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Austimo e alimentazione: la gestione dell'autismo a tavola e suggerimenti per evitare criticità

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Austimo e alimentazione: la gestione dell'autismo a tavola e suggerimenti per evitare criticità

L'articolo "Austimo e alimentazione: la gestione dell'autismo a tavola e suggerimenti per evitare criticità" parla di:

  • L'importanza dell'organizzazione a tavola
  • La cattiva gestione del disagio
  • Il comportamento durante il pasto
Psico-Pratika:
Numero 203 Anno 2024

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Articolo: 'Austimo e alimentazione: la gestione dell'autismo a tavola e suggerimenti per evitare criticità'

A cura di: Rebecca Farsi
    INDICE: Austimo e alimentazione: la gestione dell'autismo a tavola e suggerimenti per evitare criticità
  • Introduzione
  • Il pranzo è servito... ma à davvero così semplice?
  • La cattiva gestione del disagio
  • Il comportamento a tavola: l'importanza dell'organizzazione e della gradualità
  • Conclusioni
  • Bibliografia
  • Altre letture su HT
Introduzione

Esposto ad un sovraccarico cognitivo ed emozionale, l'autistico mostra un forte disagio: in particolare, l'incapacità di comprendere cosa sta accadendo attorno a lui lo espone ad uno stato di frustrazione, cui reagisce con atteggiamenti di chiusura o aggressività finalizzati al ripristino di un'omeostasi interrotta.

Ogni situazione che sfugge ad un rigido controllo basato su stereotipie e rigidi sistemi routinari, lo spinge a fronteggiare una dimensione sconosciuta, e per questo destabilizzante. Da cui un inevitabile vissuto di paura.

A pensarci bene non si tratta di una prerogativa dell'autistico. In realtà tutti noi, davanti a situazioni complesse e non familiari, possiamo mostrare un certo disagio. Quasi un senso di pericolo. L'unica differenza è che, non riuscendo ad elaborarne la presenza, l'autistico si difende da questo stato d'animo attraverso condotte agite: acting out compulsivi, spesso auto o eteroaggressivi e socialmente inadeguati.

Non è il caso di minimizzare, né di colpevolizzare. Serve piuttosto preparare i soggetti coinvolti alla gestione delle situazioni di criticità, senza cedere alle stimolazioni stressogene.

L'autistico deve essere educato all'utilizzo delle proprie autonomie personali, in una modalità che si riveli in grado di conciliare le esigenze personali con l'adattamento sociale: un fattore, quest'ultimo, che non dovrebbe mai essere trascurato, al fine di agevolare il controllo di tutti quei momenti della vita quotidiana - più numerosi di quanto si immagini - in cui la capacità relazionale svolge un ruolo primario.

Il momento del pasto è uno tra questi. Vediamone i principali motivi.

Il pranzo è servito... ma è davvero così semplice?
Austimo e alimentazione: la gestione dell'autismo a tavola e suggerimenti per evitare criticità

Per quanto apparentemente innocuo, la consumazione del pasto costituisce un "evento" di difficile gestione: con il suo elevato livello di intersoggettività, richiesta comunicativa, e un carico di stimolazioni somministrate in frequenza veloce e ininterrotta, esso prospetta uno scenario stressogeno indubbiamente intenso, al quale è necessario giungere preparati. A casa e soprattutto nei contesti sociali, ad esempio bar o ristoranti - in cui un carico di stimoli ancora maggiore, e per di più non familiare - questa situazione potrebbe agevolare l'insorgenza di reazioni discontrollate.
I familiari di questi soggetti sanno bene quanto sia importante garantire anche a tavola la presenza di un'organizzazione ben strutturata, necessaria ad evitare il tanto temuto "imprevisto", quel fattore di mancato controllo che potrebbe suscitare un'autentica destabilizzazione emotiva e comportamentale, soprattutto in presenza di una serie di fattori critici.

La presenza dei commensali. L'autistico preferisce consumare i pasti da solo, come da solo predilige svolgere ogni altro tipo di attività. Nella sua personalità la componente di autoisolamento è molto marcata: egli desidera rimanere al riparo da ogni possibile ingerenza sensoriale o percettiva. I suoi canali sensoriali possono sentirsi letteralmente invasi dalla corporeità: ad esempio, un commensale seduto al suo fianco con la sua sola presenza può costituire una fonte di disagio. La situazione peggiora nel caso in cui il soggetto venga esposto alla presenza di stimoli del tutto incompatibili con il suo stile percettivo, in genere iperselettivo ed estremamente reattivo. Qualsiasi rumore può dargli fastidio, ingenerando in lui un effetto di invasione concreta, quasi un incistamento al quale si oppone con resistenza difensiva. Ad esempio, un commensale logorroico, uno che parla a voce troppo alta, che gesticola continuamente durante l'eloquio, o ancor peggio qualcuno che provoca rumori masticando, crea una serie di impulsi sensoriali potenzialmente irritanti, da cui gli autistici possono sentirsi infastiditi, talvolta letteralmente minacciati, e a cui oppongono spesso reazioni di marcata aggressività, auto o etero rivolta.

La tavola apparecchiata. Lo stile cognitivo dell'autistico è organizzato in una modalità compartimentale non comunicante: questo determina l'impossibilità di elaborare contemporaneamente più informazioni, l'incapacità di integrare i dati in una direzione sintetica, una profonda difficoltà nell'organizzazione di ragionamento analogico, un modello di apprendimento essenzialmente contestuale, dal quale appare difficile svincolarsi. La sua è una realtà fortemente parcellizzata, in cui l'accesso alla globalità viene impedito dall'iperinvestimento nel dettaglio, e il processamento degli stimoli - esogeni ed endogeni - risulta ostacolato dalla difficoltà ad utilizzare più di un dato alla volta. Anche per questo, la quantità di stimoli presente in una tavola apparecchiata non facilita una sensazione di calma e contenimento: in particolare, un numero elevato di piatti, bicchieri e stoviglie - ancor peggio se con forme e colori diversi - può favorire l'innescarsi di vissuti sensoriali disorientanti e confusivi.

Stare seduti. Rimanere seduti può costituire un'ulteriore fonte di fastidio per un soggetto che non è capace di regolare in maniera adattiva gli stati di frustrazione, né di organizzare una procrastinazione adattiva delle pulsioni. L'attesa si mostra talvolta insostenibile, risultando marcata soprattutto durante l'intervallo tra una portata e l'altra, quando la necessità di tollerare dei tempi vuoti può amplificare uno stato di incertezza debilitante. Non è infrequente che, per neutralizzare momenti di disagio, l'autistico si alzi da tavola quando il pasto non è ancora terminato, magari mettendosi a giocherellare con le pietanze o girovagando per le stanze.

Regolare la consumazione del cibo. Non riuscendo a distinguere la fame dalla sazietà, molti autistici continuano ad alimentarsi anche quando hanno consumato la loro porzione, oppure non toccano cibo per quanto siano affamati. Di fronte ad una pietanza di proprio gradimento alcuni possono chiederne una quantità maggiore, magari arrivando anche sottrarne il contenuto dal piatto altrui; egualmente, di fronte ad una portata sgradita o di nuova introduzione, il cibo può essere rifiutato più o meno esplicitamente. Può capitare che il contenuto del piatto venga lanciato sulla tavola, sparso o scagliato a terra: tutto questo in un contesto di pianti, urla, vocalizzi rumorosi o condotte autoaggressive (Ahearn, 2001).

L'utilizzo di piatti e posate. Spesso gli autistici non sono in grado di maneggiare gli strumenti destinati alla consumazione del pasto. Posate, piatti, bicchieri rappresentano attrezzi sconosciuti e potenzialmente minacciosi dai quali sentono di doversi difendere, soprattutto se sono fabbricati con materiali particolarmente sgraditi allo stile iperselettivo del soggetto: ad esempio, alcuni non tollerano l'acciaio, considerato materiale troppo freddo e rigido, altri non si relazionano bene con la plastica; non è raro che gli autistici riescano a mangiare soltanto con le proprie posate "personali" e che si rifiutino di consumare il pasto in caso di assenza delle stesse.

La cattiva gestione del disagio

I fattori critici appena descritti possono risultare amplificati dalle disfunzioni comportamentali tipiche della patologia autistica, qui sotto elencate.

Il disordine sensoriale. Non avendo maturato una costanza identitaria del cibo, l'autistico ritiene che il contesto spazio-temporale sia un fattore sufficiente a determinarne il cambiamento. Di conseguenza, gli riuscirà difficile capire che la carne non si trasforma in base al differente modo in cui viene cucinata o al luogo in cui viene consumata: è sufficiente mangiare una fettina panata dalla nonna o mangiarla alla mensa perché la fettina non sia più la stessa. Così come il cono gelato non è lo stesso se viene mangiato al parco o nel salotto di casa. Discorso analogo per le mescolanze: ad esempio, la frutta cessa di essere frutta se viene servita sotto forma di macedonia, o mangiata a pezzettini anziché intera. Uno stile cognitivo fortemente settoriale impone una rigida compartimentalizzazione tra i cibi, sia nella presentazione che nella disposizione sul piatto. Ciò aiuta a mantenere non soltanto un ordine visivo, ma anche una continuità propriocettiva, messa in pericolo da un atto invasivo come l'introduzione del cibo. Per questo gli autistici non accettano di mangiare ciò che non conoscono: sarebbe come lasciarsi penetrare da corpi estranei: "Quando tornai a casa trovai mio padre seduto in cucina. Mi aveva preparato la cena... la cena consisteva in fagioli stufati e broccoli e due fette di prosciutto, sistemate sul piatto in modo che non si sfiorassero... mio padre battè all'improvviso un pugno sul tavolo, con violenza tale che i piatti e il coltello volarono da tutte le parti e il mio prosciutto scivolò di lato andando a sbattere contro i broccoli, così non toccai più né il cibo né il prosciutto né i broccoli... perché nulla era più come prima..." (Haddon, 2003).

L'alimentazione selettiva. Un modello di stretta selettività alimentare, pur variando in base alle singole individualità (Ledford & Gast, 2006) al contesto familiare e al livello di rieducazione raggiunto, si mostra generalmente dominante in tutti gli autistici. Molti di loro manifestano rifiuti intransigenti verso i cibi che non conoscono, non gradiscono, o che, per qualche caratteristica sensoriale o cromatica, li mettono a disagio, magari suggerendo un senso di minaccia e di pericolo. Nel tentativo di evitare l'imprevisto, le abitudini alimentari dell'autistico seguono uno stile refrattario, in cui le preferenze sono rivolte a cibi le cui caratteristiche cromatiche e sensoriali risultano familiari e per questo ben gestibili.

L'integrazione sensoriale. Spesso l'autistico non riesce a distinguere ciò che sente da ciò che vede, ciò che tocca da ciò che annusa. Questa difficoltà nell'integrazione sensoriale può favorire il consolidarsi di criticità che, specie a tavola, tendono ad amplificarsi: ad esempio diventa un problema mangiare e parlare contemporaneamente, oppure mangiare mentre si è impegnati a guardare la tv. La recettività visiva tipica del disturbo aumenta la sensibilità alle immagini trasmesse; se a questo si unisce uno stile di apprendimento tipicamente contestuale, la probabilità di costruire legami associativi disfunzionali aumenta notevolmente, accrescendo le difficoltà nell'autogestione a tavola: è sufficiente assistere alla proiezione di un'immagine disturbante, perché l'effetto sgradevole dalla stessa provocato venga esteso anche al cibo che si sta consumando, rendendolo oggetto, da quel momento, di un inflessibile rifiuto.

Il comportamento a tavola: l'importanza dell'organizzazione e della gradualità

Il pasto è un'attività che richiede un grande impegno sociale e comunicativo.
Sono necessarie pazienza e profonda conoscenza del disturbo al fine di creare un momento di condivisione di cui anche il soggetto autistico possa godere senza provare né creare disagio.

Certo non è un compito facile, soprattutto all'inizio. Regressioni, passi falsi e ricadute sono così frequenti da mobilitare facili vissuti di scoraggiamento. Ma non è il caso di perdersi d'animo: a tavola, come negli altri contesti di vita, è possibile creare quella nicchia di sicurezza strutturata in grado di convogliare comportamenti e reazioni in una direzione funzionale.

Come organizzarsi? Prima di capire cosa fare, è meglio fare il punto su "cosa non fare", tenendo presente una necessità non trascurabile: è inutile appesantire l'atmosfera del pasto caricando il soggetto di richieste eccessive o non compatibili con le sue risorse. È preferibile adeguarsi il più possibile al suo stile di apprendimento, pur provando a smussarne la rigidità, purché il tutto venga svolto in maniera graduale, empatica e consapevole.

Alcuni consigli tratti dal modello operativo comportamentale potrebbero risultare utili nella gestione delle criticità più frequenti, senza dimenticare di adattare il programma educativo alla personalità individuale, evitando standardizzazioni inflessibili quanto infruttuose.

È giusto introdurre alimenti nuovi, ma non più di uno alla volta e sempre facendo attenzione a rinforzare l'assunzione con piccoli premi preventivamente concordati (ad esempio gettoni, caramelle o una porzione maggiore di un cibo gradevole), ove riesca ad introdurne il quantitativo richiesto. In caso di fallimento è altrettanto importante non colpevolizzare, giudicare o ancor peggio fare confronti con fratelli o sorelle, sottolineando con rimprovero l'inferiorità della prestazione. Meglio interrompere il tentativo con calma, cercare di rasserenare il soggetto invitandolo a riprovare un'altra volta, magari utilizzando rinforzi sociali (ad esempio dicendo "Bravo che ci hai provato") al fine di non scoraggiare la motivazione; utili anche tecniche di familiarizzazione preventiva con i cibi, soprattutto quelli di nuova introduzione o quelli particolarmente sgraditi: ad esempio l'esplorazione sensoriale della pietanza (consistenza, profumo, colore), o la preparazione del piatto che verrà consumato possono renderne l'introduzione meno traumatica, consentendo la costruzione di un approccio sensoriale graduale, che favorirà una processazione progressiva degli stimoli, evitando il temuto "effetto sorpresa". Molto efficaci le tecniche educative tratte dal programma ABA, quali prompting fading, rinforzo differenziale, shaping, basati sulla somministrazione concordata di rinforzi associata a progressi graduali. Ma anche la simultaneos and sequential presentation, inerente la presentazione di alimenti non preferiti simultaneamente o subito dopo quelli più graditi, sfruttando l'effetto traino di questi ultimi (Kern, L., & Marder, T.J., 1996; Riordan, M.M., et al., 1980); e il mixing or blending preferred and non-preferred foods, che consiste nel presentare il cibo nuovo insieme ad uno già conosciuto o di estremo gradimento, sfumando gradualmente la presenza di quest'ultimo in favore del primo (Mueller, et al., 2004); il funzionamento a compartimenti tipico dell'autismo può, inoltre, supportare la costruzione di legami associativi tra il cibo rifiutato e un contesto di consumazione favorevole, agevolando la futura consumazione del cibo stesso (ad esempio, nel caso in cui si voglia introdurre una verdura in genere rifiutata, come il broccolo o la carota, la si potrà servire mentre alla televisione viene proiettata un'immagine particolarmente gradita, la sua fiaba o il suo film preferito, per fare in modo che il vissuto di benessere suscitato dalla stessa possa contaminare anche la consumazione della vivanda).

Educazione alimentare. Implica il mantenimento di una logistica del pasto quanto più possibile regolare nei tempi, nei luoghi e nelle modalità di consumazione. È per questo preferibile cenare sempre alla stessa ora e con le stesse persone, apparecchiare la tavola con le medesime tovaglie e posate, utilizzare sempre gli stessi bicchieri: elementi di fissità che contribuiranno a creare un clima di familiarità e sicurezza anche di fronte a stati di disagio.

Stare seduti a tavola. L'autistico deve mantenere una posizione seduta e composta durante l'intera consumazione del pasto. Se all'inizio non ci riesce, si potrà provare a rinforzarlo con piccole gratificazioni (cibo o caramelle) da elargire progressivamente, di pari passo con il consolidarsi dei progressi e del carico richiestivo, anch'esso graduale. Molto utili sotto questo punto di vista le c.d. tecniche di estinzione della fuga, che prevedono una somministrazione premiale volta a rendere meno gratificante l'opportunità di allontanarsi dalla tavola: ad esempio, il pasto può essere suddiviso in una serie di intervalli regolari, al termine dei quali il soggetto potrà ricevere un rinforzo se sarà riuscito a restare a tavola per l'intera durata dell'intervallo stesso.

È opportuno non sovraccaricare la tavola con un numero eccessivo di piatti: meglio servire una portata soltanto dopo che la precedente è stata consumata. Nel caso in cui siano presenti degli avanzi, sarà necessario spiegarne il motivo: molti autistici non riescono a relazionarsi con il concetto di cibi avanzati, soprattutto perché non riescono a comprenderne la funzione e la successiva destinazione (De Clercq, 2000).

Servire i cibi con ordine e compostezza, creando spazi appositi per ognuno di essi, in modo da renderli riconoscibili per tipologia e colori; a tal fine potranno essere utilizzati piatti muniti di una pluralità di scomparti, in modo che ogni cibo venga sistemato all'interno di uno spazio specifico, evitando miscugli di colori e sapori.

Gestire il tempo di intervallo tra una portata e l'altra, facendo in modo che non sia mai né eccessivo né troppo ridotto, al fine di non mobilitare, nel primo caso, stati di frustrazione e impazienza e, nel secondo, un sovraccarico sensoriale difficile da fronteggiare. Meglio agire d'anticipo, magari chiamandolo soltanto quando tutto è pronto, in modo da diminuire la sua permanenza a tavola.

Strutturare con precisione il pasto e fornire informazioni. L'autistico è letteralmente destabilizzato da ciò che non conosce o non riesce a capire, insomma, da tutto quello che sente di non poter controllare. È dunque necessario che gli vengano fornite spiegazioni su quanto sta accadendo (ad esempio il succedersi delle portate) e sul perché è necessario che tenga - ed egualmente non tenga - determinati comportamenti. Si tratta di un feedback informativo che lo sottrae ad una situazione di inconsapevolezza - e dunque di angoscia - per lui ingestibile.

Evitare di osservarlo mentre mangia, magari consigliandolo su come comportarsi o sulle regole da seguire: la prenderebbe come un'invasione.

Evitare luoghi troppo rumorosi, non familiari o che lo mettono notoriamente a disagio. I familiari dell'autistico devono imparare a conoscere le criticità e i punti deboli, per gestire al meglio il sintomo ed evitare l'ingenerarsi di reazioni incontrollabili, anche a costo di sacrificare un pochino la vita sociale (ad esempio evitare o ridurre le uscite a cena), se ciò può rivelarsi utile al benessere e alla tranquillità del bambino.

Utilizzo di immagini. Data la sua scarsa familiarità con la simbolizzazione, l'autistico ha necessità di feedback sensoriali rispetto a tutto ciò che gli viene richiesto. Le immagini possono rivelarsi un valido strumento esplicativo di concetti che, proprio per la loro natura astratta, rischierebbero di rimanere incomprensibili. Le immagini servono a rendere visibile ciò che non lo è. Può rivelarsi utile mostrare regole di buon comportamento attraverso l'impiego di cartelloni che rappresentino, in modalità didascalica, ciò che si intende spiegare a parole (Smith, 2006). Ad esempio, un cartellone con la scritta STOP può indicare il momento di termine del pasto o di una singola portata, suggerendo il passaggio alla portata successiva; allo stesso modo lo stare seduti a tavola può essere incentivato attraverso illustrazioni dimostrative.

Parent training e non solo. I genitori devono sottoporsi a sessioni di parent training psicoeducativo per uniformarsi al funzionamento del figlio, anche al fine di gestire adattivamente le componenti stressogene, frustranti e di disagio sin troppo frequenti nella relazione con un soggetto affetto da autismo. Ma questo non significa ridurre la relazione ad uno stato di mero apprendimento esecutivo. Al di là delle nozioni apprese in contesti psico educativi - comunque indispensabili - è altrettanto necessario fare affidamento a quella genitorialità intuitiva grazie alla quale i bisogni e le necessità del figlio vengono recepite d'istinto, utilizzando senso logico, empatia, consapevolezza (Fisk, 2018). Nessuno conosce un bambino meglio dei genitori: questo si tradurrà nell'attenzione a strutturare una dinamicità relazionale co-costruita, di cui tutti i soggetti coinvolti si sentano parte attiva - e non meri esecutori - anche al fine di favorire il contatto emotivo e le istanze motivazionali.

Conclusioni

In conclusione, cosa è necessario fare per il superamento delle difficoltà a tavola?

  • Cercare il progresso evolutivo, senza esporsi al rischio di novità pretese o mal somministrate.
  • Evitare vissuti di impotenza fossilizzante in grado di contrapporsi alla crescita e all'adattamento.
  • Non perdere mai di vista l'obiettivo finale, neppure nei momenti di criticità maggiore, cercando di aggirare vissuti di stress e conflittualità.
  • Accettare il rischio del fallimento con vissuto normalizzante, senza lasciarsene eccessivamente condizionare, ma costruendo un cammino da percorrere gradualmente, nei tempi e nelle modalità adeguate, tenendo sempre presente la coerenza degli obiettivi e delle strategie.

Sono questi gli elementi indefettibili con cui l'autistico può perseguire una gestione efficace e duratura delle autonomie personali. Una sorta di "ingrediente segreto", a tavola e non solo.

Bibliografia
  • Ahearn, W. H. (2001) Help! My son eats only macaroni and cheese: Dealing with feeding problems in children with autism. In C. Maurice, G. Green, & R. M. Fox (Eds.), Making a Difference: Behavioral Intervention for Autism (pp. 51-73). Austin, TX: Pro-ed Inc;
  • Declerq, H. (2011) L'autismo da dentro: una guida pratica, Erickson, Trento;
  • Fiske, K. ( 2018) Autismo e famiglia: capire e sostenere genitori e fratelli, Giovanni Fioriti, Roma;
  • Haddon, M. (2003) Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Einaudi, Torino;
  • Kern, L., & Marder, T. J., (1996) A comparison of simultaneous and delayed reinforcement as treatments for food selectivity, Journal of Applied Behavior Analysis;
  • Ledford, J. R. & Gast, D. L. (2006) Feeding problems in children with autism spectrum disorders: A review. Focus on Autism and other Developmental Disabilities, 21(3), 156-166;
  • Ingersoll, B. ( 2022) Insegnare le abilità sociali ai bambino con autismo e altri disturbi dello sviluppo. Manuale per il professionista, Erickson, Trento;
  • Mueller, Piazza, Patel, Kelley & Pruett, ( 2004) Increasing variety of foods consumed by blending nonpreferred foods into preferred foods, Journal of Applied Behavior Analysis;
  • Riordan, M. M., Iwata, B. A., Finney, J. W., Wohl, M. K., & Stanley, A. E., (1984) Behavioral assessment and treatment of chronic food refusal in handicapped children, Journal of Applied Behavior Analysis;
  • Smith, C. (2006) Storie sociali per l'autismo: sviluppare le competenze interpersonali e le abilità sociali, Erickson, Trento.
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