stupida forse? Ti ho detto che devi annullare famiglia e amici per non
farmi arrabbiare!" e mi lanciò il cordless in pieno viso. "Preferisci litigare con me per loro?"; "No...", risposi,
ma in quel momento decisi che lo avrei dovuto lasciare. Non avevo il coraggio di farlo da sola, perciò mi ero fatta venire a prendere
da mio fratello. N. non riusciva ad accettarlo, diceva che erano stati gli altri ad inculcarmi questa decisione.
- Ed è stato così? Hai riflettuto su ciò che ti dicevano le persone che ti volevano bene?
- No, non me ne sono andata per quello che mi hanno detto gli altri, ma perché credevo che fosse amore quello che provavo, che fosse
tutto il resto a farmi soffrire e che lui fosse il mio totale rifugio. Con lui mi sentivo in salvo da tutte le cose brutte, ma invece mi ero
allontanata da me stessa; avevo completamente perso l'autostima, dipendevo totalmente da lui, mi ero tragicamente annullata.
- N. ha tentato di farti cambiare idea?
- Sì, mi tartassava di telefonate. Diceva che era un periodo di crisi ma che poi saremmo tornati insieme, diceva che era disposto a
tutto per superare la cosa e che era tornato dal terapeuta per risolvere il suo disturbo. La cosa brutta è che io ero ancora fragile
e tentennante. Andai anche io dallo stesso terapeuta per i sentimenti di rabbia che provavo nel volere tornare ancora con lui. Non riuscivo
a reprimere quello che provavo, non riuscivo a spegnere l'interruttore.
"Non cedere alla tentazione di tornare là dove tu non vuoi..." mi disse queste parole.
"Ma le sembra migliorato?" gli chiesi. "Come faccio a saperlo?". Con questa risposta mi fu chiaro che N. continuava a mentirmi.
Non era tornato in terapia, seguitava solo a manipolarmi e io ci stavo ricascando. Era ora di avere il coraggio di lasciarsi i brutti momenti
alle spalle.
- Perché malgrado la picchiasse, continuava a non attribuirgli alcuna colpa?
- Perché continuavo a giustificare le sue esplosioni di rabbia con comportamenti sbagliati da parte mia. Probabilmente perché
anche se mi sono sempre reputata una persona forte, non era abbastanza sicura di me stessa.
- Quando si affronta l'argomento "gestione della rabbia", si pone sempre al centro dell'attenzione il soggetto incapace di mantenere
il controllo e si considerano le diverse terapie in grado di aiutarlo, ma per chi subisce la rabbia è altrettanto necessario un supporto
psicologico, vero?
- Eccome. Infatti ho continuato la terapia proprio per capire il perché ero pronta a subire tutto questo. Se è vero che esistono
persone violente, è altresì vero che cercano persone, come me, con cui potersi comportare liberamente in questo modo. Analizzando
il mio vissuto, il mio passato, è emerso che in realtà anche mio padre era una persona facile all'aggressività e quando
capitavano questi episodi, mia mamma sdrammatizzava, "tollerava la rabbia" e io, da piccola, la ammiravo perché la trovavo fantastica,
riusciva a far sorvolare sul momento negativo. Però mio padre non è mai cambiato. È qualcosa a cui non avevo mai più
pensato, è venuto alla luce attraverso la terapia, che mi ha indicato che per capire chi sono devo guardare indietro, alla mia famiglia,
analizzando i vari comportamenti, anche se è doloroso. Non si tratta di giudicare, ma di essere onesti per comprendere la ragione dei
comportamenti attuali. Non ho mai sentito dire mia mamma "smettila!" a mio padre e forse è per questo che anche io non mi sono mai
imposta, ma risolvevo facendo sesso e fingendo che non fosse successo nulla. Purtroppo i miei genitori non sono più qui e non posso
approfondire con loro la questione, ma è importante che ognuna analizzi e rifletta con disincanto sulle relazioni familiari che l'hanno
condotta a sopportare una relazione violenta.
Conclusioni
Per quanto riguarda le vittime della violenza, è risultato molto efficace il trattamento cognitivo-comportamentale, che ha il fine
di instillare un senso di sicurezza, di fiducia, di controllo su se stesse e di autostima. Se le pazienti lo consentono, si può utilizzare
l'Imagery Rescripting and Reprocessing Therapy, attraverso cui la donna viene invitata ad esprimere le proprie emozioni in relazione
ai comportamenti subiti, intervenendo all'interno del proprio racconto con azioni riparative, con cui modificare il finale. In questo modo
si cerca di far acquisire nuovamente il potere della donna sulla propria esistenza, incoraggiandola a far sì che non capitino più
eventi simili.
Sarebbe, inoltre, opportuno affiancare alla terapia cognitivo-comportamentale individuale, la terapia di gruppo, in modo che le donne si
sentano comprese profondamente da chi ha subito gli stessi maltrattamenti e possano dare risposta alle loro preoccupazioni, ai loro sensi di
colpa per il timore di avere provocato la violenza, come inculcato in loro manipolativamente dai propri partner, donandosi supporto reciproco.
Il terapeuta, intanto, mirerà alla costruzione di abilità cognitive e comportamentali per superare gli eventi traumatici vissuti
e gestirli in modo differente in un prossimo futuro.
La nostra intervistata sta tuttora partecipando alla una terapia di gruppo e si reca dallo psicoterapeuta una volta al mese (inizialmente
gli incontri erano a scadenza settimanale, ma ormai è passato quasi un anno dalla relazione in questione). In un primo momento, la
terapia si era concentrata sulle cause della sua assertività, dopodiché si é passati gradualmente all'empowerment, ossia
alla restituzione del potere alla vittima sulla propria vita.
Bibliografia
- Gross J. J. , Munoz R.F. (1995), Emotion regulation and mental health, Clinical Psychology, Science and Practise, 2 pp. 151-64
- Izard C. E. , Buechler S. (1980), Aspect of consciousness and personality in terms of differential emotions theory, in Plutchik
R. & Kellermann H. (Eds), Emotion: theory, research and experience, Vol. 1 Theories of emotion, pp.165-87, New York, Academic Press
- Izard C. E. (1977), Human Emotion, New York, Plenum Pass
- Plutchik R (1993), Emotions and their vicissitudes: emotions and psychopathology, in Lewis M. & Haviland J. M. (Eds), Handbook
of emotions, pp. 53-66, New York, Guilford Press
- Plutchik R. (1980), A general psychoevolutionary theory of emotion, in Plutchik R & Kellermann H. (Eds), Emotion: theory, research
and experience, Vol. 1 Theories of emotion, pp. 3-33, New York, Academic Press
- Schachter S. (1964), The interaction of cognitive and physiological determinants of emotional state, in Berkowitz L. (Ed.), Advances
in experimental social psychology, vol. I., pp. 49-80, New York, Academic Press
Altre letture su HT
- Redazione, "Donne vittime di violenza: iniziativa
di sostegno sociale in Veneto", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 133, 2017
- Rita Terranova, "Il masochismo delle donne:
una violenza silenziosa", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 130, 2016
- Romano Biancoli, "Psicoanalisi:
l'aggressività", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika nr. 27, 2007
Commenti: 3Cosa ne pensi? Lascia un commento
|
|