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I "bambini detenuti" e i dolorosi aspetti della maternità in carcereL'articolo "I "bambini detenuti" e i dolorosi aspetti della maternità in carcere" parla di:
Articolo: 'I "bambini detenuti" e i dolorosi aspetti della maternità in carcere'A cura di: Rebecca Farsi
IntroduzioneUn legame di attaccamento stabile rappresenta un elemento di indubbia rilevanza ai fini della funzionalità del percorso evolutivo. È stato dimostrato come una precoce separazione dall'oggetto materno possa ripercuotersi negativamente su una pluralità di dimensioni esistenziali: da quella fisico-emotiva, da quella cognitivo-relazionale. Winnicott (1966) distingue il concetto di deprivazione>, riferito a tutti i casi in cui la relazione materna si è instaurata inizialmente per essere interrotta anzitempo, e di privazione, nella quale il rapporto materno non è mai oggettivamente esistito. In entrambi i casi le conseguenze sono deleterie: senza un legame oggettuale reciprocante e attendibile il processo evolutivo verrà privato degli apporti necessari alla costruzione di un'adeguata struttura inter ed intrapsichica, con conseguenze disfunzionali anche sul lungo termine. Probabilmente ispirato da questa ratio, il legislatore ha previsto apposite disposizioni legislative che consentono l'esercizio della maternità in carcere, disponendo un adeguamento strutturale e organico degli istituti penitenziari nella legge sull'ordinamento penitenziario - 354/75. Nel comprensibile intento di optare per il male minore, e dunque di evitare una separazione precoce della diade materna, v'è tuttavia da riconoscere come, malgrado questa scelta, il prezzo da pagare in termini evolutivi resti comunque elevato. La maternità in carcere: aspetti logistici e difficoltà intrinsechePer quanto gli operatori assistenziali abbiano cercato di conformare l'ambiente detentivo alle esigenze dei bambini, rendere idoneo
all'infanzia un ambiente in origine non destinato ad una funzione di puericultura non si rivela un compito privo di complicanze e
contraddizioni.
La separazione dopo i 3 anniLe mura della cella disegnano una dimensione evolutiva limitata e limitante in cui la stessa relazione diadica subisce considerevoli deviazioni rispetto alle conformazioni canoniche. Prima tra tutte quella di una precoce separazione. La legge sull'ordinamento penitenziario appare chiara in proposito: al compimento dei tre anni di età il bambino viene allontanato dalla struttura carceraria e dunque dall'oggetto materno; questo non comporta soltanto la perdita dell'unico punto di riferimento di cui dispone, da un punto di vista evolutivo e relazionale, ma anche del modello privilegiato di identificazione sul quale strutturare la costruzione del Sé. L'impossibilità di rappresentarsi in maniera riflessiva l'evento - la capacità mentalizzante maturerà soltanto a partire dai 4-5 anni - potrà inoltre favorire la generazione di stati emotivi di colpevolizzazione, che, ove non rielaborati né verbalizzati, potranno assumere le sembianze di oggetti ostruenti e autosabotanti, tesi alla distruzione del Sé: i bambini deprivati sono spesso depressi, aggressivi, isolati e incapaci di stabilire un buon contatto sociale, familiare e scolastico (Bowlby, 1969; Fonagy e Target, 2001). Quando non è possibile l'affido stabile e continuativo presso un componente della famiglia - nonni, zii o la figura paterna -
per i bambini separati dalle madri carcerate si aprono inesorabilmente le porte dell'affido: un istituto per molti aspetti
provvidenziale, in quanto sottrae il piccolo a vissuti di abbandono ancora maggiori, - evitando ad esempio l'istituzionalizzazione -
ma dal quale scaturiscono una serie di detrimenti emotivi di non scarso rilievo. Un bambino costretto a mutare continuamente il legame affettivo di riferimento non potrà maturare nessuna convinzione di attendibilità circa l'oggetto affettivo, del quale finirà con l'evitare o ricercare patologicamente la presenza. Il genitore interiorizzato si mostrerà una figura persecutoria e angosciosa, e l'aggressività generata dallo stato abbandonico potrà riverberarsi in una serie di modalità disfunzionali, tra cui forme di condotte aggressive auto o eterorivolte, stati di isolamento, disregolazioni emotive e compulsiva ricerca di oggetti transazionali, finalizzata a reperire una solidità affettiva di cui è stato precocemente privato. In particolare, la continua lacerazione delle certezze affettive potrebbe esitare nell'incapacità di stabilire un legame sicuro, andando a generare patologie come il disturbo reattivo da attaccamento, che consiste in un'inibizione della relazione affettiva con l'adulto, e il disturbo da impegno sociale disinibito, in cui si verifica una tendenza continuativa e indiscriminata ad instaurare legami affettivi con figure adulte, ancorché si tratti di estranei - per cercare di colmare un vuoto affettivo avvertito come persecutorio e distruttivo per il Sé. I modelli operativi interni, danneggiati da siderazione affettiva e lutto abbandonico, assumeranno connotazioni altrettanto luttuose e desolate, impedendo al bambino la formazione di un'aspettativa significante circa la costruzione di legami relazionali futuri e di un vissuto sociale adeguato alle esigenze evolutive. Il vissuto materno all'interno del carcereI modelli relazionali patologici vengono enfatizzati dalla presenza di un ambiente che non si mostra empatico né verso il vissuto materno né verso le esigenze diadiche: la conseguenza è la costruzione di una maternità improvvisata, autogestita e per questo disfunzionale. La genitorialità delle madri detenute risulta compromessa, nella maggior parte dei casi, sia dalle condizioni imposte all'interno dell'ambiente carcerario, sia dagli stili di vita pregressi alla detenzione. Soverchiate da difficoltà inter ed intraindividuali, le donne vivono con estremo disagio il duplice ruolo di madri e detenute, avvertendone l'oggettiva inconciliabilità: spesso abdicano alla propria dimensione genitoriale appannaggio di investimenti narcisistici - e dunque assumono condotte evitanti o passive nei confronti del bambino - o al contrario attuano un iperinvestimento della maternità, costruendo sulla stessa una sorta di riscatto catartico - connotato spesso di aspetti irrealistici - rispetto alla vita precedente. In ambedue i casi si verifica uno squilibrio affettivo di cui sarà il bambino a fare le spese, dovendo alternativamente tollerare la presenza di un oggetto materno invasivo ed idealizzante, o al contrario aggressivo ed evitante. Nelle madri detenute è inoltre facilmente riscontrabile un basso livello di motivazione all'accudimento, e dunque minori livelli di interazione, scarso attunement, inadeguata o disorganizzata responsività emotiva. La situazione si mostra più critica in presenza di disturbi psicopatologici - maturati nel periodo di detenzione o pregressi - i cui effetti si riflettono immancabilmente sullo stile relazionale diadico, dando vita ad una maternità inadeguata non soltanto nell'ambito della regolazione affettiva - spesso danneggiata da atteggiamenti spaventati/spaventanti - ma anche nella dimensione più strettamente accuditiva (con condotte di incuria o discuria). La necessità di controllare la presenza di un oggetto materno imprevedibile e inattendibile spinge i bambini detenuti allo sviluppo di uno stile di attaccamento alternativamente controllante accudente o controllante - punitivo, cui può accompagnarsi la presenza di condotte di role reversal, e dunque di genitorializzazione, volte a regolare, tramite l'assunzione di comportamenti tipici dell'adulto, una genitorialità connotata di infantilismo e richieste accuditive rivolte al bambino (Liotti, Farina, 2011). Le recenti modifiche legislativeL'istituto carcerario non è nato per ospitare bambini. Il ruolo sociale precipuo e la funzione dallo stesso perseguita sono
assolutamente lontani da un aspetto anche solo somigliante all'accoglienza di un bambino. Rendere il carcere una sorta nursery o di casa
famiglia, risulta un adeguamento improprio della realtà infantile a quella adulta. Per stare vicino alla madre il bambino viene arrestato a sua volta. Definirlo un detenuto sarebbe eccessivo, ma le regole logistiche e organizzative del carcere non possono non coinvolgere anche il suo microcosmo esistenziale, andando a scandirne ritmi e quotidianità. Dunque i suoi bisogni sono rispettati nel limite di quanto è consentito dalla supervisione carceraria, che esercita un effetto colonizzante nella sua personalità e nel suo stile di vita, costringendolo ad adeguarsi a regole che risuonano immancabilmente crudeli limitazioni all'infanzia. La triste realtà dei bambini detenuti non è rimasta priva di eco, e il sempre maggior interesse mostrato verso le cause e le
conseguenze della medesima, ha col tempo spinto le istituzioni a prendere delle posizioni più drastiche al fine di limitarne quanto
più possibile la presenza. Si tratta tuttavia di una soluzione solo apparente e certamente parziale, dato come, se da una parte si è resa meritevole di aggirare una separazione materna davvero precoce, non è riuscito ad evitarla del tutto, né ha contribuito a risolvere la situazione deprivante del bambino "detenuto", soltanto allungandone la durata. La legge 40/2001- art. 3 - ha inoltre disposto la possibilità della detenzione domiciliare speciale, cui è conseguita
una parificazione genitoriale tra madri e padri e l'estensione della possibilità di detenzione domiciliare anche a quelle madri
condannate ad una pena più lunga, purché non ricorrano presupposti di pericolosità sociale e sia già stata
scontata una parte normativamente prestabilita della detenzione. Si riporta di seguito il testo della legge citata: "Il Tribunale di
Sorveglianza può ammettere l'espiazione della pena presso il domicilio della madre (o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo
di cura, assistenza o accoglienza), al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli minori di anni dieci, dopo l'espiazione di
almeno un terzo della pena, ovvero dopo l'espiazione di almeno 15 anni nel caso di ergastolo, qualora non sussista un concreto pericolo di
commissione di ulteriori delitti e vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli. Al compimento del decimo anno di
età del figlio, il beneficio può essere prorogato quando sussistano i requisiti per l'applicazione della semilibertà;
altrimenti la donna potrà - in considerazione del comportamento tenuto, nonché della durata, della misura e dell'entità
della pena residua - essere ammessa all'assistenza all'esterno dei figli minori."... "La detenzione domiciliare speciale è revocata
se il comportamento del soggetto, contrario alla legge e alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura. Qualche datoSecondo gli ultimi dati raccolti dalla sezione statistica del DAP, al 31 agosto 2018 erano 52 le madri presenti all'interno delle carceri,
con 62 bambini in tutto, quasi equamente distribuite tra italiane (27 con 33 figli al seguito) e straniere (25 con 29 figli). Il numero
più alto si riscontrava all'interno del carcere di Rebibbia, dove le madri - in numero di 13 - e i figli - in numero di 16 - venivano
accolti all'interno di asili nido appositamente posti nelle sezioni femminili . Al 31 maggio del 2018 i bambini sotto i tre anni all'interno
di penitenziari - in aree denominate "sezioni nido" - erano otto (con 7 mamme). L'ordinamento sta facendo molto per cercare di adeguare la situazione del bambino alle donne carcerate. E molto probabilmente ci sta riuscendo. Alla luce di quanto detto rimane tuttavia il dubbio se sia mai possibile la coniugazione di realtà così diverse quali quella delle detenzione e quella evolutiva, e se i mezzi posti in essere per riuscire in questa impresa di crasi emergenziale non siano soltanto un modo per adeguarsi all'ineluttabile, cercando di sacrificare la natura inviolabile del processo di crescita sull'altare di un mero bilanciamento di interessi discussi a tavolino, o nell'aula di un tribunale. Resta un assunto pressoché inviolabile: maternità e reclusione, per quanto si cerchi di dimostrare il contrario, risultano
due dimensioni che non possono esprimersi all'unisono, né essere in qualche modo sintonizzate in una prospettiva che stemperi la
negatività della loro vicinanza. Colorare le celle, riempirle di giocattoli, renderle più conformi alle esigenze dei bambini
e della madri può mostrarsi un fattore in grado di migliorare la situazione di reclusione della diade, proiettandola in una dimensione
più possibile conforme a quanto richiesto dalle esigenze del processo evolutivo; ma non è sufficiente. Il vero obiettivo da perseguire dovrebbe essere forse quello di neutralizzare sin dall'inizio la convivenza carceraria madre-bambino, che costringe il piccolo a vivere come un detenuto sin dall'infanzia. Ci si chiede se ciò sarà mai possibile. In attesa di evoluzioni in tal senso, la domanda resta in sospeso. Bibliografia e riferimenti
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Commenti: 11 Marleny alle ore 19:16 del 10/07/2022 Articolo molto interessante, soprattutto per la mia tesi. Ottimo aiuto, scritto molto bene, ottima bibliografia. Complimenti!, Cosa ne pensi? Lascia un commento
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