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Lavorare in studio con clienti perfezionisti
L'articolo " Lavorare in studio con clienti perfezionisti" parla di:
- Perfezionismo e valore di sé
Il perfezionismo "buono" e quello disfunzionale Come lavorare con i clienti perfezionisti
Articolo: 'Lavorare in studio con clienti perfezionisti'
INDICE: Lavorare in studio con clienti perfezionisti
- Introduzione
- Perfezionismo e valore di sé
- Distinguere il perfezionismo "buono" da quello disfunzionale
- Come ci lavoriamo?
- Bibliografia
- Altre letture su HT
Introduzione
Come dice Benasayag (2019), la società contemporanea ci vuole produttivi, autonomi, dinamici e performanti.
Ciò che si privilegia è il funzionare, in contrapposizione all'esistere.
Ho affrontato questo tema in più percorsi formativi e individuali perché noto come il tema della prestazione si incastri molto
con quello del perfezionismo.
Il perfezionismo è quell'abitudine di chiedere a se stessi prestazioni eccellenti o al di sopra dello standard richiesto. Fin da piccoli,
molti di noi imparano che ricevere l'approvazione degli altri è importante. Per un bambino, infatti, la mancanza di approvazione delle
figure significative viene letta come una vera e propria minaccia in quanto possibile forma di allontanamento e quindi di rischio per la
sopravvivenza.
Perfezionismo e valore di sé
Alcune persone raccontano che quando erano bambini, commettere errori o non raggiungere determinati risultati significava doversi confrontare
con genitori delusi o, peggio ancora, fortemente adirati. Una ragazza una volta mi ha detto: "quando sbagliavo erano sempre critiche e urli.
Ho imparato presto a intercettare quale fosse la cosa giusta da fare per fare contento chi avevo davanti".
Un altro ragazzo mi diceva che: "per una famiglia di imprenditori come la nostra, era necessario far vedere agli altri quanto fossimo bravi
e capaci".
Una ragazza che ho seguito tempo fa mi raccontava di come "essere brava a scuola era l'unico modo per sentirmi fare dei complimenti dai miei
genitori".
In altre parole, il messaggio che può essere recepito è che il valore di sé si colleghi, in qualche modo, ai risultati che
vengono raggiunti. Si tratta chiaramente di un messaggio disfunzionale perché, come ci insegna Bowlby, l'attaccamento sicuro si crea nel
momento in cui l'altro significativo (il genitore) ci valorizza e ci riconosce indipendentemente dal risultato che raggiungiamo.
Questo non significa che le prestazioni non abbiano un valore, specie se si considera, appunto, che il mondo della scuola, quello del lavoro
e quello dello sport sono molto focalizzati sul risultato. Il problema nasce nel momento in cui si crea un'equazione tra prestazione e valore
di sé. Da qui possono nascere alcune forme di perfezionismo altamente disfunzionali.
In altri casi, il risultato perfetto può essere legato al concetto di colpa. Un po' come se una vocina interna piano piano
dicesse: "se non controlli di aver chiuso il gas la casa potrebbe saltare per colpa tua". Si tratta, chiaramente, di voci radicate, profonde
e inconsapevoli ma che hanno il potere di orientare la vita delle persone come una sorta di navigatore satellitare inconscio. Immagino che
molti di voi nell'esempio appena descritto avranno riconosciuto una dinamica tipica del Disturbo ossessivo-compulsivo.
Distinguere il perfezionismo "buono" da quello disfunzionale
Iniziamo con il dire che il perfezionismo di per sé non è qualcosa di negativo; nelle giuste dosi è quella spinta
propulsiva che aiuta le persone a raggiungere risultati positivi.
La coscienziosità, oltretutto, fa parte dei tratti di personalità individuati nel Five Factor
Model*
e si declina come attenzione al dettaglio, all'ordine e all'organizzazione; aspetti che hanno molto a che fare con il perfezionismo.
Quando però il perfezionismo diventa un problema? Come gran parte delle caratteristiche psicologiche, diventa dannoso
quando diventa eccessivo. Per chi come me ama i dolci, immaginate una bella torta, magari una Sacher. Buona vero? Lo zucchero che c'è
dentro la rende dolce e la dolcezza contribuisce a renderla buona. Pensate però che cosa accadrebbe se nell'impasto nella nostra Sacher
per quattro persone anziché alcuni grammi di zucchero ce ne fossero numerosi hg, magari 1 kg di zucchero! Probabilmente la stessa torta
sarebbe immangiabile perché la dolcezza eccessiva la renderebbe sgradevole. Lo stesso avviene con il perfezionismo. Le persone possono
investire un eccesso di energie fino a compromettere il loro stato psicofisico, possono vivere gli errori o i fallimenti con vergogna, ansia
e talvolta disperazione in quanto comprovate dimostrazioni del loro disvalore. A ciò si aggiunge spesso il peso delle aspettative.
Paradossalmente la conferma sociale non assume più il valore di conferma ma diventa un ulteriore oggetto di stress; se, infatti, da
un lato ricevere feedback positivi e complimenti può essere un "balsamo" per la propria autostima, dall'altro lato è altamente
probabile che le sensazioni positive che ne derivano non solo abbiano una durata brevissima ma vengano seguite da pensieri come: "alla fine
non era poi così difficile raggiungere questo risultato"; "il fatto che stavolta tu sia andata bene non significa affatto che tu non
possa fallire"; "ora che hai soddisfatto le loro aspettative non puoi permetterti di sbagliare altrimenti la delusione sarà fortissima";
"da me si aspettano molto da ora in poi, se dovessi sbagliare perderanno la stima di me".
Così si entra in un circolo vizioso dove l'asticella continua ad alzarsi di continuo.
Come ci lavoriamo?
Come possiamo approcciarci a questo tipo di clienti quando, nei primi colloqui, iniziamo a osservare questa dinamica interiore?
- La prima regola è quella che, a mio avviso, vale per tutto ciò che la persona ci porta: capire come funziona il problema;
il perfezionismo in questo caso. In quali momenti si manifesta? Con quali interlocutori? Quali sono i pensieri, le emozioni e le sensazioni
che si attivano in quei momenti? Comprendere "com'è fatto" il problema, aumenta il senso di controllo del cliente sulla sua vita.
Aiutiamo la persona a dare spazio alle emozioni. Spesso, infatti, il perfezionismo porta a concentrarsi molto sulla performance ignorando le
emozioni che ne derivano con il risultato che si assiste a queste povere persone che fanno, controllano, lavorano e osservano senza però
rendersi conto della frustrazione o della rabbia o della paura che provano in quei momenti.
- Mettere a fuoco il "punto zero": da quanto tempo la persona ha a che fare con il problema? Aiutiamo le persone ad andare più
indietro possibile perché più riusciamo ad andare indietro più possiamo aiutarle a mettere insieme i pezzi per capire da
dove nasce. Ad esempio, una mia cliente si è ricordata di come in terza elementare fosse stata derisa davanti alla classe (compreso dalla
maestra) durante un'interrogazione di matematica; una volta tornata a casa i genitori la sgridarono e la sorella provò soddisfazione
nel vederla sgridare. Da quel momento lei disse a se stessa che avrebbe evitato per sempre di farsi trovare impreparata. Se manca un "punto
zero" o se le persone non se lo ricordano, non importa, facilitiamo comunque la ricerca dei momenti passati in cui la stessa dinamica si
è presentata. La ricerca di denominatori comuni aiuta le persone a sentirsi padroni e prendere le redini della loro difficoltà
e quindi sentirsi meno impotenti.
- Evitare di cadere noi nella stessa trappola. A volte come Psicologi possiamo correre il rischio di scivolare nella trappola del
"salvatore" e, se si tratta sempre di qualcosa che non fa bene all'alleanza terapeutica, fa ancora meno bene quando ci confrontiamo con clienti
perfezionisti. Infatti, il rischio è quello di entrare in ansia per il bisogno di essere efficaci a tutti i costi. Questi clienti
però hanno una sorta di "radar" che riconosce immediatamente le spinte perfezioniste! Il rischio è quindi quello che possano
chiudersi ancora di più o che, intercettato il bisogno del terapeuta di essere efficace a tutti i costi, rispondano cercando di
compiacerlo; strategia che probabilmente hanno sempre adottato nel loro passato. Ascoltiamo con attenzione restando centrati sulla persona,
non sul nostro bisogno di aiutare.
- Aiutarli a vedere in che modo i pensieri, le sensazioni e le emozioni che vivono impattano sulle loro azioni. Ad esempio, una mia
cliente mi disse che quando la sua responsabile le dava un lavoro da fare, lei impiegava moltissimo tempo perché il pensiero "se sbagli
perderà la stima di te e succederà un guaio per colpa tua", le generava una forte ansia che la spingeva a ricontrollare il lavoro
più volte. Oltre a impegnare molto tempo, l'eccesso di controlli fatto con uno stato di ansia la portava a non sentirsi mai sicura.
Un'altra persona mi disse che il pensiero: "devo dimostrare che so fare il mio lavoro e che si può fidare di me" l'aveva portata a
lavorare sempre oltre l'orario di lavoro ma anche a non rendersi conto che il suo responsabile si stava approfittando di questa sua eccessiva
disponibilità. Questo aspetto è utile per allargare il campo visivo e mettere in luce i costi e i benefici delle strategie
sottostanti al perfezionismo.
Chiaramente, ogni professionista può intervenire sul problema in base alle tecniche e ai metodi in linea con il suo modello. In ogni
caso, qualunque sia la cornice teorico-metodologica di riferimento all'interno della quale ci si muove, è molto importante inquadrare bene
come funzionano gli "ingranaggi" del problema in modo da sapere in quale punto intervenire con i metodi che usiamo, conosciamo e padroneggiamo.
Bibliografia
- Benasayag M. (2019), Funzionare o esistere?, Vita e Pensiero, Milano
- Blatt S.J. (1995), The destructiveness of perfectionism, American Psychologist, 50, 1003-1020
- Flett G.L., Hewitt P.L., Oliver J.M., Macdonald S. (2002), Perfectionism in children and their parents: A developmental analysis.
In Flett G.L., Hewitt P.L. (a cura di), Perfectionism: Theory, research, and treatment, American Psychological Association, Washington, DC
Altre letture su HT
- Monica Vivova, "Attaccamento e configurazione
del Sé", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika n. 32, 2008
- Laura Canis, "SAT: Separation Anxiety Test - Uno
strumento per la misura dell'attaccamento", articolo pubblicato su HumanTrainer.com, Psico-Pratika n. 93, 2013
- Claudia Nissi, "Separation
Anxiety Test: valutazione del legame figlio-genitori - Esempio di somministrazione e scoring: il test di Marta", articolo pubblicato su
HumanTrainer.com, Psico-Pratika n. 103, 2014
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