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I disturbi della consapevolezza di malattia

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I disturbi della consapevolezza di malattia

L'articolo "I disturbi della consapevolezza di malattia" parla di:

  • Anosognosia: storia e definizione
  • Teorie di riferimento e manifestazioni cliniche
  • Valutazione e mancanza di consapevolezza
Psico-Pratika:
Numero 61 Anno 2011

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Articolo: 'I disturbi della consapevolezza di malattia'

A cura di: Aurora Martina Meneo
INTRODUZIONE ALL'ANOSOGNOSIA

Negli ultimi vent'anni le numerose ricerche empiriche che si sono occupate dei disturbi della consapevolezza di malattia hanno evidenziato come, al di là del valore teorico, essi abbiano delle implicazioni pratiche molto importanti: in ambito riabilitativo, ad esempio, è dimostrato che la presenza di anosognosia influisce negativamente sul processo di riabilitazione, in quanto il paziente che ne soffre mostra una scarsa compliance al trattamento, soprattutto se ad essa si associa il fenomeno del neglect.
A livello di ricerca, inoltre, questi studi rappresentano un importante contributo alla comprensione delle funzioni cognitive superiori e, in particolare, dei substrati neurali sottostanti ai fenomeni della coscienza.

Le attuali conoscenze sull'anosognosia presentano un limite concettuale dovuto alla tendenza generale a concentrarsi di volta in volta sulle singole manifestazioni cliniche o sulla ricerca di specifiche funzioni coinvolte, trascurando la multidimensionalità di tale sindrome.

Questa parcellizzazione si riflette a sua volta sugli strumenti attualmente a disposizione per la valutazione che, seppure più accurati e flessibili rispetto al passato, non sono ancora in grado di rispecchiare a pieno la complessità del fenomeno.

Inoltre, gli studi sull'argomento spesso dimostrano carenze dal punto di vista metodologico, dovute a un utilizzo poco corretto delle procedure statistiche e a una generale confusione a livello epistemologico e terminologico.

Nel mio percorso universitario e professionale ho osservato spesso in prima persona disturbi di questo tipo, avendo modo di constatare la gravità con cui essi incidono sul decorso della malattia e sugli aspetti personologici e relazionali di chi ne è colpito.
Questo contributo nasce da un'esigenza personale di fare il punto della situazione su un settore di notevole rilevanza clinica, la cui vastità e complessità rende difficile delinearne con chiarezza i confini.
La domanda che ha guidato la mia ricerca e a cui spero, almeno in parte, di aver risposto è: cosa sappiamo effettivamente dei disturbi di consapevolezza?
Partiamo dalle origini.

STORIA E DEFINIZIONE

I disturbi della consapevolezza di malattia sono da molto tempo al centro dell'attenzione, sia in ambito clinico che di ricerca, sebbene uno studio sistematico sull'argomento si è avuto solo a partire dagli anni '50.

Ritroviamo tracce di essi già nella filosofia antica: Seneca, in una lettera indirizzata a Lucilio, descrive così il comportamento di Arpaste, un'amica di sua moglie: "Questa donna ha improvvisamente perduto la vista. Cosa incredibile, ma vera, questa pazza non ha consapevolezza di essere cieca e talvolta chiede al suo custode di essere condotta altrove perché dice che la nostra casa è troppo buia" (Seneca, Libro V, Lettera IX).
Senza tornare così indietro nel tempo, vengono riportati concetti simili nella seconda metà del diciannovesimo secolo, con le descrizioni della belle indifference nell'isteria (Rice e Greenfield, 1969; Donohue e Harrington, 2001) e dell'einsichtslos nelle psicosi (Krafft-Ebing, 1836).

Nel panorama scientifico attuale, lo studio sulla consapevolezza di malattia si identifica con due concetti fondamentali: anosognosia e insight.

La definizione di questi due termini è stata ed è ancora oggi al centro di un fervente dibattito scientifico.
Scontrandosi con una generale tendenza che vede prevalere la sovrapposizione dei due concetti, molti autori trovano più corretto parlare di anosognosia quando alla mancanza di consapevolezza corrisponde un'eziopatogenesi neurologica documentabile mentre, nel caso in cui non ci siano evidenze anatomiche correlabili al disturbo, si fa riferimento a un deficit di insight.

Il termine anosognosia fu introdotto nel 1914 dal neurologo francese Joseph Babinski per descrivere l'apparente mancanza di consapevolezza ed il conseguente diniego dei deficit motori controlesionali in pazienti con lesioni cerebrali focali.
A partire da quella prima definizione, molti autori hanno cercato di spiegare la complessità di tale fenomeno, includendo la possibilità che vengano negati, oltre ai deficit motori, altri aspetti (Bisiach, 1996; Starkstein et al., 1996).

Antoine (2004), ad esempio, definisce anosognosia l'incapacità di ammettere la presenza o di valutare correttamente la gravità di deficit sensoriali, motori, emotivi e cognitivi.
Più recentemente, Prigatano (2006) ne dà una definizione particolarmente esauriente, considerandola un fenomeno clinico in cui un paziente affetto da una disfunzione cerebrale non è consapevole del deficit neurologico o neuropsicologico che, al contrario, è evidente agli occhi dei medici e di altri soggetti ragionevolmente attendibili.
Questa mancanza di consapevolezza appare specifica per i deficit individuali e non può essere spiegata né da un'iperattivazione, né da un deficit cognitivo più ampio.

Ciò che emerge da questi contributi è la multidimensionalità del concetto di consapevolezza di malattia: la sindrome anosognosica può interessare virtualmente qualunque deficit neurologico conseguente a lesione cerebrale (Berti et al., 1996).

TEORIE DI RIFERIMENTO

Fino ad ora, la maggior parte delle ricerche che si sono occupate dei disturbi di consapevolezza si è concentrata sull'anosognosia per deficit senso-motori (in particolare, emiplegia) in pazienti colpiti da stroke1 o danno cerebrale di origine traumatica ed è su questi soggetti che sono state costruite le principali teorie patogenetiche.

Coerentemente con la molteplicità dei fenomeni che ricadono al di sotto della definizione di "disturbi della consapevolezza", le ipotesi sulle loro cause sono altrettanto numerose e la strada da compiere per arrivare a una teoria condivisa sembra ancora lunga.
I deficit che possono comportare indifferenza per l'emiplegia sono diversi e, pertanto, le spiegazioni fornite dagli studi, che si concentrano sulle varie caratterizzazioni del fenomeno, potrebbero essere tutte corrette, per quanto diverse.

I filoni di ricerca più battuti vedono da una parte i tentativi di molti studiosi di costruire dei modelli in grado di spiegare la patogenesi dei disturbi di consapevolezza facendo ipotesi sulle possibili funzioni coinvolte e sulle loro relazioni e, dall'altra, gli studi sulla localizzazione emisferica e intraemisferica.

Neuropsicologia dei disturbi di consapevolezza

I modelli neuropsicologici elaborati dai diversi autori hanno cercato di spiegare la sindrome anosognosica facendo riferimento a fattori cognitivi, neurologici e psicologici.

Alcuni autori hanno ipotizzato una correlazione tra l'anosognosia conseguente a danno cerebrale e un deficit intellettivo più ampio (McGlynn e Schacter, 1989; Levine et al., 1991), dato tuttavia messo in dubbio da molte osservazioni cliniche dalle quali non emergono deficit cognitivi più gravi nei pazienti anosognosici rispetto a quelli non anosognosici (Starkstein et al., 1992; Small ed Ellis, 1996; Marcel et al., 2004).
Attualmente, è opinione condivisa che il deterioramento cognitivo può facilitare la comparsa di anosognosia, ma non ne costituisce la causa (Marcel et al., 2004).

Un ampio filone di ricerche si è focalizzato sul tentativo di correlare la sindrome anosognosica a deficit cognitivi specifici.
In questo ambito, troviamo, ad esempio, le teorie che attribuiscono la mancanza di consapevolezza a un danno nei meccanismi di monitoraggio dei comportamenti motori e cognitivi (Vallar et al., 2003).
Le cosiddette "teorie unitarie" ipotizzano la presenza di un meccanismo centrale di monitoraggio che, in caso di danno cerebrale, è l'unico responsabile dell'anosognosia per tutti i disturbi cognitivo-motori eventualmente presenti.
Per contro, alcuni studi hanno dimostrato che l'anosognosia per un deficit motorio può accompagnarsi a una concomitante consapevolezza di altri disturbi presenti a livello cognitivo (Làvadas e Berti, 2002) e questa evidenza fa propendere per un sistema di monitoraggio modulare, in cui la lesione di un singolo modulo non provoca un deficit di consapevolezza nelle altre parti del sistema.

Wolpert et al. (1995; 2001) suggeriscono un modello secondo il quale esisterebbero due tipi di informazione motoria; la prima, definita "modello inverso", ha il compito di specificare l'ordine, la forza e il ritmo delle contrazioni muscolari necessarie a compiere un movimento, mentre la seconda, "modello diretto", prevede le traiettorie, calcolando in base ad esse la posizione finale degli arti e anticipa le conseguenze sensoriali dell'atto motorio.
L'anosognosia, in questo caso, consisterebbe in un deficit nella programmazione motoria, dovuto alla mancanza di corrispondenza tra il feedback sensoriale previsto e le conseguenze sensoriali anticipate.

Bisiach e Berti (1987) includono l'inconsapevolezza di malattia in un più generale disturbo rappresentazionale, di cui farebbero parte anche i fenomeni di eminegligenza2 e le illusioni somatoparafreniche3.
La possibile correlazione tra neglect ed anosognosia per emiplegia4 (Cocchini et al., 2002; Vallar et al., 2003), tuttavia, ha avuto riscontri incerti nei risultati degli studi, i quali hanno evidenziato la presenza di doppie dissociazioni tra i due disturbi (Willanger et al., 1981b; Bisiach et al., 1986b) e la possibilità che neglect e anosognosia si presentino separatamente (Bisiach et al., 1986b; Berti et al., 1996; Berti et al., 1998; Meador et al., 2000).
Il neglect, pertanto, sembrerebbe non essere né necessario, né sufficiente per determinare anosognosia (Cutting, 1978; Levine et al., 1991; Bisiach et al., 1986).

Partendo dal deficit motorio Levine et al. (1991) hanno ipotizzato che nell'anosognosico, alla perdita propriocettiva che si verifica con l'emiplegia e che comporta l'incapacità di avere una consapevolezza immediata del proprio deficit, si associa l'incapacità di ottenere queste informazioni attraverso l'auto-osservazione e le inferenze, dovuta alla scarsa flessibilità mentale di questi soggetti e a una perdita intellettiva generalizzata.
Anche questa ipotesi, tuttavia, non è stata confermata da diversi studi successivi, i quali hanno dimostrato che l'anosognosia non risulta correlata con la gravità della perdita sensoriale primaria e che non tutti i pazienti anosognsici hanno subito una perdita propriocettiva (Starkstein et al., 1992; Vallar et al., 2003; Marcel et al., 2004).
Altri autori correlano l'anosognosia a un deficit nell'integrazione di nuovi dati riguardanti la propria immagine corporea dalla memoria di lavoro a quella a lungo termine (Marcel et al., 2004).

Weinstein e Kahn (1950, 1953, 1955) forniscono una spiegazione prettamente psicologica del disturbo di consapevolezza di malattia: secondo questi autori, l'anosognosia costituirebbe una difesa nei confronti del danno subito, causata dall'incapacità di far fronte al fallimento e dal bisogno di proteggere la propria autostima.
Non si tratterebbe quindi di una vera e propria inconsapevolezza, in quanto i soggetti si rifiutano di ammettere la propria condizione.
Tale ipotesi è ormai superata, poiché essa non è in grado di rendere conto di diversi aspetti, tra cui l'asimmetria emisferica del disturbo (Bisiach e Geminiani, 1991), la scomparsa transitoria dei disturbi anosognosici durante stimolazione vestibolare (Rode et al., 1992; Rode et al., 1998; Vallar et al., 2003) e la frequenza maggiore dei disturbi di consapevolezza in seguito a lesioni centrali rispetto a quelle periferiche.
Queste evidenze hanno portato, attualmente, a distinguere l'anosognosia dal fenomeno della negazione che, nonostante alcune somiglianze, è distinguibile dal disturbo di consapevolezza, in particolare, per la sua origine prettamente psicologica, non supportata da evidenze fisiche, una maggiore durata (l'anosognosia ha carattere più transitorio) e per la presenza di sentimenti di depressione o rabbia che dimostrerebbero la possibilità, per questi soggetti, di accedere alle informazioni relative alla propria condizione (Prigatano e Klonoff, 1998).

Correlati anatomici

E' ampiamente dimostrato che i disturbi di consapevolezza di malattia sono correlati nella maggior parte dei casi a una lesione cerebrale nell'emisfero destro.
La presenza di una piccola percentuale di soggetti anosognosici sinistri, tuttavia, mette in dubbio le teorie secondo le quali l'emisfero destro sia l'unica sede dei processi di coscienza, come l'ipotesi della disconnessione (Geshwind, 1965) secondo la quale una lesione che disconnette gli emisferi, nel caso in cui il danno sia a destra, isola l'emisfero sinistro deputato alle funzioni linguistiche, privandolo delle informazioni di controllo provenienti dal sistema motorio dell'emisfero destro; la consapevolezza del deficit verrebbe meno e ne sarebbe impedita la verbalizzazione, portando all'ideazione di spiegazioni poco plausibili o confabulatorie.

Teorie più recenti suggeriscono un maggior coinvolgimento dell'emisfero destro nei processi di consapevolezza, piuttosto che un suo ruolo esclusivo.

Ramachandran (1996), ad esempio, ha ipotizzato che l'emisfero destro abbia il compito di creare dei nuovi schemi mentali o modificare quelli esistenti quando si verificano discrepanze tra pensiero e percezione troppo consistenti per poter essere gestite dall'emisfero sinistro.
Se l'equilibrio tra i due emisferi viene compromesso, entrano in gioco i processi anosognosici.

A livello di localizzazione intraemisferica, attualmente non si è ancora raggiunto un accordo definitivo sulle specifiche aree coinvolte, sebbene le moderne tecniche di neuroimmagine abbiano fornito un prezioso contributo in questo senso.

Le evidenze cliniche indicano come aree maggiormente coinvolte i lobi prefrontali e parieto-temporali (Prigatano e Schacter, 1991; Pia et al., 2004) e, a livello subcorticale, il talamo (Starkstein et al., 1992) e l'insula (Karnath et al., 2005).

Considerando che lesioni in queste aree si associano spesso a disturbi relativi all'elaborazione visuo-spaziale, al monitoraggio della realtà e della veridicità delle informazioni e al recupero delle memorie relative al sé, nonché a disturbi neuropsichiatrici come confabulazioni, falsificazioni della memoria autobiografica e stati persecutori (Venneri e Shanks, 2004), questa localizzazione anatomica appare coerente con la grande variabilità di sintomi osservati nei pazienti anosognosici.

Leggi la parte 2: Manifestazioni cliniche
(I disturbi della consapevolezza di malattia )

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