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Caso clinico: Armando prigioniero della tossicodipendenza

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Caso clinico: Armando prigioniero della tossicodipendenza
Lettura e trattamento della dipendenza patologica in ottica Gestaltica

L'articolo "Caso clinico: Armando prigioniero della tossicodipendenza" parla di:

  • La storia di Armando e l'esperienza traumatica infantile
  • La relazione terapeutica: percorso e invio in comunità
  • Ristrutturazione delle modalità di relazione: riflessioni
Psico-Pratika:
Numero 116 Anno 2015

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Articolo: 'Caso clinico: Armando prigioniero della tossicodipendenza
Lettura e trattamento della dipendenza patologica in ottica Gestaltica'

A cura di: Adriana Leone
    INDICE: Caso clinico: Armando prigioniero della tossicodipendenza
  • Introduzione
  • Anamnesi
  • Il primo colloquio con Armando: la sua richiesta di aiuto
  • Il cammino psicoterapeutico
  • Una chiave di lettura gestaltica dei vissuti di Armando
  • Riflessioni finali
  • Altre letture su HT
"Un prigioniero dentro un carcere infinito io mi sentirei,
se tu non fossi nel mio cuore,
starei nascosto come molti
dietro ad un dito
a darla vinta ai venditori di dolore".
(L. Jovanotti, "Tutto l'amore che ho")
Introduzione

Ogni comportamento addictive è il risultato di una vulnerabilità psico-ambientale.

La Psicoterapia della Gestalt, pertanto, restituisce il significato prettamente relazionale ed esistenziale dell'esperienza di dipendenza patologica, vissuta dal soggetto come unica e inconsapevole via d'uscita dalla sofferenza di antichi traumi emotivi.

Ma, a fronte di un particolare stile relazionale che caratterizza i pazienti tossicodipendenti, ovvero la loro fuorviante modalità impulsiva e manipolatoria con la quale entrano in contatto con gli altri, è difficile instaurare una relazione terapeutica sufficientemente buona e duratura.

Attraverso il seguente resoconto di un caso clinico, intendo raccontare la storia di Armando, "un prigioniero dentro un carcere infinito", che in quanto schiavo della droga, riesce a trovare contenimento emotivo nella relazione terapeutica, anziché continuare a nascondersi dai giudizi e pregiudizi della società, rifugiandosi nei falsi miraggi dei pusher.

Anamnesi
Caso clinico: Armando prigioniero della tossicodipendenza

Nato in un piccolo paese dell'entroterra siciliano, minore di tre figli, Armando ha vissuto la sua fanciullezza conoscendo poco suo padre, che spesso per lunghi periodi lavorava in un'altra città. Ritornando, riempiva di regali il suo unico figlio maschio, e poi ripartiva.
Pertanto, ad Armando è mancata una vera figura di riferimento maschile e paterna, a tal punto che lui stesso durante una seduta terapeutica verbalizza così:

«Mi è mancato l'affetto di mio padre».

Infatti, erano la madre e le sorelle più grandi, a occuparsi di lui, anche se le loro cure erano da Armando vissute come oppressive, «Mi stavano sempre addosso!».

Intorno agli 11-12 anni, un evento drammatico e traumatico sconvolgerà per sempre la sua vita e, come un torrente di montagna che scava un letto e traccia il suo corso, lascerà un'impronta indelebile, che condizionerà il corso della sua esistenza e delle sue relazioni con gli altri. Il suo corpo venne violato.

Il piccolo Armando subì un abuso sessuale da parte di un vicino di casa, che non venne mai denunciato alle autorità competenti, neanche dallo stesso Armando che, forse per vergogna e per paura, non disse niente a nessuno, assimilando dentro di sé questa terribile esperienza fra il silenzio e la rabbia di una fiducia tradita.

A 16 anni si innamorò, non ricambiato, di un suo amico.
A 19 anni, stanco della vita in paese - «mi annoiavo, il paese non mi offriva niente» - si trasferì a Milano presso uno zio.

Lì cominciò a frequentare molti locali malfamati, dove la sua sessualità perversa poteva trovare sfogo, avendo rapporti sia con uomini che con donne.
Sempre più immerso in comportamenti trasgressivi, il giovane cominciò ad abusare di cocaina ed eroina, «mi facevo, perché ero depresso».

Grazie all'interessamento dello zio, Armando cominciò a lavorare presso gli uffici di una ditta di autobus extraurbani, dalla quale venne presto sospeso, a causa dei continui ritardi rispetto all'orario di lavoro, così come riferisce il ragazzo.

Ormai, l'abuso di droga e i suoi rapporti promiscui erano diventati il suo unico stile di vita, attraverso il quale, in maniera inconsapevole, Armando tentava di soddisfare quell'antico bisogno di cure e affetto.

Armando, non riusciva a condurre una vita sana.
Mantenere un lavoro, era per lui cosa ardua e complicata, perché non rientrava nei canoni dei suoi ritmi smodati.
Trascorreva il suo tempo immerso in relazioni trasgressive e promiscue, e in miraggi offerti dalle sostanze psicotrope, senza mai trovare sollievo dalla sua sofferenza interiore.

A 26 anni, dopo aver vissuto anche l'amara esperienza del carcere, decise di entrare in una comunità terapeutica, per tentare di disintossicarsi dalla droga.
Scoprendo di essere sieropositivo e innamoratosi, non ricambiato, di un ospite della struttura riabilitativa, Armando interruppe il programma terapeutico, perché:

«Tutti erano contro di me, non volevano che stessi con Luigi, si spaventavano che potessi contagiarlo».

Uscendo dalla Comunità, ed essendo in conflitto con la sua famiglia, il giovane non riuscì a stare a lungo nel suo paese d'origine.

Il padre non accettò mai l'omosessualità del figlio, la madre e le sorelle, invece, dimostrarono più comprensione rispetto all'orientamento sessuale di Armando, seppure con fatica, e sperando in un ripensamento.

Trasferitosi a Palermo presso un amico, con il quale conduceva una vita sregolata -
«Di notte stavamo sempre fuori fino alle cinque, alle sei, andavamo a tante feste, nei locali con gli amici, e di giorno dormivamo» - riprese ad abusare di cocaina, eroina e alcol.

Il primo colloquio con Armando: la sua richiesta di aiuto

In un freddo mattino di febbraio, Armando, ormai trentaquattrenne, decide di chiedere il supporto psicologico presso il Ser.T. in cui già è in trattamento per la disintossicazione da eroina. Al suo ingresso nella stanza vengo subito colpita dal suo aspetto fisico, in particolar modo, dallo sguardo spento, gli occhi incavati, e le spalle curve verso l'interno.

Comincia a parlare subito, quasi davanti alla porta, ancor prima di sedersi.
Riferisce che ha bisogno di sfogarsi, di parlare con qualcuno, perché si sente solo e depresso.

Come da prescrizione medica, assume il metadone, per cui si sente al sicuro da un'ulteriore ricaduta nell'eroina, anche se - mi dice subito - non vuole cominciare a scalarne il dosaggio, perché ha paura dell'astinenza.
Mi chiede subito se posso riferire tutto questo al Medico-Psichiatra, affinché quest'ultimo non gli riduca il dosaggio di metadone, e gli prescriva degli ansiolitici.

Intervengo immediatamente, mettendo in chiaro che ciò che lui mi chiede non rientrerebbe nei termini del contratto terapeutico, ovvero che in alcun modo non potrò mai influire sulle decisioni del Medico. Pertanto, così dicendo, metto subito dei confini chiari e precisi rispetto alla modalità relazionale manipolatoria di Armando, spiegandogli che esistono delle regole all'interno della nostra relazione terapeutica, e che per nessuna ragione potrò mai avanzare valutazioni mediche, che non mi competono, in quanto sono una Psicologa e non un Medico.

Ribadisco, inoltre, che se vorrà, potremo incontrarci, ma solo per parlare dei suoi problemi relativi alla sua sfera emotivo-affettiva, e rispetto alla sua vita sociale.
Così facendo, inizio subito a costruire i presupposti di una relazione sana, di una relazione terapeutica che miri a supportarlo da un punto di vista psicologico. Infatti, accolgo la sua richiesta di sfogarsi, e il suo bisogno di dar voce alla sua sofferenza interiore.

Il cammino psicoterapeutico

Armando cominciò così il suo percorso psicoterapeutico con me, accettando i termini del contratto terapeutico, anche se sovente era opportuno ricordagli il mio ruolo prettamente psicologico nell'ambito del Ser.T.
Stabilimmo che i colloqui sarebbero avvenuti una volta a settimana, anche se il paziente, adducendo vari motivi (visite mediche, impegni di famiglia...), ne saltò diversi.

Uno dei temi principali affrontati nelle sedute fu la rabbia esplosiva di Armando, che sfociava in acting out, ovvero in comportamenti impulsivi.
Ecco come lui stesso tentava di spiegare cosa gli accadeva:

«Improvvisamente sento una forte rabbia, che devo subito buttare fuori».

Infatti, il paziente sovente si scagliava in maniera verbalmente aggressiva nei confronti della madre o della sorella; oppure, quando si trovava al bar, si intrometteva in litigi di amici suoi, in cui lo scontro fisico era inevitabile, perché sentiva forte l'impulso ad agire la rabbia (fenomeno dell'acting out).

Rispetto a ciò l'intervento terapeutico mirò a stabilire la connessione fra quel comportamento e il sentimento che lo aveva scatenato, al fine di arginare la reazione impulsiva.

Alla rabbia Armando alternava un umore depresso. Certi giorni, il giovane manifestava molta rabbia nei confronti della sua sieropositività e del mondo in genere, in altri, invece, si sentiva molto scoraggiato per la sua situazione medica.

Il setting psicoterapeutico, pertanto, risultò essere un contenitore per Armando, in cui poteva sfogare i suoi stati d'animo.

Un altro argomento affrontato spesso in terapia fu una sua relazione con un uomo, la più lunga a suo dire, durata un anno, e per la quale Armando nutriva sentimenti contrastanti, ora di odio, ora di amore.

Non riusciva a elaborare i vissuti e, di conseguenza, a dare un nome alle sue emozioni, in quanto non assimilava nulla dalle esperienze che consumava velocemente, spinto soltanto dal bisogno di una soddisfazione immediata.

Armando viveva, inglobando in maniera caotica ogni esperienza, senza nessuna autentica progettualità e senza nessuna prospettiva di crescita.
Anche la sua famiglia, ormai, non poteva offrirgli un adeguato sostegno.
Erano sempre più frequenti i conflitti con i genitori presso cui era tornato a vivere, e anche con le sorelle non aveva un buon dialogo.

Quindi, in sinergia con l'équipe socio-sanitaria del Ser.T., indirizzai il mio intervento terapeutico verso l'inserimento del paziente in una comunità terapeutica, quale unica e sicura via di contenimento e riabilitazione di Armando che, dopo varie rassicurazioni, accettò di entrare nella suddetta struttura.

Una chiave di lettura gestaltica dei vissuti di Armando

Ogni Psicoterapeuta, facendo riferimento a uno specifico modello teorico, traccia ed elabora in maniera diversa le ipotesi diagnostiche e le modalità terapeutiche di ogni paziente.

Seguendo il mio orientamento teorico della Psicoterapia della Gestalt, sto attenta agli aspetti fenomenologici e relazionali nel qui ed ora del confine di contatto della relazione terapeutica, e rivolgo la mia attenzione soprattutto alla modalità interpersonale che Armando mette in atto con me, quale specchio del suo esserci nel mondo.

Infatti, lo stile relazionale del paziente, che fin dalla prima seduta ha reso peculiare tutto l'intero processo psicoterapeutico, ha guidato la mia azione diagnostica e terapeutica di seduta in seduta, e momento dopo momento all'interno di ogni colloquio.
Una modalità di contatto con gli altri e con il mondo, che Armando ha utilizzato per far fronte alla sua sofferenza nell'arco di tutta la sua vita.

L'abuso sessuale, la mancanza dell'affetto paterno, le cure materne vissute come soffocanti, non sono altro che pezzi di un puzzle che hanno contribuito alla formazione di una specifica struttura di personalità, entro la quale la sessualità perversa e la poli-tossicodipendenza, fanno da sfondo alla sua modalità relazionale borderline.

Pertanto, l'abuso di sostanze psicotrope del paziente è solo un sintomo, la punta dell'iceberg visibile in superficie, di un'antica sofferenza.

L'iniziazione alla droga per Armando - «Ho iniziato per provare, poi non ne ho più potuto farne a meno» - non è stata un'esperienza casuale, ma è da considerarsi un tentativo inconsapevole di mettere ordine nel caos del suo mondo interno, un tentativo di placare l'angoscia, in assenza di un sano e nutriente sostegno ambientale.

Il mio intervento psicoterapeutico non ha mirato alla risoluzione del sintomo, ma si è fondato sulla ristrutturazione della modalità di relazione con se stesso e con gli altri, partendo dalla relazione terapeutica.

In terapia Armando ha potuto sperimentare un nuovo modo di percepire l'ambiente, a cui poter raccontare se stesso, parlare della sua sofferenza, liberarsi della sua angoscia e della sua rabbia. Il paziente ha trovato la gratificazione nella relazione, e non più nella sostanza psicotropa, come lui stesso riferiva:

«Quando esco da qua mi sento meglio».

E ancora, nell'ottica del now for next, quale paradigma esistenziale fondamentale per la costruzione di nuovi e nutrienti contatti con l'ambiente, insieme all'équipe del Ser.T. sono riuscita a gettare le basi per il nascere di una nuova consapevolezza.

Per Armando restare ancora nel paese d'origine, e incontrare le cosiddette persone negative, così come lui stesso le definiva, avrebbe significato vagare ancora in quel labirinto relazionale patologico.

Il paziente, quindi, comprese la necessità di allontanarsi da quell'ambiente, per intraprendere un nuovo percorso riabilitativo in una comunità terapeutica, dove ricostruire il senso della sua esistenza.

Riflessioni finali

Ogni esperienza clinica con persone che vivono incastrati nell'addiction è prima di tutto un'esperienza umana, ancor prima di essere un'esperienza professionale.
La loro sofferenza e i loro vissuti traumatici hanno una risonanza emotiva nel Terapeuta che, in quanto essere umano, ne condivide il dolore.

Nel caso di Armando, accogliere la sua rabbia e la sua angoscia relative alla sua sieropositività, ascoltare il ricordo della sua esperienza traumatica dell'abuso sessuale subìto in età infantile, per me ha significato prima di tutto aprire uno spazio di silenzio e di rispetto quasi sacro dentro di me.

Le emozioni che ho provato, mi hanno guidata nel sentiero terapeutico-relazionale condiviso con il paziente, che mi ha permesso così di sintonizzarmi con la sua parte più vulnerabile.

L'aver stabilito una relazione di fiducia ha consentito ad Armando di poter sperimentare una nuova modalità relazionale, fondata sull'ascolto empatico.
Il sentirsi accolto e contenuto gli ha dato la forza di continuare il suo "percorso di rinascita" in una comunità terapeutica, in cui adesso si trova da cinque mesi.

Il programma di riabilitazione psico-sociale prevede almeno altri dodici mesi di terapia residenziale, e se il giovane fino a ora ha accettato di lasciarsi curare le ferite, speriamo che riesca fino alla fine a ricostruirsi una nuova vita.

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