HT Psicologia
Psicologia per psicologi - Casi clinici: aspettative, illusioni e il guadagno della realtà
HT: La Psicologia per Professionisti

Casi clinici: aspettative, illusioni e il guadagno della realtà

Gratis
Lascia vuoto questo campo:
Iscriviti alla Newsletter di HT
HT Psicologia Network
Psicologia-Psicoterapia.it
CMP: Centro Medicina Psicosomatica - Gruppo Prometeo
Laboratorio esperienziale e di condivisione: 'IpnoMindfulness' - Milano
Ateneo - Formazione Multidisciplinare
Master: 'Musicoterapia ad indirizzo Musicoterapia recettiva' - Online e Milano
SPAD - Scuola di Psicoterapia dell'Adolescenza e dell'Età Giovanile a indirizzo psicodinamico
Scuola di specializzazione in Psicoterapia - Roma
APL - Psicologi della Lombardia
Seminari e Workshop ECM - Online e Milano
PsicoCitta.it
Dott.ssa Idria Galatà
Psicologo
Riceve a: Polistena (RC)
Dott.ssa Chiara Donzelli
Psicologo Psicoterapeuta
Riceve a: Cinisello Balsamo (MI) e Milano
Dott.ssa Marina Quercia
Psicologo Psicoterapeuta
Riceve a: Giovinazzo (BA)
Dott.ssa Silvia Foschetti
Psicologo Psicoterapeuta
Riceve a: Firenze

Casi clinici: aspettative, illusioni e il guadagno della realtà
Michela e il desiderio di essere accudita e il bisogno di correttezza di Angela

L'articolo "Casi clinici: aspettative, illusioni e il guadagno della realtà" parla di:

  • Aspettative, illusioni, richieste nascoste e pretese inaccoglibili
    Uscire dal ciclo delle aspettative: delusione, rabbia e guadagno della realtà
    Esempi clinici: Michela e Angela
Psico-Pratika:
Numero 172 Anno 2020

Tutti gli articoli
Iscriviti alla newsletter

Articolo: 'Casi clinici: aspettative, illusioni e il guadagno della realtà
Michela e il desiderio di essere accudita e il bisogno di correttezza di Angela'

A cura di: Valentina Sbrescia
    INDICE: Casi clinici: aspettative, illusioni e il guadagno della realtà
  • 1. Introduzione
  • 2. Le aspettative
    • 2.1 Qual è la funzione delle aspettative
    • 2.2 Come si creano le aspettative
  • 3. Il rapporto tra illusione e realtà
    • 3.1 Illusione come domanda implicita
    • 3.2 La pretesa
    • 3.3 La delusione
    • 3.4 La rabbia
    • 3.5 Il guadagno di realtà
  • 4. Il trucco del mago
    • 4.1 La riformulazione della domanda
  • 5. Esempi clinici
  • 6 Altre letture su HT
Introduzione

Nella pratica clinica mi trovo spesso a lavorare con gli effetti delle aspettative che le persone hanno su di sé e sugli altri, ma anche con quelle che il mondo ha sulle persone che seguo. Ogni volta mi trovo ad osservare ed elaborare lo stesso ciclo, che si ripete sempre uguale nonostante le variazioni di tema. Se opportunamente vissuto però, la circonferenza si trasforma in una retta, sovvertendo le regole della geometria, e portando ad un guadagno straordinario: la realtà. Quando invece questo non si realizza, il ciclo riprende a proporsi come una domanda eternamente in cerca di una risposta che continua a mancare, e con esso si ripropongono anche la delusione, la rabbia ed il dolore. A volte questi sentimenti arrivano a cronicizzarsi producendo atteggiamenti verso la vita come scetticismo e cinismo.

Vivere questo processo con le persone mi fa spesso sentire come loro si sentono, e cioè come un criceto che corre a perdifiato sulla sua ruota senza poterne uscire mai. Consapevole della mia stanchezza nel sentirmi costretta anche io, tramite loro, a ripercorrere sempre la stessa dinamica, ho deciso di condividere con voi quello che ho imparato e di guidarvi, se lo desiderate, fuori dalla ruota. Ricordate però che non si è "liberi dall'atteggiamento del criceto" una volta per tutte, ma bisognerà liberarsi ogni volta che un'aspettativa si chiuderà intorno a noi imprigionandoci in una nuova ruota.

Le aspettative
Casi clinici: aspettative, illusioni e il guadagno della realtà

Cominciamo a capire cos'è un'aspettativa. La psicologia è piena di definizioni di questo concetto, soprattutto in ambito sociale, ma, volendo riassumere, posso dire che quello dell'aspettativa è un meccanismo mentale che ci permette di risparmiare energia psichica rendendo prevedibile la realtà. Funziona infatti attraverso il riconoscimento di ruoli e di regole auspicabilmente seguiti da tutti i membri della società in cui si vive, ma che non sono gli stessi in tutte le società del mondo.

Qual è la funzione delle aspettative

Avere aspettative ci permette di non perdere tempo, ogni volta, ad analizzare le situazioni e le personalità specifiche in atto: se immagino che un giudice debba essere onesto ed un ladro debba essere spregiudicato e disonesto, mi comporterò in maniera conseguente senza perdere tempo a fare i conti in tasca né all'uno né all'altro per prevedere come si comporteranno nella situazione data. Fin qui è semplice.

L'aspettativa è però anche la capacità di immaginare sé stessi nel futuro e cioè di proiettarsi in avanti rispetto alle situazioni che prevedibilmente ci troveremo a vivere: per esempio, quando immagino di dover parlare ad un congresso o con il mio capo, oppure quando scelgo la mia prossima azione ed immagino che mi metterà nei guai o mi salverà dall'imbarazzo, utilizzo questa capacità di creare scenari possibili ma non ancora attuali. In questo senso le aspettative sono fondamentali per progettare le azioni: nel primo caso mi preparerò un discorso efficace, nel secondo potrò scegliere se compiere o meno una determinata azione.

Infine l'aspettativa ha degli effetti anche sul sentire delle persone: tornando agli esempi precedenti può succedere che l'idea di parlare con il capo mi farà sperimentare preoccupazione ed ansia o magari mi farà pregustare il piacere della promozione che ne verrà e così via.

Le aspettative quindi sono rilevanti sia sul piano del pensare, che dell'agire, che del sentire. Come spesso accade le cose non tangibili, "trasparenti", sono molto più potenti di quello che immaginiamo.

Come si creano le aspettative

Tanti di voi conosceranno sicuramente le cosiddette 'immagini ambigue', quelle cioè che permettono di adattare la focalizzazione dello sguardo facendo risaltare almeno due immagini differenti nello stesso disegno o campo percettivo.

La visione di queste immagini, infatti, mette in evidenza come l'oggetto da noi percepito dipenda dalla scelta intenzionale di considerare come rilevanti i tratti chiari oppure quelli scuri, in altre parole ciò che noi percepiamo dipende da ciò che noi ci aspettiamo di vedere: se ci aspettiamo di vivere in una gabbia vedremo solo sbarre intorno a noi, se ci aspettiamo di andare diretti verso l'obiettivo focalizzeremo solo quello, se ci aspettiamo che una certa situazione si verificherà metteremo in moto, inconsapevolmente, tutti i meccanismi adatti a farlo realizzare.

In altre parole vediamo il mondo così come lo vogliamo vedere e non per come è in realtà (almeno nella maggior parte dei casi), perché è così che la nostra mente è programmata biologicamente a fare, in modalità di risparmio energetico.

Il rapporto tra illusione e realtà

Qui arriva la parte interessante: dove maggiore è l'illusione minore è la realtà e viceversa. Risolvere il ciclo delle aspettative permette di guadagnare la realtà. Il costo di questo processo è sicuramente un maggiore dispendio di energia psichica, può essere faticoso, ma in cambio si ottiene di potersi muovere in un mondo che si conosce per come è, elaborando strategie realmente efficaci anziché fallimentari, nonostante le grandi premesse.

«Nulla è più facile che illudersi. Perché l'uomo crede vero ciò che desidera.»
(Demostene)

È un po' come svelare il trucco del mago: sicuramente deludente ma finalmente sotto il nostro controllo! Come si fa quindi a passare dall'illusione alla realtà? I passaggi sono pochi e sempre gli stessi, ma questo non vuol dire che siano semplici: non dimenticate che in mezzo c'è l'abilità del prestidigitatore!

Schematicamente il passaggio è sempre: illusione → delusione → rabbia → realtà.

Illusione come domanda implicita

Come dicevo prima, l'illusione consiste nel vedere fuori da noi quello che noi stessi immaginiamo ci sia, ovvero, non sempre quello che noi vediamo coincide con la realtà fuori di noi. Se vogliamo è la vecchia distinzione kantiana tra "fenomeno" (= ciò che si vede) e "noumeno" (= la cosa in sé). Per Kant infatti il noumeno era di per sé conoscibile solo in parte e mai veramente del tutto. Nel nostro caso questo vuol dire che la realtà, per sua natura, si presta al gioco dell'illusione e cioè ad essere considerata in base al punto di vista dell'osservatore piuttosto che per quello che è veramente.

L'illusione è quindi una "visione del mondo" ("Weltanschauung"): è tutto ciò che ci aspettiamo da esso e che, per questo desiderio, ci troviamo di fronte agli occhi quando lo guardiamo.

«Mai fidarti delle apparenze, Tomàs. Il mondo che si trova al di là del vetro potrebbe arrivarti deformato. Le pareti della scatola le ha partorite la tua mente e il loro nome comincia sempre per NON. NON posso. NON ce la farò mai. NON dipende da me, la più estesa di tutte. Ma, se guardi in alto, troverai la quarta, che si chiama NON ci credere.»
("L'ultima riga delle favole", M. Gramellini)

Nella mia esperienza, in generale, un po' tutti ci aspettiamo che il mondo sia fatto a nostra immagine e somiglianza, ed è qui che sta il problema. Infatti, soprattutto nei rapporti con gli altri, ci aspettiamo spesso che questi ragionino come noi, siano onesti come noi, ritengano importanti le stesse cose che noi riteniamo tali. Soprattutto, quando ci accorgiamo che così non è, cerchiamo di cambiarli per renderli infine più somiglianti a noi e quindi più "giusti".

In parole povere, così come mi disse anni fa Alexander Lommatzsch (psicoterapeuta, direttore Istituto Gestalt Puglia, IGP), un'aspettativa non è altro che una "richiesta implicita", cioè non verbalizzata, non portata alla luce di una relazione ma, bensì, inviata per via occulta 'attraverso' la relazione. E questa richiesta implicita ha spesso a che fare con un bisogno di cura, oppure di cambiamento dell'altro o di maggiore somiglianza dell'altro a sé sotto il profilo cognitivo, comportamentale o emotivo.

La pretesa

Altro aspetto importante da considerare è che queste richieste hanno in sé la caratteristica della pretesa, dell'ordine coatto, cioè impongono all'altro un determinato modo di pensare, agire o sentire che si sovrappone a quello che la persona avrebbe se fosse al suo posto. Allo stesso tempo, queste pretese hanno un ruolo attivo nel mettere l'altro nell'impossibilità di rispondere alcunché per soddisfare la richiesta in quanto, ricordiamolo, non è stata mai espressa.

Ma perché si fanno richieste che sono fallimentari già dal principio? Io ritengo che questo abbia a che fare con due ragioni in particolare: la prima è che, nel nostro sistema sociale non sarebbe considerato corretto o dignitoso porgere domande considerate magari infantili o stupide, quindi si evita la vergogna che proveremmo nel verbalizzarle. La seconda, che io trovo sia preponderante, riguarda l'esigenza di proteggersi dalla risposta stessa, questa volta esplicita, che ne deriverebbe.

La domanda quindi non si pone per non correre il rischio di farsi rispondere di "no", risposta che deluderebbe e frustrerebbe i desideri: almeno così si può continuare a coltivare la speranza che una risposta affermativa sia ancora possibile. In più, evitare la domanda, permette di arrogarsi il diritto di biasimare l'altro se risponde in modo negativo, salvando la propria immagine di sé.

La delusione

Il primo effetto della mancata realizzazione del desiderio, ad opera di un altro inconsapevole e contemporaneamente considerato malevolo nei confronti di chi in realtà non ha saputo chiedere, è un forte senso di delusione. É come se fosse stata tradita la promessa, come se Babbo Natale non avesse portato il regalo giusto, come se le persone cui abbiamo affidato la nostra felicità si fossero dimenticate di noi. Maggiore è l'illusione, maggiore è la delusione. Ma, attenzione, il trucco non è non illudersi, non aspettarsi nulla.

Eliminare le aspettative infatti potrebbe seriamente danneggiare la capacità creativa, fondamentale per la vita, di immaginare un futuro e di immaginare se stessi dentro quel futuro. Il rischio correlato sarebbe quello di sviluppare scetticismo (= incredulità e sfiducia verso il prossimo e verso il mondo) oppure cinismo (= indifferenza e disprezzo verso ciò che c'è di buono nelle persone e nel mondo), rinunciando così ad una parte immaginativa necessaria per la vita stessa degli individui.

«Basta con questa storia! Il mio talento non esiste.»
«Le cose che non esistono non le hai ancora desiderate abbastanza.»
«Evidentemente ho troppa paura di perderle.»
«La permanenza in mezzo agli uomini ti ha tolto il piacere dei desideri. Ha esaltato solo quelli beceri, convincendoti che i puri fossero impossibili.»
«Questi discorsi non mi incantano più. Le pulsioni del cuore sono un male. Creano un bisogno e il bisogno conduce alla sofferenza.»
«Così tu le hai rimosse per non provare dolore. Ti sei abituato a costruire pensieri da vittima. Bene, è tempo che incominci a creare pensieri da uomo.»
("L'ultima riga delle favole", M. Gramellini)

La rabbia

Subito dopo la delusione viene la rabbia, motivata dal fatto che l'altro, cioè quello cattivo, non ci ha dato ciò che ci aspettavamo e così ci ha deluso. Cosa fareste voi se il mago, dopo avervi fatto vedere una bella valletta e averla fatta sparire, non la facesse poi riapparire?

In genere ritengo che la rabbia abbia a che fare con l'invasione di un territorio, di uno spazio personale, e cosa c'è di più personale dei propri bisogni e desideri?

La "rabbia da delusione" poi ha delle caratteristiche specifiche che la rendono riconoscibile rispetto, per esempio, a quella relativa ad un torto subito sul piano di realtà, almeno per come ho potuto osservare io.

Solitamente infatti la riconosco in quanto:

  1. sembra eccessiva ad un osservatore esterno, cioè gli eventi raccontati come causa non giustificano la reazione emotiva attuale, e la rabbia sembra non essere proporzionata alla causa citata;
  2. la reazione di rabbia sembra avere ancora tutta la sua intensità originaria nonostante l'evento-causa sia abbastanza lontano nel tempo, come se appunto la famosa domanda fosse ancora attiva, e questo perché non ha ancora ricevuto una risposta adeguata;
  3. la qualità della voce e dell'atteggiamento della persona arrabbiata ricordano vagamente quelli di un bambino che pretende al di là del principio di realtà, che rende possibili alcune cose ed altre no.
Il guadagno di realtà

Se fin qui è tutto abbastanza chiaro, è giunto il momento di aggiungere il tocco da prestigiatore, quello che alla fine dello spettacolo riporta gli spettatori ad una situazione realistica, gestibile e quindi rassicurante. L'unica differenza è che un mago non svela mai i suoi trucchi mentre io mi appresto a farlo.

«Voglio uscire da qui!»
«Allora fallo. Le pareti del NON sembrano infrangibili, eppure basta che tu decida di oltrepassarle perché si sbriciolino. Non hai altri limiti di quelli che ti sei posto da solo.»
("L'ultima riga delle favole", M. Gramellini)

La realtà è quella cosa che ci permette di stare davvero in contatto con noi e con il mondo. Tuttavia esige un sacrificio, quello dell'illusione del mondo come rispondente ai nostri bisogni e di noi stessi come capaci di pretendere e ottenere cose dal mondo solo con il potere dei desideri. Sacrificare l'illusione rende il mondo un po' meno magico, meno affascinante, ma ci dà in cambio maggiori possibilità di sopravvivenza poiché ci permette di valutare meglio le situazioni, le risorse che abbiamo per affrontarle e le probabilità verosimili di uscirne sani e salvi. La realtà è più adattiva e quindi evolutivamente vincente. In questo senso è rassicurante.

Prima però è importante capire che questo tra la rabbia e la realtà è il punto in cui possiamo intervenire per interrompere la "modalità criceto" ed uscire dalla ruota. Solo a questo punto è possibile farlo o, almeno, è solo a questo punto che io riesco a farlo fare ai miei clienti. La rabbia infatti fornisce la motivazione e l'energia sufficienti per riuscirci. Sappiamo bene tutti che è impossibile far fare a qualcuno qualcosa che egli non voglia fare, sarebbe l'ennesima ruota da criceto che ci mettiamo intorno, la nuova aspettativa, e questo danneggerebbe noi prima ancora che l'altro.

Il trucco del mago

Siamo giunti quasi alla fine, al momento di maggiore suspance di tutto lo spettacolo. Siete pronti? Abbiamo visto come le aspettative siano delle illusioni, delle richieste nascoste e pretenziose che mettono l'altro nell'impossibilità di soddisfarle in quanto non può sentirle. Abbiamo visto poi che lo scopo è quello di evitare una risposta sfavorevole ma che ciononostante, quando la risposta non arriva al momento o nel modo giusto, provoca una forte delusione, una ferita, un dolore che per alcuni aspetti possiamo definire infantile. Infine abbiamo esaminato come la risposta ad un dolore subìto sia una reazione rabbiosa ed autodifensiva, e abbiamo valutato che questo sia il punto di snodo tra la ripetizione e la cronicizzazione del ciclo disfunzionale e, nell'altra direzione, il guadagno di un senso di realtà adattivo e funzionale.

Come si passa quindi da una domanda mal posta alla realtà delle relazioni? È semplice: trasformando in esplicito ciò che è implicito, imparando a chiedere, imparando a correre il rischio.

Perché tra un 'si' ed un 'no' esiste il 50% delle possibilità di ottenere soddisfazione o, altrimenti, di avere un dato certo su cui basare la scelta della nostra prossima azione. Nella quotidianità si fanno tante altre cose in cui la probabilità di riuscita è certamente più bassa del 50%, eppure la speranza di essere fortunati, seppure molto più bassa, spinge molte persone a correre comunque il rischio. Nel nostro caso, invece, le probabilità di vittoria sono molto più alte e la vittoria consiste nella capacità di trarre soddisfazione dalla vita, che a questo punto è molto più sotto controllo.

Sono molte le ricerche in psicologia sociale, e nei campi di studio da essa derivati, che indagano sul fenomeno della motivazione all'azione, sull'effetto di una ricompensa al comportamento corretto e sulla percezione di un beneficio diretto in relazione all'evitamento di un evento avverso. Sono tutti dati che, indirettamente, agiscono anche sul nostro oggetto di riflessione odierno, che ho deciso di affrontare in modo più attinente alla dinamica personale e fenomenologica.

La riformulazione della domanda

Nella pratica si parte, come già accennato, dalla fase della rabbia, sia perché è più accessibile alla consapevolezza della persona, in quanto socialmente accettata, sia perché questa emozione fornisce la motivazione e l'energia al sacrificio richiesto per uscire dal "cerchio del criceto".

Da qui in poi è necessario aiutare la persona a percorrere a ritroso le fasi precedenti, e cioè aiutarla in primo luogo a collegare la rabbia, la quale mostra le caratteristiche peculiari esposte in precedenza, alla sensazione di delusione che l'ha provocata.
Accettare di sentirsi delusi però non è semplice come riconoscere di sentirsi arrabbiati, forse perché questo significa diventare consapevoli di una qualche area di fragilità personale, che ha aperto il varco alla possibilità di un altro di fare del male alla persona. Forse ancora perché implica il riconoscimento di un'area di bisogno sostanzialmente molto semplice, di un desiderio quasi magico, che poco si confà ad una persona adulta, posata e responsabile quale si ritiene di essere.

A questo punto è necessario risalire ancora al desiderio/bisogno specifico e inespresso che ha generato l'aspettativa/illusione che ha avviato il meccanismo. É necessario identificarlo, descriverlo nei suoi particolari, narrarlo, capirne le caratteristiche legate all'esperienza personale. Perché la persona possa arrivare a questa consapevolezza, proprio per le implicazioni poc'anzi evidenziate, è necessario che il professionista sia in grado di accogliere e normalizzare la fragilità del cliente: chi mai sarebbe così matto da poggiare un oggetto delicato e fragile come un cristallo nelle mani di qualcuno che sicuramente lo scaglierebbe contro la pietra più aguzza nei dintorni? O meglio, qualcuno tanto dissennato si trova pure, il problema è che se nel mio lavoro dovessi mai stimolare un comportamento simile, mi ritroverei probabilmente ad incentivare nuovamente il comportamento che ha originato la disfunzione, e cioè l'evitamento del rischio di ricevere una risposta negativa.

Poiché invece, l'esigenza di proteggere le proprie fragilità è assolutamente sana, lo sforzo è proprio quello di soddisfare questa esigenza in modo altrettanto funzionale, e mostrare al cliente che nei modi, nei momenti e con le persone giuste, è anche possibile chiedere ed essere soddisfatti. Solo un contatto con la realtà può però favorire l'identificazione corretta di queste condizioni.

Esempi clinici

Voglio concludere questo articolo raccontandovi delle dinamiche di alcuni miei clienti, che spero esprimano bene i contenuti di cui ho voluto trattare oggi. Naturalmente i nomi saranno di fantasia ed i particolari alterati per permettere la tutela della privacy delle persone reali di cui vi parlerò.

Michela e il bisogno di essere accudita (colloquio in presenza)
Michela è una professionista di 54 anni. Dopo tanti anni di lavoro precario alle dipendenze di altri, trova finalmente, qualche anno fa, il coraggio e la possibilità di mettersi in proprio e di aprire la propria attività commerciale in un paese alla periferia di una città metropolitana. Da giovane è stata una ragazza bella e ribelle, e questo l'ha portata a vivere esperienze non sempre piacevoli, come ad esempio un matrimonio con l'uomo sbagliato ed un successivo divorzio. Da allora ha intrapreso una serie infinita di relazioni passeggere con uomini generalmente più giovani di lei e che portavano vissuti problematici di cui lei si offriva di prendersi cura, finché poi si rendeva conto che la persona era di nuovo quella sbagliata e passava al successivo. Questo le fornisce la motivazione per rivolgersi a me.

Quando la conosco, quindi, la sua attività è l'unica cosa stabile della sua vita e quella su cui ripone le maggiori speranze di soddisfazione personale nonché di sopravvivenza. Un giorno mi racconta di sentirsi molto arrabbiata con una cliente, la quale le aveva commissionato un lavoro a partire da informazioni rilevate da un altro professionista. Michela accetta il lavoro dando per scontato che le rilevazioni effettuate dal collega siano esatte. Naturalmente la cliente lascia un acconto. Al momento della consegna del lavoro finito, la cliente prova il prodotto e si rende conto che non si adatta perfettamente alla sua persona così come avrebbe dovuto. Ne rimane delusa e se la prende con Michela: non le paga il saldo e si porta via il prodotto 'difettato', di cui tanto Michela non avrebbe potuto servirsi, dichiarando che lo avrebbe fatto aggiustare da qualcuno più bravo di lei. Michela si sente umiliata e svalutata, ed inoltre è arrabbiata con la cliente che non solo le ha fornito misurazioni sbagliate, ma non le ha neanche saldato il conto causandole una perdita economica.

Decido allora di metterla di fronte alla sua cliente (tecnica della "sedia calda") e di chiederle di verbalizzare il suo stato d'animo e la sua rabbia. Noto il suo tono pretenzioso e le chiedo di esprimere quale sarebbe stato il comportamento corretto della cliente secondo lei. Michela immaginava innanzitutto di ricevere informazioni iniziali corrette e poi che la cliente pagasse il lavoro per intero, in quanto era comunque stato fatto. Tuttavia, per imbarazzo, non aveva avuto il coraggio di chiederglielo e l'aveva lasciata andare via senza ottenerlo.

Le chiedo allora di verbalizzare in maniera chiara, diretta e con il minor numero di parole possibili queste sue richieste alla cliente. Mentre lo fa, Michela si rende conto che per quanto riguarda il primo punto, è stata una sua responsabilità fidarsi di quanto le aveva detto la cliente, mentre avrebbe potuto ripetere la misurazione per accertarsi della validità dei dati: questo era nel suo diritto farlo e non sarebbe stato sintomo di poca fiducia. Per quanto riguarda invece il secondo punto, l'aspettativa era che la cliente si prendesse cura di Michela e del suo bisogno economico, sovrapponendo così il livello professionale a quello della cura dei bisogni personali. In realtà la cliente non aveva questa responsabilità nei suoi confronti, mentre Michela gliel'aveva riversata addosso senza essere legittimata a farlo. Nel chiedere esplicitamente, Michela si è resa conto sia della sovrapposizione di piani, lavorativo e personale, sia del suo bisogno di essere 'presa in carico' e 'accudita' dai suoi clienti.

«Io sono io. Tu sei tu. Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative. Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative. Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa. Se ci incontreremo sarà bellissimo; altrimenti non ci sarà stato niente da fare.» (F. Perls)

Il passo successivo, sempre nell'interazione fantasmatica con la cliente, è stato dunque quello di riprendere su di sé la responsabilità per la propria sopravvivenza e soddisfazione personale, scusandosi con la cliente per avergliela 'buttata addosso' in maniera pretenziosa. Infine Michela si è ripresa anche la responsabilità di chiedere un pagamento per la propria prestazione professionale. In tal modo ha riconosciuto a sé e alla cliente il diritto di vivere senza dover soddisfare aspettative altrui ed ha interrotto la "modalità criceto" sentendosi più leggera e libera.

Angela e il bisogno di correttezza (colloquio online)
Angela è una donna di 43 anni. Ha vissuto diversi anni all'interno di un matrimonio infelice, in cui, nonostante fosse l'unica a lavorare, subiva forti restrizioni della libertà individuale e continui maltrattamenti e svalutazioni da parte del marito e della famiglia di lui, con cui la coppia conviveva. Ad un certo punto Angela, supportata anche dalle colleghe/amiche, trova il coraggio di organizzare la sua fuga insieme alle sue due bimbe, si trasferisce in una città a circa un'ora di macchina da quella in cui vivono l'ex marito e la sua famiglia, continua a lavorare e si costruisce una nuova vita con impegno e sacrificio. Nonostante sia stata denunciata dall'ex-marito per sottrazione di minori, il giudice si esprime in favore di Angela, concedendo un affido condiviso delle bambine con dimora principale presso la madre. Anche in questo caso, con impegno e sacrificio, Angela cresce le sue due figlie facilitandone i rapporti col padre. Si impegna spinta anche dalla paura che un passo falso in questo caso, le costerebbe un esito negativo dei processi in cui lui l'ha trascinata.

Angela si rivolge a me per due ragioni: la prima è che in seguito ad una CTU effettuata su entrambi i genitori, la collega consulente del giudice esprime parere positivo sulla madre ma la invita a farsi aiutare ad entrare maggiormente in risonanza emotiva con le figlie; la seconda, più personale, è che Angela sente il bisogno di essere sostenuta nel gestire e confinare le continue invasioni dell'ex-marito, che riesce comunque a "sequestrarla al telefono" quando lei cerca di sentire le figlie durante il week-end che le piccole devono passare con il padre.

Infine Angela, più volte riporta con rammarico ed un senso di 'auto-delusione' il fatto che nel suo passato lei sia caduta nella trappola di un uomo instabile come è il suo ex-marito. Al momento, comunque, Angela continua a tentare di avere un rapporto civile con lui, che sia funzionale al bene delle bambine, nonostante le evidenze negative circa le possibilità di riuscirci. Più volte quindi Angela riporta rabbia da delusione rispetto a sé stessa, al suo ex-marito e alla famiglia di lui, all'impossibilità di trovare uomini degni dei suoi sentimenti nel momento presente, al comportamento omertoso di sua madre che non le confida le proprie difficoltà di salute in modo tempestivo ecc..., ma ogni volta sembra non riuscire a cogliere questo vissuto con chiarezza: ha bisogno di sentirsi forte e motivata e questo le rende difficile accogliere un aspetto di fragilità.

Un giorno mi sono presentata al colloquio con lei con mezz'ora di ritardo: un'emergenza professionale mi ha impedito di essere puntuale e di poterla avvisare. Nonostante le scuse e le spiegazioni da parte mia, Angela nega in modo accorato di essersi sentita poco importante per me, ferita e delusa dal mio comportamento. Mi dichiaro consapevole della mia difficoltà ad essere sempre al 100% nel lavoro come nella vita, ma esprimo anche la mia disponibilità a stare con lei nel miglior modo possibile nonostante le mie difficoltà. Le chiedo quindi se per lei vada bene che anche io abbia difficoltà a gestire le cose ogni tanto. Questo tipo di rispecchiamento empatico permette ad Angela, a fine colloquio, di riconoscere dentro di sé il vissuto di rabbia e delusione per il mio comportamento.

Le propongo allora di leggere il libro che sto leggendo io in quel momento: "L'ultima riga delle favole", di Massimo Gramellini. Lei accetta l'invito e si appassiona alla lettura. Ne parla per prima cosa al colloquio successivo e mi chiede dove sono arrivata e la mia impressione sul racconto. Le dico che ritengo sia un libro sul tema della delusione, in particolare la delusione d'amore, e su come sia possibile guarire dal cinismo che ne è derivato. Lei rimane stupita dalla mia risposta e ci pensa su. Comincia a capire la mia "trappola" e dove voglio arrivare con quella discussione. A quel punto scopro le mie carte e le dico che se l'Universo continua a metterci davanti questo tema della "delusione", forse un motivo ci sarà e forse è giunto il momento di lavorarci. Angela accetta la sfida, dimostrandosi all'altezza delle MIE aspettative!

Nel momento in cui accetta, ad Angela torna alla mente un episodio avvenuto diversi mesi prima, in occasione di un'udienza poi rimandata, che doveva essere nella fase conclusiva della causa in cui l'aveva trascinata l'ex-marito. In quell'occasione però uno sciopero degli avvocati ha fatto rimandare l'udienza a data ancora da destinarsi. C'è da dire che il tribunale competente si trovava nella città in cui Angela aveva vissuto segregata dal padre delle bambine e che non ci tornava mai volentieri, anzi, ogni volta era una sofferenza farlo.

Il suo avvocato, quel giorno, aveva deciso di partecipare allo sciopero e le aveva inviato un messaggio pochi minuti prima dell'udienza. Tuttavia Angela, in quel momento, stava già guidando verso il tribunale e non aveva potuto leggere il messaggio. Quindi, arrivata al tribunale e trovatasi al cospetto dell'ex-marito e del suo avvocato, quindi in situazione di svantaggio rispetto al "nemico", ha finalmente letto il messaggio del suo legale. A quel punto, tuttavia, non aveva più la possibilità di evitare l'incontro temuto. Tra l'altro in quel momento era sola, senza nessuno che fosse accanto a lei a supportarla. Impaurita, delusa ed arrabbiata ha chiamato il suo avvocato e per la prima volta si è rivolta a lui con toni abbastanza accesi. L'avvocato si è reso conto solo allora di quanto quella situazione fosse stata disagevole per la sua assistita e si è scusato con lei.

Le ho chiesto allora come si fosse sentita e cosa si sarebbe aspettata dall'avvocato, che lui non ha fatto. Angela mi dice di essersi sentita l'ultima delle sue preoccupazioni, una cosa di poco conto. Aggiunge poi di essere una persona molto puntuale e corretta, che si preoccupa sempre di non creare incomodo agli altri con il suo comportamento e che si sarebbe aspettata lo stesso da lui. D'altra parte il compito dell'avvocato, da lei pagato, era di assisterla e proteggerla nella causa che la vedeva avversa all'ex-marito prevaricante. Mentre Angela diceva questo, era evidentemente agitata ed alterata, come se le cose che mi stava raccontando stessero succedendo realmente in quel momento per lei.

Le rimando allora il mio disorientamento rispetto alla situazione: probabilmente Angela stava sovrapponendo gli obblighi professionali a quelli morali. L'avvocato mi era sembrato corretto dal punto di vista professionale. D'altronde scioperare era un suo diritto e lo scopo di uno sciopero è generalmente quello di creare un disservizio. Nonostante questo lui l'aveva avvisata la mattina stessa, magari sottostimando il tempo del viaggio fino al tribunale. Non si poteva però considerare questo un comportamento scorretto. Sicuramente sarebbe stato auspicabile che un bravo professionista si fosse dimostrato anche una persona sensibile ed attenta, ma questo non poteva essere preteso nemmeno a fronte di un compenso: il compito dell'avvocato era difenderla in tribunale, non fuori da esso.

A quel punto Angela riconosce l'aspettativa che aveva avuto, che l'avvocato fosse un po' più simile a lei, che desse valore agli stessi principi etici e alle stesse attenzioni che lei avrebbe dato ad una persona importante per lei. Questa aspettativa irrealistica, una volta tradita, le ha causato delusione e rabbia. Lavoriamo allora sul fatto che lei avrebbe potuto esplicitare questa sua aspettativa in precedenza, in modo che l'avvocato avrebbe potuto scegliere se soddisfarla oppure no: quando si è sentito aggredito al telefono ha infatti capito la richiesta implicita di Angela e da allora si è comportato in maniera adeguata a questa. Probabilmente Angela ha temuto di scoprire ancora una volta quanto lei fosse poco importante per le persone che ha intorno: era questa la risposta temuta ed evitata. Esprimendo però la sua domanda, e cioè che cosa lei si aspettava dal suo legale, ha recuperato un certo grado di libertà d'azione rispetto ai suoi bisogni, ha riconosciuto di poter porre le sue condizioni. Allo stesso tempo si è resa conto del fatto che tutte le persone sono diverse: se si è fortunati ci si può assomigliare di più o di meno in determinati aspetti ma non ci si può sovrapporre annullando le differenze.

Con questa consapevolezza Angela è riuscita a contenere i suoi vissuti negativi e a recuperare un maggiore controllo sulla sua vita. Lo stesso vale anche per i vissuti relativi al mio di tradimento, il ritardo accidentale che aveva scatenato il suo risentimento!

Altre letture su HT
Commenti: 1
1 SIMONETTA alle ore 11:48 del 03/12/2020

molto interessante....sono interessata alla comunicazione con l'autrice.

Simonetta Cianca,

Tdr Psicologa Art Psychotherapist

Cosa ne pensi? Lascia un commento
Nome:
Mail (La mail non viene pubblicata):
Testo:



HT Psicologia - Casi clinici: aspettative, illusioni e il guadagno della realtà

Centro HT
HT Collaboratori